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sabato 18 settembre 2010

XXV Domenica del Tempo Ordinario: Fatevi degli amici con la disonesta ricchezza

Il vangelo che la Chiesa ci propone in questa venticinquesima domenica del Tempo Ordinario, è uno di quei testi che va letto diverse volte, prima che riesca a convincere di essere davvero tratto dal Nuovo Testamento – «fatevi degli amici con la ricchezza disonesta» (?!?) – e prima che si colga bene quel che vuole arrivare a dire: la spiegazione della parabola sembra infatti continuamente correggersi… in principio c’è una lode per l’amministratore disonesto («Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza»), ma subito sembra che egli sia da far rientrare nella categoria dei “figli di questo mondo” in opposizione ai “figli della luce” («I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce»); vi è poi l’invito sconcertante «fatevi degli amici con la ricchezza disonesta», seguito però subito da un’affermazione che pare screditare la disonestà: «Chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».


Dunque bisogna essere disonesti o no?!?

In altre parole… Cosa sta dicendo il Signore in queste sue parole che Luca riporta?

Io credo che innanzitutto sia necessario chiarirsi le idee riguardo alla “disonestà” chiamata in causa, perché i diversi accenti che si possono dare a questa parola sono quelli che fanno oscillare in un verso o nell’altro il senso del nostro brano.

Noi infatti immediatamente attribuiamo alla locuzione “disonesta ricchezza” tutta una gamma di riferimenti alla criminalità che quotidianamente giunge alle nostre orecchie: furti, corruzioni, affari illeciti, mafie, lobby, ecc… ecc… ecc… E l’obiezione che ci nasce istintiva è quella per cui ci vien da dire: Ma il Signore sta elogiando questi signori, questi modi di stare al mondo? Con una certa trepidazione nel rispondere perché, da un lato è ovvio che “Così non può essere”, ma dall’altro non si sa bene come collocare le parole di Gesù («fatevi degli amici con la ricchezza disonesta»), che sembrano piuttosto evidenti e “smontabili” sono attraverso dei gran giri di parole che però ci lasciano con un pugno di mosche in mano e tanta confusione…

Ciò che, però, potrebbe indirizzare la nostra riflessione è, come si accennava, il tentativo di comprendere un po’ più in profondità l’espressione “disonesta ricchezza”, soprattutto trovandole un senso che sia coerente anche con il prosieguo del discorso, quando addirittura si invita alla fedeltà nella ricchezza disonesta («Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera?»), che sembra un’insensata antitesi – come si fa ad essere fedeli (dunque in qualche modo “onesti”) nella disonestà? – ma che lascia già trasparire che la nostra immediata associazione alle attività criminali non è forse quella più corretta…

Ciò che infatti emerge soprattutto da quest’ultima menzione della “disonesta ricchezza” è il suo essere in antitesi non con quella “onesta”, ma con quella “vera”; a dire che in gioco non vi è la legalità o meno di un certo atto, ma l’intero impianto dei rapporti umani: la “disonesta ricchezza” non è qui il frutto di un furto (comunque esso sia inteso), ma la logica mondana dell’impostazione relazionale tra gli uomini e le cose e tra gli uomini tra di loro. La “disonesta ricchezza” è l’ingiusta economia umana, dove “economia” ha il respiro ampio che proviene dalla sua etimologia.

Da questo punto di vista nella “disonesta economia” non si può decidere di entrare con un atto della propria volontà che deliberatamente si esprime per la scelta di commettere azioni illecite e criminose… più radicalmente nella “disonesta economia” ci troviamo immersi… la ereditiamo e contemporaneamente la rilanciamo: «La ricchezza infatti è, per definizione, sperequazione. Ogni bene che hai in più dell’altro, gli è tolto, e diventa indigesto! Questa ingiustizia non è rimediabile neanche con il crisma cristiano. […] Nessuno può sfuggire alla necessità di gestire i suoi beni, piccoli o grandi che siano. Beni economici, ma non solo, forse soprattutto beni di mente e di cuore… che sono un immenso privilegio, visto che tanta gente ne patisce la mancanza. Il profeta ha parole terribili contro chi compra i poveri come merce e li calpesta… E nella Parola di Dio ci sono le risposte migliori che l’uomo ha scoperto nella sua storia e possono illuminare la sua “amministrazione”. Ma non risolvono il problema della scadenza del nostro impegno, che arriverà, quando non avremo ancora finito di “aggiustare” l’ingiustizia in cui siamo immersi. La sofferenza, la miseria, la fame, ci saranno ancora, dopo i nostri irrinunciabili tentativi di bene!» [Giuliano].

È dentro qui, dentro a questo scenario che l’amministratore della parabola viene lodato, per la sua saggezza («è la stessa parola usata per il comportamento “saggio” di chi mette fondamenta solide alla sua casa – Mt 7,24 –, per le vergini “sagge” che si premuniscono di olio – Mt 25,2ss… Per chi capisce, dunque, il cuore del messaggio evangelico e cerca di “adeguarsi” alla situazione completamente nuova che Gesù è venuto a portare» [Giuliano]): egli, infatti, dentro ad una situazione in qualche modo irrisolvibile (che per lui era la perdita dell’amministrazione – «Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare» – e per noi è la “disonesta ricchezza” in cui siamo immersi come singoli, come Chiesa, come umanità) adopera l’unico criterio d’azione “vero” (in linea cioè con la “ricchezza vera” che il Signore, parlando, metteva in antitesi con quella “disonesta” degli uomini), che è l’amicizia: «L’amministratore adesso ha l’obiettivo di far felici i lavoratori. Finalmente si occupa del loro bisogno(dei loro debiti impagabili) e non della loro più o meno insufficiente produzione. Il fattore sa che la dinamica del dono è contagiosa e inizia un circuito di benevolenza nel quale dovrà per forza essere coinvolto anche lui, e troverà così anche lui la casa e la sicurezza che ha perduto. Questo amministratore è saggio. Ha capito bene, al di là dell’apparente imbroglio, le vere intenzioni del suo Padrone. Sa che, alla fine, sarà “elogiato”. Ha trasformato il suo mestiere e tutta la sua vita sulla misura e sulla forma della vita del suo Signore: ha messo tutto il suo piccolo potere, la sua creatività e il suo impegno …a farsi degli amici, perché l’amicizia e la solidarietà sono gli unici strumenti validi che non patiscono la scadenza del mestiere di vivere quaggiù. […] Solo così si capisce chi è veramente il nostro Padrone definitivo e quale strana logica antieconomica hanno praticato, tra lui e suo Padre. Questi, rimproverato, perché coccolava troppo il figlio scappato di casa. Rimbrottato, perché pagava uguale gli operai dell’ultima ora e quelli della prima. Gesù poi lasciava sprecare un balsamo che valeva centinaia di euro. Prevedeva una gerarchia in paradiso con in testa le prostitute e i pubblicani…, sosteneva che la roba si accumula e centuplica a darla via, non a tenerla per sé … Ecco l’antidoto, il fermento evangelico, il vino nuovo… Che non ci è dato per sostituire il nostro impegno di giustizia, ma per trasformare il mondo sempre relativamente ingiusto, in un luogo in cui l’amore e la misericordia, senza calcoli, siano l’estrema misura di tutti i rapporti» [Giuliano].

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