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domenica 9 maggio 2010

Ridisegnare la Storia col soffio dello Spirito

Perché a me? Perché a noi?...
Il contesto del Vangelo di oggi è quello dell’ultima cena secondo il racconto del Vangelo di Giovanni. E fa parte di quella sezione che gli studiosi chiamano per convenzione (e impropriamente in quanto come lui stesso dice, non se ne va: l’andare al Padre non vuol dire che si “assenta” dalla nostra storia…) “discorsi di addio”.

Qui siamo nel primo di questi discorsi che inizia in Gv 13,31. Bisognerebbe ricollocarsi esistenzialmente in quel contesto per cogliere in tutta la sua profondità ciò che Giovanni ci vuole trasmettere in ciò che dice e fa Gesù…

Il brano riportato nella liturgia è propriamente parlando una risposta di Gesù alla domanda di un discepolo (Giuda, non l’Iscariota che è già “uscito”). La domanda era: «Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». La risposta di Gesù nel dare un senso nuovo alla domanda, dà la chiave di lettura di come sarà possibile il suo “manifestarsi al mondo”…

Se uno mi ama, osserverà la mia parola
Gesù mostra che la fede non nasce da una evidenza, da una cogenza alla quale non ci si può non consegnare: nemmeno la resurrezione lo è! Non esiste un miracolo capace di “costringere” alla conversione. La fede – questo è il bello della fede – è un atto di amore, un atto della libertà che si apre all’incontro-conoscenza con l’altro generando comunione. Non è un “aderire a un’idea” o peggio a “una dottrina” e men che meno una “costrizione”. La fede è un fidarsi-affidarsi che nasce dall’amore che si fa storia comune. In questa risposta Gesù unisce fede-speranza-carità come dimensione profonde della relazione tra l’uomo e Gesù (e, a partire del suo amore per noi che precede e rende possibile il nostro, tra i discepoli cfr 13,34ss).
Il punto di partenza quindi è l’appropriazione personale della sua parola: questo è l’Amore secondo Giovanni. Amare Gesù è vivere della sua Parola al punto da non poterne più fare a meno, se non un sentirsi “morire dentro”. Osservare i comandamenti (v. 15) e osservare la sua parola non hanno niente a che fare per Gesù (e Giovanni!) con “l’osservanza materiale di precetti” ma indicano un rapporto vitale con la parola (logos-dabar) che produce comunione, condivisioni di vite e sequela…
Il manifestarsi di Gesù è un manifestarsi possibile solo a coloro che “gli si fanno suoi”, che accettano di farsi suoi… per questo chi non lo ama, “non può” vivere della sua parola e quindi “non lo può” conoscere (il binomio “conoscere-amare” e “non conoscere-odiare” è fondamentale in tutto il Vangelo di Gv fin dalle sue prime battute nel Prologo cfr anche oltre ai capitoli 13-17 ad esempio il c. 10 sul rapporto d’amore – conoscenza reciproca – tra le pecore e il pastore)…

L’amore per il logos di Gesù è l’amore per Gesù, Logos del Padre, e quindi è nello stesso tempo amore per il Padre… Amore che è dono dello Spirito d’amore tra il Padre e il Figlio e i figli.

Per questo, questo amore, questo vivere della sua parola, è comunione col Padre e col Figlio che si fa presenza concreta, dimora reciproca, reciproco dimorare l’uno nell’altro, reciproca inabitazione, con-vivenza sponsale (cfr il segno-simbolo – sacramentum – del matrimonio) di reciproca conoscenza…
E questo è lo Spirito, Amore tra il Padre e il Figlio e i figli, che alimenta e si alimenta del nostro reciproco vivere l’uno dell’altro, degli uni negli altri, degli uni per gli altri… per questo lo Spirito ricorda e insegna l’amore-parola di Gesù che è Gesù stesso perché Gesù è la sua parola in quanto è tutto in tutto quello che fa e che dice… Il ricordare dello Spirito allora non può essere nel senso biblicistico di riportare a memoria qualcosa che si è dimenticato (es una citazione biblica) o di rivivere la nostalgia di un tempo passato (es il periodo storico di Gesù o di un’epoca “d’oro” della Chiesa), ma un riportare a reciproca presenza, un ripresentare l’uno all’altro il volto dell’uno e dell’altro, per rivitalizzare, vivificare, mantenere in vita l’amore dell’uno per l’altro, il vivere dell’uno con l’altro. Questo “ricordare” dello Spirito, fa dello Spirito il paraclito per l’uomo, cioè consolatore (testimone alla coscienza credente della promessa del Padre che si attua nella storia, e per questo dà forza e coraggio, esorta e spinge all’azione nella storia) e in Dio è colui che intercede per noi con gemiti inesprimibili. Questo significa il ricordare la parola di Gesù: rivivere alla presenza nostra e del Padre l’azione liberante del Cristo…

