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giovedì 30 giugno 2011

XIV Domenica del Tempo Ordinario: Tre “carezze accelerate”

Dopo le grandi solennità che ci hanno accompagnato in questo ultimo periodo post-pasquale, ricomincia – anche per le domeniche – il Tempo Ordinario, che ci accompagnerà fino all’inizio del prossimo Avvento.


Secondo il calendario liturgico, domenica entriamo, infatti, nella XIV settimana del Tempo Ordinario e la liturgia ci fa “ripartire” con questa ferialità del tempo dal capitolo 11 del vangelo di Matteo.

Se consideriamo che l’ultima domenica del Tempo Ordinario – prima dell’interruzione quaresimale e poi pasquale – era la IX e il vangelo era tratto dal capitolo 7 di Matteo, ci accorgiamo subito che c’è un salto di circa 3 capitoli e mezzo…

È utile allora, prima di affrontare il brano odierno, rifare un po’ il punto della situazione: i primi due capitoli del vangelo di Matteo ci avevano raccontato l’infanzia di Gesù (dal punto di vista del suo padre legale, Giuseppe), i capitoli 3 e 4 avevano presentato l’inizio della sua missione (il trittico sinottico – ossia la predicazione e il battesimo di Giovanni Battista, il battesimo di Gesù, le tentazioni nel deserto; il ritorno in Galilea; la chiamata dei primi quattro discepoli; gli insegnamenti e i gesti di liberazione dal male di Gesù), i capitoli dal 5 al 7 contenevano, poi, il cosiddetto “discorso della montagna” (col la proclamazione delle beatitudini e della giustizia nuova che Gesù – con autorità – propone agli uomini – suggellata dall’invito all’amore per i nemici)… e i capitoli 8-9-10?

Essi costituiscono quella parte del vangelo di Matteo che usualmente viene chiamata “La predicazione del Regno dei cieli” e che si compone di una sezione narrativa in cui vengono raccontati dieci miracoli, le parole di Gesù sulle esigenze della sequela, la chiamata di Matteo, un pasto di Gesù con i peccatori e la conseguente discussione sul digiuno e infine il cosiddetto “discorso missionario”.

Prima di giungere al nostro brano (Mt 11,25-30), ci sono poi i primi 24 versetti del capitolo 11…

Rubando le parole a Giuliano, potremmo dunque dir così: «si va manifestando sempre più l’identità vera di Gesù e quindi della sua missione tra di noi e la nostra difficoltà a capirla. Abbiamo visto Gesù che va a pranzo con i peccatori e i pubblicani …e i farisei si scandalizzano. Gesù si commuove di compassione per le folle perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore, e vuole che i suoi discepoli le consolino e le curino … In questo capitolo 11°, si intensificano incomprensioni e resistenze verso di lui: Giovanni Battista non ne coglie la novità, il popolo non lo comprende, i farisei lo dichiarano indemoniato, e i villaggi sul lago, dove più si è speso come amico, profeta, taumaturgo, sono refrattari al suo messaggio. Gesù ne rimane molto deluso…: ha nelle orecchie i commenti su di lui degli esperti delle Scritture: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori… e soffre per l’inutilità della sua predicazione: “si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite…” É arrivato al fondo di un vicolo cieco e proprio qui, si apre uno squarcio inaspettato di gioia… si spalancano orizzonti nuovi luminosi, entro i quali addirittura brilla il volto del Padre e in lui Gesù sussulta di riconoscenza ed esulta nello Spirito Santo (Lc 10 21), perché ritrova il senso della sua avventura in questo mondo».

Improvvisamente infatti prorompe nella preghiera che coincide con il testo evangelico di questa domenica: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.

Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero»!

È un testo bellissimo… che contiene tre fondamentali affermazioni (identificabili anche graficamente).

1- La prima… quella che ci fa più problema… o almeno quella che mi fa più problema… perché mi accorgo che spesso il tentativo è quello di presentarsi e di pensarsi – appunto – come sapienti e dotti agli occhi del mondo, agli occhi degli altri, agli occhi propri… con un atteggiamento non lontano nella dinamica da quello del fariseo della parabola di Lc 18,10-14 («O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano»), dove appunto in gioco c’è «l’intima presunzione di essere giusti» o migliori degli altri – che dunque “si possono disprezzare” («Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri», Lc 18,9)… E ogni volta – per fortuna! – la prima frase del vangelo odierno arriva come uno schiaffo a tirarmi fuori dai desideri di grandezza (soprattutto moral religiosi – o come li si vuol chiamare – che sono i peggiori, perché ben confezionati da quella che santa Teresa chiamava “falsa umiltà”!) e mi impone di domandarmi: “Perché questa frase ti fa venir male alla pancia, se è così bella, se custodisce i piccoli, ecc…?”. Forse perché – appunto – a tutti piace prendersi cura dei piccoli (da grandi che siamo), ma a nessuno piace essere considerati tali… Infatti mi chiedevo già tre anni fa – e non è un bel segno che me lo stia chiedendo ancora dopo tre anni… – quanto sarebbe diverso se, leggendo questo testo, io fossi – davvero – piccola tra i piccoli… Non mi verrebbe il mal di pancia… anzi mi si allargherebbe il sorriso… E invece mi viene il mal di pancia… che vuol dire che ce n’è davvero ancora tanta di strada da fare per convertire le viscere e ficcarsi una buona volta in questa testona che tutti esistenzialmente siam dei piccoli… e voler fare i grandi può servire per un po’ ad acquietarci le paure, ma in fin dei conti, fa solo ridere i polli…

