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giovedì 26 agosto 2010

XXII Domenica del Tempo Ordinario: Tra umiltà e gratuità la paura di innamorarci

Il vangelo che in questa ventiduesima domenica del Tempo Ordinario ci viene offerto dalla liturgia, mi pare ruoti intorno a due grandi fuochi, forse i due veramente centrali dell’esperienza di Gesù: l’umiltà e la gratuità…


E allora, facendomi aiutare da qualcuno che su queste cose c’ha giocato la vita, provo a dirne due parole anch’io…

Innanzitutto l’umiltà: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Sarebbe però davvero banale e banalizzante leggere o – peggio – pensare di “attuare” queste parole mettendosi all’ultimo posto col desiderio di cercare il primo… Il punto di vista di Gesù non è infatti quello di tracciare una via per arrivare al primo posto – dando come suggerimento quello di mettersi all’ultimo (il cristianesimo invece è fin troppo inficiato da questo finto perbenismo, da questa maschera petulante di costruita remissività che in realtà punta solo, in maniera cinicamente metodica, al primo posto per sé o al massimo per i propri cari – nell’aldiqua e nell’aldilà) – ma, come sempre, è quello di tentare di ribaltare una logica mondana!

Scriveva Giuliano: «L’umiltà non è una virtù! … difficile definirla come tale, perché uno non può proporsela come obiettivo cui mirare, altrimenti vuole essere qualcosa di grande, vuole raggiungere qualcosa di gratificante: l’uomo non deve tendere a niente per se stesso, nel senso che non ha in mano il disegno su di sé ! Se no sta ricercando in qualche modo un primo posto. Se vuole crescere, deve piuttosto cercare dentro di sé il posto dell’amore, il posto di Dio. E scopre presto che, di sicuro, il posto dove mettersi non è quello che ha pensato e progettato. È piuttosto l’ultimo, al servizio di tutti, come il figlio dell’uomo che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita... Perché, amare è dire all’altro: stai prima di me! Chi “vuole” essere umile, si attorciglia attorno a sé. Non si può essere umili, se non per un’altra passione che nasce “dentro”, più grande che l’amore di sé: è il volto dell’altro, preferito al proprio, perché più valido a nutrire la tua gioia e compiutezza, capace di liberarti dalla paralisi del tuo narcisismo infantile, ridicolmente indaffarato tutta la vita a far girare il mondo attorno a te … Ti deve per forza capitare la grazia di rompere lo specchio della tua immagine, incessantemente rielaborata dentro di te, cioè innamorarti… e così ritrovarti all’ultimo posto (o in qualsiasi altro) con dentro nel cuore il tuo proprio “vero volto” ridisegnato da altri, da chi ami – da chi ti ama [non a caso per la Santa Madre Teresa di Gesù, l’umiltà è “conoscere e camminare nella propria verità”]! E trovi la tua gioia nel servire la crescita di bene dell’altro… Allora tutte le vicende mortificanti della tua storia, non fanno male più di tanto, nessun’altra arsura ti può distogliere da questa pur minuscola sorgente di senso, che sei riuscito a disseppellire sotto le macerie del cuore : chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14)».

Ecco perché – nel vangelo – le parole sull’umiltà sono immediatamente seguite da quelle sulla gratuità («Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti»), perché in gioco non vi è l’ideale virtuoso dello stoico mortificarsi per apparire grandi (primi!) davanti a Dio e agli altri, ma il tentativo (sempre da riprendere) di decentrarsi da sé per far spazio agli altri!

In questo senso i poveri sono indicati come i migliori invitati: non perché vi è in causa un’analisi sull’ingiustizia dell’emarginazione e sulla giusta (da primi della classe!) elemosina che noi possiamo fare, ma perché sono quelli che non ti possono dare il contraccambio! Ecco il punto: finché si sta nella logica della ricompensa non si ha ancora avuto accesso alla prospettiva che Gesù qui tratteggia: non si tratta di essere umili (ultimi) per avere in contraccambio il primo posto; non si tratta di essere buoni con gli altri per guadagnarne in contraccambio stima, rispetto, considerazione, “punti paradiso”… Ma di ribaltare la prospettiva.

«Schematicamente si possono distinguere due atteggiamenti religiosi qualitativamente diversi, che si possono contraddistinguere con le categorie di “contraccambio” e di “gratuito” – anche se poi nella storia della salvezza, come nella vita di ognuno, si mescolano. E così riusciamo a consegnare la nostra povera fede al Padre solo come risultato di una lunga e mai terminata purificazione della fame di gratificazione, di riposta immediata, di contraccambio della nostra ambigua dedizione a Dio e al prossimo.

… nella religione del “contraccambio”, infatti, predomina la ricerca del proprio bene, perché si è nel bisogno, nella debolezza e nel peccato, perché il mondo è pieno di male, mentre anche noi siamo incapaci di bene libero, fatto perché è bello farlo… Ma lo si fa piuttosto perché è dovere, e, in fondo a tutto, perché si deve morire! Si passa magari tutta una vita a cercare di essere bravi… e poi ce n’è sempre uno più bravo e più “ragguardevole” di te (lo guardano di più!), che ci passa avanti e ci lascia l’amaro nel cuore o ci avvelena la vita. […]

… la religione del gratuito (una voglia di amore e amicizia!) … sarebbe, invece, andare furtivamente dallo sposo, invece di amareggiarci per competizioni e precedenze, per dirgli : stai bene? hai bisogno che faccia qualcosa per aiutarti, per il pranzo? Perché, nella religione della benevolenza ricevuta e donata, si fanno tutte le cose che si devono fare, con tanta passione e senza competizione…Ma si anela, si cerca, si crede in una misteriosa presenza nella nostra vita quotidiana e nel mondo – una “presenza” (vera! anche se sempre troppo assente!) di amore, di tenerezza, di solidarietà sofferente, una presenza che Gesù chiama “Padre”! […]

Questo è il discorso difficile della fede, cioè di chi è invitato alle nozze del figlio di Dio, che nelle varie vicende della sua storia, ci insegna a prender atto della nostra umanità, sempre troppo intrisa di egocentrismo, per diventare veri discepoli di Gesù e capire come camminare nel viaggio della vita, che qualità di relazione con lui ci è proposta, quale scarnificazione ci toccherà subire per vincere l’istinto che ci spinge incessantemente a occupare sempre una poltrona più avanti e a guardare in cagnesco chi ce l’ha sottratta…» [Giuliano].

Ma a noi questa scarnificazione fa paura e spesso preferiamo tornare a consolarci all’interno della logica del contraccambio, compiacendoci di quanto siamo buoni (perché anche l’io – se serve – sa essere buono!)… O forse – più semplicemente – abbiamo perso il coraggio di innamorarci.

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