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mercoledì 22 luglio 2015

XVII Domenica del Tempo ordinario


Dal secondo libro dei Re (2Re 4,42-44)
In quei giorni, da Baal Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”». Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 4,1-6)
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,1-15)
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
 
Con questa Diciassettesima Domenica del Tempo Ordinario, la Liturgia lascia la narrazione di Marco per aprire un ciclo di 5 settimane in cui ci viene proposto quasi per intero il sesto capitolo del vangelo di Giovanni.
La narrazione del miracolo della moltiplicazione dei pani, diventa lo spunto per l’evangelista per intessere un lungo discorso eucaristico su Gesù pane di vita, discorso che “sostituisce” la narrazione dell’ultima cena che in Giovanni manca (al suo posto è infatti narrata la lavanda dei piedi).
Di domenica in domenica, cercheremo quindi di metterci in ascolto di questa proposta giovannea, per tentare di intercettare le numerosissime tematiche che offre.
Oggi si tratta di focalizzarsi sull’incipit e sull’occasione (il fatto!) che ingenera questo lungo discorrere dell’evangelista: la moltiplicazione dei pani (narrata ben sei volte nel Nuovo Testamento!).
Ebbene: la moltiplicazione dei pani e dei pesci… una delle pagine più raccontate e più note del NT, eppure anche, contemporaneamente, una delle più “incomprensibili” e per questo – almeno personalmente – una di quelle che ingenerano più insofferenza.
 
Tante cose sono state dette in proposito, alcune anche molto belle e profonde:
1) c’è chi parla di questo testo, presentandolo semplicemente come un miracolo, nel senso comune del termine (come spesso è rappresentato anche nei film su Gesù, con queste ceste che non si svuotano mai e continuano a sfornare panini);
2) c’è chi prova ad andare un po’ più al di là del significato letterale e – anche alla luce dei testi dell’AT (come quello della I lettura) – prova a darne un’interpretazione diversa: questo segno della moltiplicazione starebbe ad indicare un tratto del volto di Dio, cioè Colui che nutre il suo popolo;
3) c’è chi prova a sottolineare – nella nostra versione giovannea – la presenza del ragazzo coi suoi pani e i suoi pesci: Gesù moltiplicherebbe perciò non tanto il cibo, ma la disponibilità dell’uomo – di alcuni uomini – a farsi carico della fame altrui;
4) c’è chi infine sottolinea unicamente il tratto eucaristico della narrazione giovannea.
In effetti – tranne forse il primo, un po’ ingenuo - sono tutti aspetti veri e significativi del testo. Eppure a me pare che rimangano aperte alcune questioni, che non riescono a togliermi la sensazione di insofferenza cui facevo cenno prima:
1) la prima interpretazione, mi fa salire alle labbra questa obiezione: non sarebbe da superare l’idea di un Gesù-mago che estrae dal cilindro panini, invece che conigli? L’idea magica di un Gesù che con uno zac risolve i problemi degli uomini e delle donne che incontra non può essere quella corretta. Se il suo scopo fosse stato di proporsi così, non avrebbe nessun senso che tutti quelli prima di lui e dopo di lui avessero continuato ad avere fame, ad ammalarsi, a morire, ad essere esclusi, ecc…
2) la seconda interpretazione è quella che sento più conforme al mio modo di leggere e capire il vangelo. In tutto quello che Gesù dice, fa ed è, vi è in gioco la rivelazione del Padre suo e nostro; per cui indubbiamente il dar da mangiare di Gesù alla folla rimanda alla cura di Dio per il suo popolo (come è narrata nell’AT) e per tutta l’umanità. Eppure noi sperimentiamo con fin troppo evidenza, anche se siamo assai abili e veloci a dimenticarcene, che la gente ha continuato e continua a morire di fame: di tante fami, certo, si muore, ma proprio anche di quella fisica. Dire allora che la moltiplicazione dei pani sarebbe simbolo della cura di Dio per il suo popolo, rischia di diventare grottesco. Soprattutto se si arriva a dire che il dare da mangiare fisico del vangelo in realtà era un simbolo di un altro dare da mangiare di Dio all’umanità. Gesù avrebbe dato cioè da mangiare il pane, per far capire che Dio dà da mangiare la sua parola, la sua benevolenza, o simili… non il pane vero (e infatti la gente continua a morire di fame)… quello era solo un esempio…
3) la terza interpretazione è strettamente legata alla seconda e mi è, anch’essa, molto cara: proprio perché il dare da mangiare di Dio non può che essere spirituale, il dar da mangiare materiale è compito degli uomini, dei cristiani: ecco il senso del moltiplicare, non tanto il pane in sé, ma la disponibilità di ciascuno a prendersi cura della fame altrui. Essendo però “figlia” della seconda interpretazione, ne importa le problematiche…
4) l’interpretazione eucaristica, certamente giustificata come dicevamo anche all’inizio dal discorso di Gesù sul pane della vita che occupa il capitolo 6 e che sostituisce l’istituzione dell’eucaristia, non rende però troppa ragione del fatto in sé della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Come se Giovanni prendesse un testo già sedimentato nella cultura delle prime comunità cristiane – la moltiplicazione raccontata dai sinottici – e lo utilizzasse per fare al cap. 6 anziché durante l’ultima sera di vita di Gesù il discorso eucaristico.
 
