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martedì 9 aprile 2013

III Domenica di Pasqua


Dagli Atti degli Apostoli (At 5,27-32.40-41)

In quei giorni, il sommo sacerdote interrogò gli apostoli dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo». Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono». Fecero flagellare [gli apostoli] e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. Essi allora se ne andarono via dal Sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.

 

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 5,11-14)

Io, Giovanni, vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli». E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 21,1-19)

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatre grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

 

In questa Terza Domenica di Pasqua la Chiesa ci propone di meditare sull’ultimo capitolo del vangelo di Giovanni, quasi per intero. Innanzitutto va detto che il suo accostamento alla prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, risulta davvero simpatico: fa sorridere infatti sentire di questi uomini ormai così saldi e determinati nel loro annuncio e poco dopo ascoltare che quei medesimi personaggi, pochissimo tempo prima, erano invece ancora così impacciati nel riconoscimento del Signore risorto, ancora così addentro a quel processo di costruzione della loro fede in Lui.

Simpatico e piuttosto consolante…

Anche perché Giovanni in poche pennellate riesce a descrivere con efficacia la situazione – soprattutto interiore – di coloro che compongono questa terza scena di apparizione ai discepoli: sono in sette («Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli») e misteriosamente – nonostante le due apparizioni precedenti in cui Gesù aveva, tra l’altro, usato parole quali «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» – stanno facendo ciò che facevano prima della loro avventura umana con il Signore. Non solo non hanno fatto un passo in avanti (sono assolutamente distanti dalla situazione di annuncio descritta dagli Atti), ma sembrano addirittura aver fatto un passo indietro, aver subito una regressione: «Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero: “Veniamo anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla». Non a caso la scena risulta molto simile a quella narrata in Lc 5,1-11 (cfr. anche Mt 4,18-22 e Mc 1,16-20), all’inizio della vita pubblica di Gesù e all’inizio della vita da discepoli dei discepoli: sono ancora sulle sponde del lago a fare i pescatori.

Eppure non sono più gli stessi… Addirittura questo testo fa apparire sotto una luce nuova anche quel «lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11) degli inizi. Aver percorso tutta la vicenda di questi uomini fa infatti guardare le cose da un’altra prospettiva: certo rimane encomiabile ed esemplare la loro disponibilità a lasciare tutto e a seguire prontamente il Signore, ma ora comprendiamo quanto (ancora) poco fosse penetrata nella profondità delle loro viscere quella loro disposizione. In mezzo ora ci sono (secondo la scansione temporale sinottica) tre anni di vita vissuta con Gesù; tre anni in cui tante cose son state viste, dette, ascoltate, fatte, capite, fraintese… Soprattutto tre anni con un epilogo assolutamente pregnante per la vita di chi amava quell’uomo morto in croce… Tre anni di storia che hanno scavato e plasmato e cambiato, e umanizzato e allargato lo spazio interiore di questi uomini, il loro modo di guardare alla vita, di pensare alla vita…

E Giovanni è bravissimo a descrivere tutto questo: «Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero: “Veniamo anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla [esattamente come in Lc 5]. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù [come allora non avevano riconosciuto in Gesù qualcuno di così affascinante per cui giocare la vita]. Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”. Allora egli disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci [si ripete la “pesca miracolosa”: Gesù è il medesimo da vivo e da risorto]. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore!” [lo riconosce proprio perché Gesù si presenta facendo le cose che faceva prima e che diceva essere il modo in cui Dio si rivelava (chiamare per nome, guarire, mangiare insieme, fare la Cena, spiegare le Scritture…)]. Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare [uno dei versetti più commoventi, in cui tra l’altro non si dice che Pietro riconobbe Gesù. Gli è bastato sentire che era il Signore per lanciarsi in mare e raggiungerlo. Si vede che dopo il rinnegamento e i fatti della passione e morte, aveva proprio un esagerato desiderio di rincontrare il suo maestro e amico]».

