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mercoledì 8 luglio 2015

XV Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Amos (Am 7,12-15)

In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno». Amos rispose ad Amasìa e disse: «Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 1,3-14)

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6,7-13)

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

 

«Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due».

Vorrei fare qualche riflessione, a partire da questa frase del vangelo odierno.

Innanzitutto smontare una certa logica.

Abitualmente infatti il rapporto uomo-Dio è pensato più o meno in questi termini: c’è Dio (che è onnipotente, infinito, eterno, buono, padre, uno e trino, ecc, ecc, ecc) – senza capire bene cosa vogliano dire tutti questi aggettivi, soprattutto insieme (cfr. la mai risolta questione del rapporto tra onnipotenza di Dio – sua incontrovertibile bontà – eppure la presenza del male nel mondo) – c’è l’uomo (che è finito, limitato, però insomma un po’ capace di fare, disfare, “stare al mondo”, ecc…) e poi c’è il loro rapporto, con Dio che comunica all’uomo una serie di verità, di consigli per vivere, di prescrizioni per il bene comune e l’uomo che cerca di metterle in pratica, più o meno come gli riesce, chiedendo ogni tanto qualche aiuto dall’Alto. In questo modo di pensare, gli “inviati” (di cui parlano tutte e tre le letture di oggi) sono sostanzialmente coloro che fanno da tramite, che – non si sa bene perché (prima si credeva perché erano più bravi, poi ci si è accorti che non era vero) – hanno in mano più di altri queste “verità”, questi modi corretti di comportarsi e atteggiarsi per piacere a Dio e così lo comunicano agli altri, orchestrandone il rapporto col divino e la condotta morale.

Questo schema – semplice e chiaro, e perciò iper-sfruttato – del piano di Dio (su), piano dell’uomo (giù), mediatore (in mezzo), ce l’abbiamo talmente stampato dentro che – solo sforzandoci – riusciamo a pensare altrimenti: cosa che invece è necessaria perché, per quanto di immediata comprensione, questo schema è inadeguato a dire l’esperienza umana nella sua relazione con Dio. Per esempio rimane fuori la figura di Gesù: dove lo collochiamo in questo schema? È lui il mediatore che sta a mezza via tra l’umanità e la divinità? Ma questa oltre che essere un’eresia (cfr. il Concilio di Calcedonia), è una risposta che non risolve, ma complica: perché a questo punto, dove li mettiamo gli altri mediatori? Un po’ più sotto? Ma se c’è già Gesù, cosa ce ne facciamo degli altri? Se invece servono anche gli altri, allora vuol dire che Gesù non è bastato? Ma anche qui cadiamo nell’eresia…

Soprattutto il problema emerge nel confronto con i testi biblici: essi infatti fanno sempre riferimento a un rapporto personale, esistenziale, addirittura affettivo, non monolitico, freddo e catalogante come quello precedente… Anche questo noi ce l’abbiamo dentro: non a caso le cose che ci piacciono di più – parlando di vangelo – sono le riflessioni esistenziali, che vanno a prenderci nella pancia, che ci fan scappare qualche lacrima, che toccano qualche corda realmente scoperta del nostro vivere…

Ma anche questa è una conferma di quanto si diceva in precedenza (la separazione dei piani ce l’abbiamo dentro): Perché se diciamo “Dio” ci viene in mente tutto un impianto metafisico, l’eterno, l’immutabile, qualcuno che sta lassù nei cieli, con una terribile sensazione di lontananza, freddezza, in ultima analisi inutilità (che però non ammettiamo perché un po’ di paura ce la fa ancora), e se diciamo “Gesù che si fa piangere addosso da una donna” subito ci si accende l’antenna dell’orecchio e soprattutto del cuore?

Nella Bibbia, cioè, noi cogliamo subito, anche solo affettivamente, che al suo interno non sia presentato uno schema metafisico, ma la storia di una relazione (tra Dio e l’uomo), che prende corpo nella storia di tante relazioni (tra Dio e questo uomo, questa donna, questo popolo…).

