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venerdì 31 gennaio 2014

Presentazione del Signore


Dal libro del profeta Malachìa (Ml 3,1-4)

Così dice il Signore Dio: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».

 

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 2,14-18)

Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,22-40)

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.

Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

 

In questa Domenica di Presentazione del Signore vorrei soffermarmi sul Cantico di Simeone, noto anche come Nunc dimittis, dalle parole con cui questa preghiera inizia nella sua versione latina.

Prima di inoltrarci nella riflessione sul testo in sé, vorrei, però, inquadrare questa preghiera nel suo contesto evangelico.

Nei versetti 21-24 del capitolo 2 di Luca troviamo l’adempimento da parte di Maria e Giuseppe, di tre prescrizioni ebraiche legate alla nascita di un primogenito (maschio):

1- La circoncisione;     2- La purificazione della madre;     3- Il riscatto del fanciullo.

L’evangelista Luca, raccontando dell’osservanza di queste prescrizioni, vuole mostrare come Gesù «nato da donna, nato sotto la legge» (Gal 4,4), fin da subito sia inserito nella vita dell’ebreo osservante (per 4 volte nel testo viene ribadita l’osservanza della legge: vv. 22.23.24.27).

Inoltre la famiglia di Gesù – per l’assolvimento di tutte queste prescrizioni – paga la tassa dei poveri «una coppia di tortore o due giovani colombi», non quella dei benestanti (un agnello).

Gesù dunque nasce povero e sotto la legge.

Nei versetti 25-28 viene invece presentato colui al quale Luca metterà in bocca il Nunc Dimittis: Simeone.

Di lui si dice che era un uomo giusto, pio, aspettante la consolazione (= paràklesis, da cui la parola paraclito) di Israele.

“Aspettante” è un participio. Con questa forma verbale l’evangelista vuole dirci che l’atteggiamento dell’attesa per Simeone era una situazione costante, non momentanea.

Forse proprio questo verbo lo caratterizza più di tutti: Simeone potrebbe essere chiamato l’“aspettante”, colui che aspetta.

L’aspettante… Che cosa? La consolazione di Israele. Che è qualcosa che egli ha già come iscritto nell’identità: Simeone infatti è un nome che deriva dal verbo ebraico “ascoltare” (uno dei verbi più importanti per un Israelita – cfr. lo Shemà Israèl, Dt 6,4), cosicché il suo nome significa “Dio ha ascoltato”.

Infine di Simeone ci viene detto che «lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore».

Anche qui sarebbe interessante capire cosa la nostra mentalità ci dice su questo annuncio dello Spirito santo… quanto di magico e poco cristiano c’è nel nostro immaginario? Come lo Spirito santo può parlare ad un uomo?

Sono domande che lascio alla vostra riflessione, per stimolarvi a non accontentarvi di quanto l’immaginario, costruito quando avevamo 7 anni e andavamo a catechismo, ci suggerisce in prima battuta.

Anche perché – per esempio – il versetto successivo torna a parlare di questo Spirito santo dicendo: «Mosso dallo Spirito, [Simeone] si recò al tempio»… Peccato che quel “mosso” nel greco non c’è. Il testo originario suona così: «E [Simeone] venne nello Spirito al tempio».

Potremmo dunque dire che Simeone – l’aspettante – in questo suo aspettare è nello Spirito di Dio. È in sintonia con lui.

E infatti la sua attesa trova un compimento (proprio come il suo nome faceva presagire: Dio ha ascoltato): al tempio incontra Gesù (che ha 40 giorni) e i suoi genitori.

Cosa avrà visto in questo scricciolo di pelle umana lo sa solo lui… fatto sta che lo accolse fra le braccia e benedisse Dio:

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».

Il testo, nella nuova versione CEI del 2008, è un po’ diverso da come lo avevamo imparato a memoria, ma è più aderente al testo greco originario.

Solo qualche annotazione esegetica, prima di farne un discorso di senso:

-       Le parole di Simeone sono tratte dal libro di Isaia, che:

o   al cap. 52,10 diceva: «Il Signore ha snudato il suo santo braccio / davanti a tutte le nazioni; / tutti i confini della terra vedrannola salvezza del nostro Dio»;

o   al cap. 46,13: «Faccio avvicinare la mia giustizia: non è lontana; / la mia salvezza non tarderà. / Io porrò in Sion la salvezza, / a Israele darò la mia gloria»;

o   al cap. 49,6: «Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».

-       A differenza di Isaia però i verbi del Nunc Dimittisnon sono più al futuro, ma al passato: si tratta cioè di un fatto compiuto: Simeone se ne può andare (da questa vita) in pace perché ha visto la salvezza del Signore;

-       Una salvezza che è luce non per illuminare le genti, ma per la rivelazione alle genti: cioè il senso di quel bambino è quello di una rivelazione, anzi della rivelazione: la rivelazione del volto di Dio. Gesù è venuto a farci vedere in faccia, la faccia di Dio (cfr. la traduzione letterale: «i miei occhi hanno visto la tua salvezza che hai preparato di fronte alla faccia di tutti i popoli»). Lo sottolineo perché la teologia preconciliare aveva la tendenza a presentare la venuta di Gesù con un carattere amartio-centrico (cioè con al centro il peccato): perché Gesù è venuto? Per salvare l’uomo, che aveva peccato. Si faceva cioè in qualche modo dipendere la venuta di Cristo dal peccato dell’uomo, che dunque risultava centrale (tant’è che poi i teologi erano in imbarazzo a rispondere alla domanda: “Ma se l’uomo non avesse peccato, allora Gesù non sarebbe venuto?”). Invece il Concilio Vaticano II raccogliendo tutti quegli studi sotterranei e spesso combattuti dalla gerarchia ecclesiastica che si erano svolti nella prima parte del Novecento, ribalta la prospettiva: la storia della salvezza non è amartio-centrica, ma cristo-centrica, perché – certo, Gesù è venuto a salvare il mondo – ma esattamente rivelando il vero volto del Padre. Ecco perché grande peso – fra tutti i documenti conciliari – ha proprio la Dei Verbum, dove con una sinteticità strepitosa si riesce a dire tutto questo ribaltamento teologico: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione» [DV 2].

-       Una rivelazione che è per tutti i popoli: è cioè universale, non particolare. Ecco il vero senso di chiamare la Chiesa cattolica.

 

Tornando al Nunc Dimittis: tradizionalmente Simeone è stato pensato come un uomo anziano, che dopo aver aspettato per tutta la vita il compimento delle promesse di Israele con in cuore la rivelazione che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore, ora, finalmente se ne può andare in pace.

In realtà nel testo non è detto che Simeone era anziano (verrà detto di Anna, qualche versetto dopo, Lc 2,36), ma effettivamente il tenore delle sue parole e il riferimento alla morte, lasciano pensare che sia così.

Ad ogni modo è indubbio che il Nunc Dimittispossa essere definito come “La preghiera per la fine della vita”, dove l’orante, che proclamerà di aver incontrato nella sua vita la salvezza, chiede/afferma di essere lasciato andare, di poter andare in pace.
Sarebbe bello, per tutti, arrivare al momento della morte, e poter dire queste parole: non recitarle a vanvera, sperando che ci aprano il paradiso, ma – magari anche senza dirle né a parole né nella mente – farle trasudare dal nostro essere; arrivare cioè alla fine così, capaci di andarcene, perché in vita abbiamo riconosciuto una salvezza, un incontro, un po’ di bene, un po’ di pelle mischiata con qualcun altro, una lacrima asciugata, un po’ di passione, un po’ di calore…

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