Tempio di Dio
Questo è il dono più grande, che fa del discepolo il luogo della comunione con Dio, il luogo della presenza di Dio vivente, tempio vivente del Dio vivente.

Per questo il discepolo non può che rallegrarsi del fatto che il Signore vada al Padre, perché solo così la sua presenza diventa definitiva. Perché il suo ritornare col Padre diventi presenza tangibile nel dono dello Spirito per la vita di ogni uomo di ogni luogo e di ogni tempo, senza più i limiti sensibili della dimensione spazio-temporale.

Questa presenza, questa inabitazione reciproca di Dio nell’uomo e dell’uomo in Dio, attuata dall’amore alla sua parola, fa dell’uomo un creatura nuova, autentico «sacramento di Cristo» (M. Magrassi, Vivere la chiesa, 113).

Ciò che Gesù afferma nel Vangelo è descritto con un linguaggio profetico, apocalittico nella seconda lettura. Qui dobbiamo uscire da un equivoco… Se è vero che il libro dell’Apocalisse dà una chiave di lettura della storia in prospettiva escatologica (a partire dal suo fine), questo non vuol dire che ciò che è descritto come “compimento” non sia già una realtà vissuta e sperimentata dal cristiano fin da ora… Anzi il compimento è possibile, proprio perché ciò che deve compiersi alla fine della storia è già pienamente presente nella storia: nulla le manca per poter giungere al proprio compimento!

Per capirci possiamo fare una analogia con la persona di Gesù: il suo “tutto è compiuto” sulla croce, non vuol dire che egli non fosse pienamente figlio anche prima! Anzi il suo vivere pienamente da figlio prima della croce rende possibile fare la volontà del Padre fino al suo compimento!

Altrimenti il libro dell’Apocalisse sarebbe l’unico libro della Bibbia che propone una visione “alienante” della storia presente: una fuga dai problemi dell’oggi nell’attesa di una promessa “oltre la storia”…

La “Gerusalemme celeste” (con tutto quello che nella simbolica dell’Antico e Nuovo Testamento rappresenta), lungi dall’essere allora una realtà da contrapporre alla “Gerusalemme terrestre” è quella dimensione già ora presente nella storia in coloro che vivono della parola dell’Agnello… e diventano comunione e tempio della presenza di Dio in mezzo a noi. Siamo ben lontani dalla contrapposizione agostiniana.
E come domenica scorsa ci ricordava il Vangelo (Gv 13,35: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri), il discepolo non è colui che appartiene a questa o quella istituzione ecclesiale o religiosa, ma è colui che vive di questo amore lasciandosi abitare dall’amore di Cristo, che è, ci ricorda il Vangelo di oggi, amore alla sua parola, al suo logos, al suo dabar. Perché la sua parola ha in sé la capacità di rendersi “amabile” in quanto ci rivela (ricorda) il volto del Padre nel volto del Figlio per l’azione dello Spirito.

L’azione dello Spirito nella storia: l’incarnazione della Parola nella vita dei discepoli
I discepoli allora costituiscono una comunità, come una città che «non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna» perché «la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello». La Parola abita il discepolo perché il discepolo la abita, vive della Parola e nella parola, per questo non c’è tempio: «il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio». Tempio del discepolo è la Parola vivificata dallo Spirito.
Ora tutto questo prima di essere una promessa futura, è già una realtà vissuta dal cristiano-discepolo… che si attua storicamente e giunge fino a noi anche nella testimonianza della vita della comunità credente, fin dai suoi albori: Come ci è descritto anche dalla prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli, dove gli Apostoli mostrano un coraggio inaudito!

Di quale coraggio si tratta?… Il brano ci parla di un concreto problema: cosa devono fare i pagani per convertirsi al Cristianesimo? Devono o non devono aderire in toto agli insegnamenti della Torah? Che si noti bene: data da Dio stesso!