Che dire dunque della moltiplicazione dei pani e dei pesci?

Innanzitutto che è uno dei testi che – secondo gli studiosi – ha il più alto grado di storicità (cioè è altamente probabile che sia effettivamente accaduto): perché è narrato molte volte (6, addirittura) ed è narrato in contesti letterari differenti (non solo dalla tradizione sinottica, ma anche in quella giovannea).
Quindi, partendo dal dato che è accaduto, la domanda è: ma cosa è accaduto? Difficile rispondere, anzi impossibile. Come sappiamo i testi (qualsiasi testo) risponde solo alle domande “giuste”, quelle cioè a cui voleva rispondere chi ha scritto il testo. E di certo, il “come sono andate le cose”, nel nostro senso storiografico postmoderno, non era preoccupazione degli evangelisti. Nessuna remora perciò a lasciare da parte l’idea del Gesù-mago proposta in alcuni film (e in molte predicazioni), quella cioè di un moltiplicatore di panini nelle ceste.
Proviamo piuttosto a porre la domanda “giusta” al testo: cosa vuole dirci l’evangelista narrando questo episodio e narrandolo così. Come dicevamo non ha nessun interesse per il come sono andate le cose, per il come sono stati moltiplicati i pani e i pesci (infatti non lo dice). Però vuole dirci: che Gesù è preoccupato di sfamare quelle persone; che la sua preoccupazione sembra impossibile, dato il numero elevatissimo delle persone e la disponibilità esigua di soldi e di cibo; che invece, colpo di scena, non solo la gente è sfamata, ma il cibo avanza pure.
Sembra quasi lo schema di una parabola. Anzi, sembra lo schema della parabola della vita di ogni generazione. Ad ogni generazione, ad ogni popolo, ad ogni uomo, si pone il problema di essere preoccupati per la fame (non solo fisica) propria e altrui; ad ognuno sembra che il numero di affamati messo in relazione con l’esiguità delle risorse non possa che far concludere che è impossibile; e invece no. Ecco cosa ci dice questo vangelo. Non che Dio arriverà con la sua bacchetta magica, perché Gesù lì non stava usando la bacchetta magica. Probabilmente non ha nemmeno moltiplicato un bel niente; non era un bell’esempio per dire che come Gesù ha moltiplicato il pane fisico, così Dio moltiplicherà altro… tipo la nostra disponibilità a donare. No, sta dicendo che la preoccupazione per la fame dell’uomo è una preoccupazione sacrosanta che abbiamo, anzi, è la stessa preoccupazione del cuore di Dio. E se pure tutti gli uccellacci del malaugurio continuano a dire – solitamente per interesse – che è impossibile, un desiderio sacrosanto, un desiderio secondo il cuore di Dio, non va lasciato cadere. È possibile sfamare la fame altrui.
E se vi viene da chiedere “come?”, non rivolgete la domanda al vangelo che non vuole e non può rispondere a questa domanda. Rivolgiamocela piuttosto tra di noi. Partendo però dalla posizione solida di chi sa che sfamare la fame degli uomini è secondo il cuore di Dio e non è impossibile.

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