Per questo lo schema precedente (quello della separazione tra piano umano e piano divino) oltre a non essere adeguato a dire il reale, non può neanche essere detto fondato biblicamente. Perché dal testo biblico si parte sempre dal rapporto, in qualche modo “già dato”: biblicamente l’uomo non è mai pensato senza Dio, ma anche viceversa, Dio non è mai raccontato senza l’uomo.

Noi però siamo figli di una mentalità, plasmata nei secoli, che ha teso sempre più a staccare i messaggi dai messaggeri, la verità dalla storia, sia che essa riguardasse l’uomo, Dio, il mondo… Siamo nati e cresciuti in un contesto pieno di verità (teologiche, antropologiche, morali, scientifiche, economiche, ecc…) che fluttuavano sulle nostre teste e che erano lì “a portata di mano” per essere usate come “frasi fatte”, “risposte pronte”, “marchingegni logici” a seconda delle varie situazioni… E – per quanto questo modo di affrontare le varie questioni della vita spesso ci sia risultato inadeguato, riduttivo, inefficace – facciamo fatica a staccarcene e a renderci conto che, forse, si potrebbe cambiare prospettiva…

Fortunatamente, la Chiesa – col Concilio Vaticano II – si è resa conto di questo stato di cose e ha formulato una delle più stravolgenti (rispetto alla mentalità precedente) espressioni della sua storia, quando nella Dei Verbum al n° 2 ha scritto: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi».

Al di là del linguaggio necessariamente formale del documento, mi piacerebbe che cogliessimo lo scaravoltamento in atto!

Innanzitutto, dentro ad una mentalità ecclesiale in cui la trasmissione della fede coincideva con la trasmissione delle verità (al plurale, cioè di un insieme di definizioni: pensate – soprattutto chi tra voi è più datato – a cosa voleva dire andare a dottrina – non a caso si chiamava così! – prima del Concilio: imparare a memoria il Catechismo di Pio X, cioè tutta una serie di domande e risposte che racchiudevano – appunto – le verità del Cristianesimo!), inserire “la bomba atomica” (originaria, ma dimenticata) per cui a Dio è piaciuto rivelarsi in persona, vuol dire mettere in cantina tutta quella mentalità separatista che relegava Dio lassù nei cieli (del quale infatti sapevamo solo “le verità” che ci dicevano i preti) e noi quaggiù sulla terra (a imparare a memoria il “da sapersi” su Dio – senza magari capire – e il “da farsi” morale).

Perché se a Dio è piaciuto rivelarsi in persona, allora vuol dire che c’è un po’ più sostanza che nel semplice imparare a memoria definizioni a suo riguardo! Vuol dire che il campo semantico non è semplicemente quello dell’istruzione, dell’imparare, dell’applicare, ma diventa quello del relazionarsi, conoscere, intrattenersi, voler bene…

Se si tratta di questo, allora si capiscono bene anche le altre affermazioni di DV 2: «gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura», «infatti Dio invisibile parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé».

Capite cosa è in gioco nella relazione con Dio?

Ma è ovvio che se da trasmettere non è più una dottrina, ma una relazione, un’amicizia, una comunione, le modalità di trasmissione non possono più essere quelle anaffettive dell’indottrinamento, ma diventano quelle della dinamica storica (proprio come accade nelle nostre relazioni, amicizie, comunioni umane): «Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi», cioè Dio si fa conoscere in persona, dentro ad una storia (eventi e parole intimamente connessi vuol dire questo!).

Ecco allora che entra in gioco il nostro vangelo!

«Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due»: se si tratta della trasmissione di una relazione (quella con Dio) che ci cambia, perché ci fa figli e dunque fratelli, non si può andare da soli, armati di dottrine teologiche e morali. Bisogna andare almeno in due, perché una relazione si testimonia solo in una relazione: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri», Gv 13,35.

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