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martedì 18 febbraio 2014

VII Domenica del Tempo Ordinario

Dal libro del Levìtico(Lv 19,1-2.17-18)
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”».

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (1Cor 3,16-23)
Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi. Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia». E ancora: «Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani». Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.

Dal Vangelo secondo Matteo(Mt 5,38-48)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

In questa Settima Domenica del Tempo Ordinario, la Chiesa – nel vangelo – ci invita a proseguire la lettura del discorso della montagna iniziata ormai qualche settimana fa e che, proprio oggi, raggiunge uno dei suoi vertici più alti (ma anche più difficilmente comprensibili e assimilabili)… l’amore per i nemici...
Gesù invita precisamente a questo… a non opporsi al malvagio (cioè a chi ci fa delle malvagità), anzi, ad offrire l’altra guancia a chi ci ha colpito la prima; a lasciare anche il mantello a chi ci vuole togliere la tunica; ad accompagnare per due miglia, chi ci costringe a farlo per un miglio; a dare a chi chiede e a non voltare le spalle a chi desidera da noi un prestito; ad amare i nostri nemici e a pregare per chi ci perseguita…
Dove, la paradossalità del discorso, sta nel fatto che in nessuno di questi inviti è possibile rintracciare un qualcosa che ne attenui la portata… Non si dice di non opporsi a chi ci ha fatto una malvagità (magari occasionalmente, magari subito pentendosene, magari perché cresciuto dentro ad una condizione di disagio…), ma di non opporsi ai malvagi (senza nessuna specifica che attenui la portata di questa “malvagità”); non si dice di porgere l’altra guancia – cioè di tornare ad arrischiare la propria vita con qualcuno che l’ha già tradita – ad un amico, a qualcuno di caro, che – nonostante la sofferenza procurataci – non vogliamo perdere… ma si dice di porgere l’altra guancia e basta, nuovamente senza un elenco di casi o una specificazione di situazioni “accettabili”; non si dice di dare tunica e mantello (magari) a chi ha freddo o a chi ne ha bisogno… ma di dare il mantello a chi ci ha rubato la tunica, magari lasciando noi al freddo e nel bisogno; non si dice di accompagnare per due miglia un amico che ci aveva chiesto di farne uno con lui… ma di farne due con chi ci ha costretto a farne uno; fino ad arrivare alla paradossalità estrema dell’amore ai nemici e della preghiera per i persecutori…