Proprio in questo tuffo di Pietro si vede in maniera evidente che non sono più gli stessi uomini che Gesù aveva incontrato tre anni prima. Pietro non è più solo affascinato da quello che Gesù fa e dice (e perciò lo segue), anzi qui neanche vede che è Lui. Eppure in quei tre anni ha costruito dentro la consistenza di un rapporto di bene per Gesù che – nonostante le sue fatiche, i suoi tradimenti, le sue incomprensioni – ora esplode nella sua evidenza: Pietro vuole bene a Gesù, ecco la differenza; un bene non più solo detto, o percepito, o sperato… un bene vissuto, scavato dalla storia, sagomato dalla vita (fatta di sudore, lacrime e sangue: «Diceva Anna Magnani al truccatore che prima del ciak stava per coprirle le rughe del volto: “Lasciamele tutte, non me ne togliere neanche una. C’ho messo una vita a farmele tutte» [dal documentario Il corpo delle donne, reperibile in rete]).

E da questo punto di vista è interessantissimo come Giovanni fa proseguire il testo, perché – come diceva don Bosco – non basta voler bene a qualcuno, ma bisogna che lui lo sappia… Ecco perché l’evangelista ritaglia un dialogo personalissimo tra Gesù e Pietro… che merita proprio di essere guardato più da vicino…

Siamo ormai alla fine del vangelo e Gesù incontra qui per l’ultima volta i suoi discepoli. E non è indifferente che proprio alla fine il discorso cada sul bene tra Gesù e Pietro. Anzi, nel leggere questo testo, non bisogna assolutamente dimenticarsi di questa collocazione, perché l’ultimo atto di Gesù – come per ciascuno – è necessariamente la sintesi prospettica con cui guardare a tutta la sua vita. Lì infatti si condensa il tutto di quello che è stato, come una sintesi incandescente della sua persona.

E l’interessante è che alla fine del vangelo, nell’incontro conclusivo dell’esperienza terrena del Signore, ciò che Gesù sente di domandare a uno dei suoi, e a quell’uno particolare che era Pietro, è se Gli voglia bene. È come se alla fine, ciò che, su tutto quanto hanno vissuto, detto, patito, deciso, sorriso, pianto, imparato, insegnato, ecc…, conta unicamente è la qualità del bene che è passato tra di loro, è la consistenza della relazione che si è creata, è l’apertura dei canali dell’amore a cui il rapporto li ha abilitati. È come per noi: alla fine cosa conta? Al momento del ritorno al Padre che ci sia qualcuno che ci vuole bene… Forse addirittura tutta la vita è la ricerca di due braccia che ci amano tra cui morire…

Ma al di là delle reazioni immediatamente sentimentali che queste considerazioni suscitano, ciò che risulta interessante è che per Gesù, la sintesi del suo percorso vitale stia in questo: che i suoi abbiano imparato ad amare; ad amare come Lui; ad amare Lui.

Non a caso affida proprio a Pietro (che risponde affermativamente anche se sempre un po’ incerto alla triplice domanda: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?»), il compito di essere guida per gli altri: nella logica di Gesù infatti il compito di essere guida di un altro non dipende da criteri estrinseci alla persona (al sesso, all’età, al quoziente intellettivo, ecc…), ma alla qualità cristica dell’amore che la abita. Pietro è guida del gregge perché dopo tanti travagli, gli si è costruita dentro la capacità d’amare il Signore e i fratelli al modo di Gesù. Quante riflessioni potremmo fare in proposito sulla situazione ecclesiale…

Ad ogni modo… quando tutto sembra apposto, riconciliato, finito… eccoti la parola “finale” che non ti aspetti: «Seguimi!». Ma come? Pietro non è colui del quale abbiamo detto che attraverso la vita ha imparato ad amare al modo di Gesù? Non è colui che Gesù ha scelto per guidare gli altri proprio per questo? Non era dunque arrivato? Cosa deve ancora seguire?

… Deve seguire ancora il suo amico e maestro (cfr. Mt 16,23; Mc 8,33): la proposta di Gesù infatti non è un itinerario morale (faccio / non faccio determinate cose e sono apposto) e nemmeno un’adesione intellettuale a certe verità (conosco a memoria il catechismo e sono un buon cristiano): è piuttosto una relazione, in cui la conformità a Cristo la si impara vivendo, agendo, amando… Ecco perché si conclude con quel «Seguimi!»: perché ad amare al modo di Gesù, dunque a essere uomini e donne, si impara in un continuo incontro, scontro, confronto, mescolamento, allontanamento, comprensione, imitazione, adesione, paura, nascondimento, ri-appropriazione tra la sua libertà e la nostra: quella che Paolo chiama la conformazione a Cristo.

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