Inoltre, Gesù non era forse ebreo? Certo che sì e osservava tutti i precetti della Torah ed era circonciso! E disse che neanche uno iota della Torah passerà… Dunque pare evidente che se un pagano vuole farsi cristiano deve fare come Gesù e quindi convertirsi nello stesso tempo all’ebraismo!
Gli apostoli stessi erano ebrei, circoncisi e praticanti: ancora negli Atti si vede che per la preghiera, come ogni pio israelita si recavano al tempio e alla sinagoga…
Quindi sembrava logico, che chiunque venisse da un’altra cultura, da un’altra religione, da un’altra etnia, dovesse prima di tutto inserirsi, nella religione, nella cultura e nell’etnia giudaica… Non è forse lo stesso ragionamento di molti cristiani che trovano ovvio pretendere ad altri la propria “superiore cultura cristiana”?…

Aperti alla storia di ogni uomo
Invece gli apostoli facendo un salto culturale senza precedenti, manifestano un coraggio inaudito che li rende capaci, lasciandosi guidare dallo Spirito di Cristo, di “staccarsi”, di andare oltre, persino al Cristo secondo la storia… per entrare nella prospettiva del Cristo secondo la gloria.

Ecco in che cosa consiste, concretamente, il lasciarsi guidare, illuminare, soltanto dallo Spirito di Cristo che fa rivivere in noi la sua parola: avere il coraggio di andare oltre persino alla propria storia, al proprio cammino storico-culturale di fede, per saper dare risposte nuove a domande nuove, che i problemi nuovi dell’incontro con l’altro propone alla nostra storia quotidiana…
Non esistono risposte che vanno bene per tutte le domande, per tutti i periodi storici, per ogni uomo e donna, per ogni situazione… Il dono dello Spirito che rivitalizza la parola-azione di Cristo nella storia della comunità credente, rende capace l’uomo di una libertà inaudita persino rispetto alle proprie più sacre tradizioni…

Sulle ali dello Spirito…
Il cammino fatto fin qui di comprensione della “parola” che la Chiesa ci propone nella liturgia odierna, ci dice quanto il nostro vissuto ecclesiale debba maturare per vivere questa realtà e questo coraggio che nascono dall’amore alla Parola… In nome della Tradizione, spesso si è voluto giustificare il nostro tradimento all’amore per la Parola di Gesù.
Quante volte diciamo che una cosa non si può fare perché nella Tradizione non è mai stata fatta… quante volte abbiamo detto di non sentirci autorizzati a cambiare quello che hanno deciso gli Apostoli… Gli Apostoli stessi invece ci mostrano, in quello che è il Vangelo della Chiesa, che non solo si può, ma – perché la salvezza di Cristo raggiunga ogni uomo nell’oggi della storia – addirittura si deve! Questo è il “comandamento” dell’amore! Che diffonde nel mondo il “rallegrarsi” dei discepoli e non “intristisce lo Spirito” liberandone la forza creativa.

Ma anche nel nostro vissuto familiare, spesso noi adulti, abbiamo rifiutato l’incontro con i nostri figli e nipoti (per parlare di persone che pretendiamo amare), semplicemente perché andare incontro a loro, capire veramente le domande del loro cuore e concordare con ciascuno di loro percorsi educativi per una ricerca comune di una risposta adeguata, avrebbe richiesto l’uscire dai nostri schemi, dalle nostre certezze, dai nostri innegoziabili principi… maschere delle nostre paure, frutto della nostra mancanza di fede e di amore verso la Parola ri-creatrice!

Ciò che l’amore alla Parola di Gesù ci propone invece è di rivivere l’esperienza di Gesù che si aperto all’incontro con l’altro anche a costo di diventare un “maledetto da Dio” (e maledetto dalla sua comunità credente!) avendo come solo conforto (paraklesis) la testimonianza del nostro amore per la sua Parola attestato nella nostra vita dallo Spirito Paraclito donatoci dal Padre… e da noi “riconsegnato” al Padre e al mondo.

1 commento:

Denise Cecilia ha detto...

L'informazione e la formazione (cultura / dottrina) son cose ben diverse dalla conoscenza.
Parafraso un periodo da un libro appena letto, che mi pare calzi alla perfezione quale riepilogo di un punto focale della tua lectio.

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