Una “paradossalità” l’abbiamo chiamata… Una paradossalità perché è un modo di atteggiarsi che non rispetta nessuno dei canoni abituali con cui solitamente è organizzato il nostro vivere sociale… non è rispettata l’inviolabilità della persona, il diritto di proprietà, l’istinto di sopravvivenza, la giusta retribuzione, il diritto di combattere contro le ingiustizie subite, ecc… Dentro a questo “pacchetto” di diritti sta tutto il nostro vivere sociale (necessarissimo e figlio di una lunga storia di battaglie per i diritti che vanno assolutamente onorate!)… però… c’è un però… che nasce proprio dalla lettura di questo vangelo…
Perché dentro ad uno stare al mondo pensato secondo quei criteri (quei diritti personali) la proposta di Gesù non ci sta, appare, appunto, paradossale, fuori dallo schema, “inincastrabile”…
Infatti non si possono vivere gli inviti di Gesù, se ciò che urla nel nostro cuore è la rivendicazione (per noi) di quei diritti: non posso porgere l’altra guancia, dopo che mi hanno ingiustamente percosso la prima, se ciò che emerge come prioritario nel mio cuore, nella mia mente, nelle mie reazioni (cioè nel mio modo d’essere) è la rivendicazione del diritto all’inviolabilità della mia persona… o quello alla lotta per le ingiustizie subite. Non posso dare anche il mantello a chi mi ha rubato la tunica se ciò che emerge in me è essenzialmente la necessità di una giustizia retributiva, la rivendicazione del mio diritto alla proprietà privata, ecc… non posso fare due miglia con chi mi ha costretto a farne uno con lui, se mi esplode dentro la pretesa di veder riconosciuto il mio diritto alla libertà, alla libera determinazione, alla libera circolazione…
Non posso…
Ma allora? Com’è possibile entrare nella mentalità di Gesù (una mentalità per la quale queste proposte – visto che lui le fa e le vive! – non sono affatto paradossali ma pronunciate con realismo)? Perché per lui sono “normali”, “possibili”, “percorribili” mentre a noi risultano “fuori dal normale” (paradossali, appunto), “impossibili”, “improponibili” e “irricevibili”?
Forse perché – appunto – in quelle situazioni, ciò che in Lui emerge come prioritario non è la rivendicazione di alcuni diritti (per sé) – pure giusti – ma qualcosa d’altro… Per Lui ciò che preme dal di dentro e va a determinare il suo pensare, sentire e reagire è la custodia dell’altro, sentito sempre come suo. Anche quando è malvagio, sconosciuto, straniero, ladro, peccatore, ecc...
È qui che giunge dunque il suo invito… non tanto (o non solo) a cambiare alcuni nostri atteggiamenti, a correggere alcune nostre reazioni, a seguire una serie di prescrizioni per dei casi concreti, ma a cambiare il nostro modo di stare al mondo… Infatti potremo vivere tutti quei suoi inviti, solo se dentro ci nascerà un’istanza diversa, che diventa prioritaria su tutte le altre: quella per cui l’altro è l’unica mia preoccupazione, è il senso della mia vita, colui che gli dà la giusta misura!
Vivere così, con questa istanza interiore, riscrive tutti i nostri modi di pensare, di pensarci, di organizzare, di organizzarci, di stare insieme, di stare al mondo…
Ma dove si impara questo nuovo modo di stare al mondo?
Andando a scuola dal Padre, dice il vangelo: tentando di diventare pian piano (e non pretendendo di essere) “perfetto come il Padre nostro che è nei cieli”… Uno del quale Gesù dice che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti»…
Solo un Dio paradossale così infatti può essere il Dio di quelli che paradossalmente amano i nemici…
Ma forse ci sembra tutto così paradossale – nonostante siano 2000 anni che tutto è già scritto nel vangelo – perché non abbiamo accettato un Dio così (che fa sorgere il sole sui buoni e suoi cattivi…)… Un Dio così infatti non serve a niente nella rivendicazione dei nostri diritti… cosa ce ne facciamo di un Dio così, che sa solo proporci di amare i nemici e quindi, non solo di non guadagnarci niente, ma anche di perderci… e non qualcosa, ma noi stessi?
Non serve a niente, ecco perché – pur essendo una definizione di Dio che ha dato Gesù stesso – è forse la meno conosciuta e citata nella storia del Cristianesimo… storia, segnata troppo spesso dalla ricerca di un dio che “serviva” a qualcosa, che serviva a noi (contro gli altri), a me (contro l’altro)… dimentica del Dio della gratuità, non della necessità; dell’amore, non del dovere; dell’inclusione, non dell’esclusione; del per te, non del per me; della tua misura, non della mia misura…
Forse è allora davvero giunto il tempo che ci mettiamo alla scuola del Padre, vivendo in un orizzonte segnato dalla preoccupazione per l’altro e non per la rivendicazione dei miei giusti diritti… chissà che “alla fine della fiera” non diventiamo anche noi perfetti come il Padre nostro celeste… e anche noi facciamo piovere il nostro bene sui giusti e sugli ingiusti…?!?
Ma se proprio nelle nostre relazioni umane non ce la facciamo a seguire questa strada prospettata dal Padre nella sua Parola, almeno non andiamo in giro a dire e a dare altre versioni di chi Lui sia: perché la cosa più grave (in cui purtroppo anche la Chiesa è caduta) non è non riuscire ad amare i nostri nemici ma desiderare che nemmeno Dio li ami.

Invece: io posso anche non riuscire a perdonare, a custodire l’altro, a inondarlo di un surplus d’amore, ma Dio resta Padre anche suo e questo scarto tra me e Dio non va colmato, tirando Dio dalla mia parte, predicandolo come il castigatore dei nemici. Perché questo è l’antivangelo.

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