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venerdì 21 settembre 2012

XXV Domenica del Tempo Ordinario

Dal libro della Sapienza (Sap 2,12.17-20)

[Dissero gli empi:] «Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta. Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine. Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, per conoscere la sua mitezza e saggiare il suo spirito di sopportazione. Condanniamolo a una morte infamante, perché secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».

 

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (Gc 3,16-4,3)

Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia. Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite ad ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni.

 

Dal vangelo secondo Marco (Mc 9,30-37)

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafarnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

 

Dopo la prima settimana di scuola, quando noi maestre abbiamo già tutti i capelli dritti per la disperazione, il vangelo di questa Venticinquesima Domenica del Tempo Ordinario cade proprio a fagiolo… «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»…

 

A parte il facile umorismo, questa introduzione mi serviva per dire che questa settimana mi piacerebbe concentrarmi su quest’ultima frase del vangelo. La prima parte infatti, rispecchia in qualche modo la scena di settimana scorsa: siamo di fronte al secondo annuncio della passione che Gesù fa in Galilea, con la consueta incomprensione dei discepoli e una sua parola sulla sequela (tutti gli annunci di passione sono infatti costruiti con questo schema ternario: annuncio; incomprensione; insegnamento di Gesù sul discepolato).

Ciò che, innanzitutto, vorrei guardare di quell’ultima frase che il brano di vangelo riporta, è il suo secondo stico («Chi accoglie me [= Gesù], non accoglie me, ma colui che mi ha mandato [= il Padre]»), perché qua dentro è contenuta la verità più grande del fatto cristiano, troppe volte dimenticata… E cioè che per un cristiano il volto di Dio non è ignoto, ma coincide con la storia di Gesù (cfr. anche Gv 12,45: «Chi vede me, vede colui che mi ha mandato»).

Questo è il novum che il Cristianesimo porta nella storia dell’umanità, ponendosi in scia con l’Ebraismo e portandolo a compimento. Infatti, mentre per millenni l’uomo ha continuato ad immaginarsi (che vuol poi dire “inventarsi”!) dio o gli dei a partire da sé (dalla paura che il fulmine che vedeva cadere gli ingenerava, dal bisogno che il suo campo producesse frutti o che le sue bestie partorissero piccoli sani, ecc…), con il Dio biblico – per la prima volta – è Dio che “si dice”, dice qualcosa di sé (ecco la grande storia del popolo ebraico!): non è più un dio inventato dall’uomo, cercato dall’uomo, prodotto dai suoi bisogni… Ma è un Dio che cerca l’uomo, che gli si fa presente, che gli si manifesta: un Dio che decide di farsi conoscere.

Il culmine di questo percorso, di questa “rivelazione”, per i cristiani, avviene in Gesù, che non è più solo uno dei grandi profeti del passato, non è più solo uno dei grandi uomini di Dio che si sono succeduti nella storia, ma è colui, vedendo il quale, si vede che faccia c’ha Dio!

Ecco il passettino in più che i cristiani fanno, che è ciò che li distingue anche dai musulmani. Infatti, mentre per ebrei ed islamici il volto di Dio resta sempre in qualche modo celato, velato e dunque, per certi aspetti passibile di ambiguità (Egli mantiene una certa misteriosità, dentro alla quale l’uomo può sempre temere che si nasconda un volto duro di Dio), per i cristiani il volto di Dio è inequivoco, perché ri-velato, incontrabile, “accoglibile”… nella storia di Gesù!

Questo è lo strepitoso del fatto cristiano: che Dio sia conoscibile nella storia dell’uomo Gesù; e lo sia “senza ombra di dubbio”, senza cioè possibilità di una doppiezza nascosta dentro alla sua misteriosità! Dio Padre è quella “cosa” lì che si è vista in Gesù: e solo quella!

Ecco perché Gesù può dire: «Chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Ma forse – si trattasse anche solo di questo – non faremmo poi così fatica a cogliere e accogliere lo “scaravoltamento” che si attua con queste parole di Gesù… Il punto è che la famosa frase aveva anche un primo stico… ancora più difficile da digerire per le nostre inconvertibili mentalità religiose, e cioè: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me».

Proseguendo infatti con la nostra lettura al contrario del versetto 37, se ne deduce questa logica: accoglie Dio, chi accoglie Gesù; e accoglie Gesù, chi accoglie i bambini… Entra cioè in relazione con Dio (che è il grande progetto dell’uomo da che è uomo!), chi si fa intrecciare la vita con quella di Gesù, con quella sua storia attestata da quelle parole che sono il vangelo...

E per fare tutto ciò… bisogna avere a che fare coi piccoli, bisogna accoglierli, non lasciarli ai margini della nostra società “dei grandi”…

Chi l’avrebbe mai detto!?!? Secoli e secoli di tentativi di saltare lassù dove pensavamo fosse Dio, per poi scoprire (parola sua!) che bisognava chinarsi quaggiù sulla terra: chinarsi perché i bambini sono un po’ cortini e se li vuoi guardare in faccia ti devi fare bassetto anche tu…

Come per tutti i piccoli della storia, bambini o non bambini… li raggiungi, li guardi in faccia, ti fai guardare in faccia, solo se ti approssimi – almeno un po’ – a dove sono loro, al punto di vista da cui guardano il mondo, proprio come i bimbi che ci immaginano come dei giganti solo perché ci guardano dal basso!

Che sia proprio così… lo si vede poi dal fatto che quanto il Signore andava annunciando, l’ha poi realizzato davvero… Lui per primo si è messo a guardare la storia dal punto di vista dei piccoli, degli ultimi, dei maledetti… Per quello che in Lui non c’è stata poi più maledizione, punizione, vendetta… Questo timore, che sempre ci ritorna (come ha mirabilmente tratteggiato l’autore biblico, quando si è inventato il mito del peccato originale), che dio sia anche questa cosa qui e che dietro al volto buono che ci ha mostrato ne nasconda uno duro, intransigente, calcolatore, in Gesù è definitivamente spazzato via… Se torna (il timore) è perché non ci siamo fatti davvero impregnare dalla sua logica o perché ce la siamo momentaneamente scordata… Se fa paura, non è Lui!

Se abbiamo paura, Lui è quello che si fa bassetto, per riuscire a guardarci in faccia, noi che per paura ci siamo rimpiccioliti, e – guardando dal nostro punto di vista – ci insegna a guardare col suo sguardo.


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