2- La seconda non fa venire il mal di pancia, ma fa saltar le coronarie… perché è potente! «Tutto è stato dato a me dal Padre mio» dice Gesù… Cioè vuol dire che Dio – che noi ci immaginiamo sempre come così misterioso e lontano – in realtà per l’uomo non ha segreti. Egli infatti, conosciuto da sempre in tutto e per tutto dal Figlio suo, gli ha dato il potere di “dircelo anche a noi” chi è Dio… e Lui l’ha fatto! Tant’è che san Giovanni della Croce ha potuto scrivere: «Perciò chi volesse interrogare il Signore e chiedergli qualche visione o rivelazione non solo commetterebbe una sciocchezza, ma arrecherebbe un’offesa a Dio, non fissando i suoi occhi interamente in Cristo per andare in cerca di altra cosa o novità. Invece il Signore gli potrebbe rispondere in questo modo: “Se io ti ho detto tutta la verità nella mia parola, cioè nel mio Figlio, e non altro ho da manifestarti, come ti posso rispondere o rivelare qualche altra cosa? Fissa gli occhi su Lui solo, nel quale io ti ho detto e ho rivelato tutto, e vi troverai anche più di quanto chiedi e desideri» [S. GIOVANNI DELLA CROCE, Salita del Monte Carmelo, cap. 22,6, in ID., Opere, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1979, 175].

Ma, nonostante fosse un’evidenza per la prima comunità cristiana, nonostante le parole di Giovanni della Croce di 500 anni fa, nonostante la Dei Verbum del Vaticano II (di cui – fra i vari numeri citabili – ci limitiamo al «4. Dopo avere Iddio, a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, “alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” – Eb 1,1-2. Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio – cfr. Gv 1,1-18. Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come “uomo agli uomini”, “parla le parole di Dio” – Gv 3,34 – e porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre –cfr. Gv 5,36; 17,4. Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre – cfr. Gv 14,9 –, col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna. L'economia cristiana dunque, in quanto è l'Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun'altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo – cfr. 1 Tm 6,14 e Tt 2,13»)… nonostante tutto questo la potenza dell’affermazione che la storia di Gesù è il volto di Dio, non è ancora riuscita a conformare le nostre esistenze…

E questa è la seconda sberla che questo vangelo ci/mi dà… Siamo troppo dis-persi (anche solo religiosamente parlando) in ciò che non è Lui…

3- Eppure era stato proprio Lui (come testimonia la terza affermazione del vangelo di domenica) a dirci cosa fare nella dispersione: «Venite a me!»…

L’invito che mi faccio e vi faccio – dunque – dopo le due “sberle” di prima, è quello di prendere la “terza”… un bello sberlone (che qualcuno definiva “una carezza accelerata”) che ci giri la testa via da tutto ciò che la nostra mente trasforma in oppressione e affanno, perché possa rispondere a quello strepitoso «Venite a me!», con una corsa dalle lacrime agli occhi… la corsa di chi sente rotte le catene – sempre e solo figlie della paura che nemmeno uno ci voglia bene… rotte appunto dalla buona notizia che, invece – come diceva il mio amico Davide (avvocato difensore) per i delinquenti («Ci deve essere almeno un rappresentante della società – l’avvocato appunto – che sta dalla sua parte!») – uno (almeno uno) che ti vuole bene, c’è sempre!

1 commento:

maria sole ha detto...

Perchè ci arrotoliano sempre nei dolori di pancia? E' la semplicità di essere che noi offriamo sia al Padre che al Figlio, continuamente, con il nostro vivere per...... con...... in......
E' la sincerità di questa offerta che fa la differenza, senza secondi fini più o meno nascosti, così come è possibile ai noi poveri uomini, che tentano di portare LUI al centro della VITA.
Non credo nella scaltrezza quale prerogativa di un cammino, non ci credo proprio, anzi..... prima o poi ti torna il conto.

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