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martedì 4 marzo 2014

I Domenica di Quaresima


Dal libro della Gènesi (Gen 2,7-9; 3,1-7)
Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 5,12-19)
Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato. Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.
 
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 4,1-11)
In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
 
Domani – mercoledì delle ceneri – inizia per la Chiesa un’altra quaresima… Domenica prossima è quindi la I di questo tempo forte. Le letture ancora una volta ci portano a meditare sul testo evangelico delle tentazioni nel deserto e sul brano genesiaco di Adamo ed Eva.
Su entrambi questi testi sono state scritte tantissime cose – dalle fonti più disparate – e anch’io ne ho già scritte molte… Perciò ho pensato, per questa lectio, di mettere insieme vari spunti che facciano pensare.
 
Innanzitutto: il tema che fa da porta d’ingresso alla quaresima è quello del male. Questo tempo forte infatti serve proprio nella Chiesa per prepararsi alla Pasqua – che è il mistero dell’incontro-scontro di Gesù con il male.
E allora poniamo fin da principio una questione: che cosa è il male?
Perché, del fatto che esso esista non c’è bisogno di convincere nessuno. Tanto meno è necessario convincere della sua complessità: esso possiede infatti articolazioni tali da arrivare a coprire tutto il campo umano (male fisico, male psichico, male morale… male subito, male inflitto… dolore colpevole, dolore innocente…).
Ma cosa intendiamo quando diciamo “male”?
Non è questione di errori, sbagli, imperfezioni, limiti; tutte cose che presuppongono una perfettibilità e quindi una risoluzione già umanamente possibile del problema. No! Il male di cui si parla nella Bibbia è quello che mette in discussione la realtà stessa del mondo, dell’uomo, di Dio, della mia interiorità.
La radicalità del male la si evince già dalle parole di Dio: «dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti» (Gn 2,17).
È quello che magistralmente Dostoevskij mostra in un passo de I fratelli Karamazov a proposito del dolore innocente, il paradigma più emblematico della radicalità del male:
«C'era una bambina di cinque anni, venuta in odio al padre e alla madre, persone rispettabilissime, di ottimo ceto sociale, ben educate e istruite. […] Quella povera bambina di cinque anni fu sottoposta a sevizie di ogni genere da parte dei colti genitori. La picchiavano, la frustavano, la prendevano a calci, senza motivo, sino a ridurle il corpo a un ammasso di lividi; alla fine, si spinsero a livelli di maggiore ricercatezza: la chiudevano per tutta la notte al freddo, al gelo di una latrina e, per punirla del fatto che lei non chiamava in tempo per fare i suoi bisogni, le insudiciavano la faccia con le sue feci e la costringevano a mangiare quelle feci, ed era la madre, la madre a costringerla! E quella madre era capace di continuare a dormire, quando di notte si udivano i lamenti della povera bambina, chiusa a chiave in quel lurido postaccio! Lo capisci questo, quando un piccolo esserino che non è ancora in grado di capire che cosa gli stanno facendo, si colpisce il petto straziato con il suo pugno piccino, al freddo e al gelo di quel lurido postaccio, e piange lacrimucce insanguinate, dolci, prive di risentimento al "buon Dio", perché lo difenda? La capisci questa assurdità, amico mio, fratello mio, pio e umile novizio di Dio, tu lo capisci a che scopo è stata creata questa assurdità, a che cosa serve? Senza di essa, dicono, l'uomo non avrebbe potuto esistere sulla terra, giacché non avrebbe conosciuto il bene e il male. Ma a che serve conoscere questo maledetto bene e male, se il prezzo da pagare è così alto? Infatti, tutto un mondo di conoscenza non vale le lacrime di quella bambina al suo "buon Dio"».
Queste parole atroci, mettono in gioco proprio il peso radicale del male: esso tocca le fondamenta stesse della vita, della possibilità della vita, della possibilità della mia vita. Qualsiasi riflessione sul male (e su Dio) deve allora rendere conto delle lacrime di quella bambina, che non possono rimanere un grido inascoltato che viaggia nell’universo.
 
Chiarito che è di questo che si sta parlando, facciamo un secondo passo: è evidente che la questione del male chiama in causa il volto di Dio e il volto dell’uomo.
Partiamo dal volto di Dio, con le tre proposizioni di epicurea memoria da far collimare:
- Dio è buono;
- Dio è onnipotente;
- il male esiste.
Con le varie combinazioni possibili:
- se Dio è buono e onnipotente, unde malum?;
- se Dio è onnipotente e il male esiste, Dio vuole il male? Non è buono?;
- se Dio è buono eppure il male esiste, forse che non sia onnipotente? Forse che il male sia più forte di Lui?
Tutte conclusioni evidentemente inaccettabili per la fede cristiana. Ma allora? Chi è Dio? Chi è Dio di fronte a quelle lacrime? Di fronte a quella radicalità?
Non possono certo essere accettati quei tentativi di risposta che evitano la posta in gioco. Vanno rifiutati approcci quali: il male come pedagogia di dio, il male come punizione di dio, il male come conto da pagare a una felicità postuma, il male come appagamento che dio chiede per la giustizia... Non c’è margine di compromesso su queste impostazioni.
Esse mettono in campo un volto di dio che non è quello di Gesù: che mai ha inflitto il male a qualcuno per insegnargli qualcosa, punirlo di qualcosa, fargli pagare il paradiso, fargli saziare la sete di sangue di dio; e nemmeno mai ha interpretato il male che ha incontrato come mandato da Dio per insegnare, punire, pagare, saziare…
Questi nostri modi di far fronte al male “tirando in ballo dio” in questo modo vanno rifiutati.
E non ha senso nemmeno l’apportare come giustificazione per conservarli il fatto che essi abitino la tradizione cristiana. Certo, le ritroviamo lungo tanta parte dell’arco del pensiero cristiano, ma esse vanno intese semplicemente come i tentativi storici di trovare ragionevolezza nel dramma della sofferenza umana e non possono essere elevate a verità!
 
Chiarita dunque la questione in campo e scartata tutta una serie di visioni (valide dal punto di vista filosofico, ma) incompatibili con la rivelazione evangelica, proviamo allora ad affrontare la questione del male e del volto di Dio (e dell’uomo) per come emerge dalle Scritture.
Partiamo da Genesi.
Infatti in questo anno A, accanto al “classico” vangelo di tutte le prime domeniche di quaresima che è quello delle tentazioni di Gesù nel deserto, la prima lettura è il racconto del cosiddetto “peccato originale”.
“Originale” qui non indica qualcosa di “stravagante”… ma nemmeno qualcosa di “originario”, come se si stesse narrando del primo reale peccato commesso dall’umanità (dal primo uomo) con delle conseguenze a cascata su tutte le generazioni che sono seguite (come farebbe pensare e – per secoli – ha fatto pensare una certa interpretazione letterale dei testi). Siamo piuttosto davanti al racconto del peccato “originale” perché, dentro al mito di Genesi, si tenta di raccontare il “funzionamento” del peccato di sempre, la matrice di ogni male che l’uomo fa e si fa…
Proviamo dunque ad analizzarlo un po’ più da vicino… Innanzitutto: il serpente. Esso è una figura letteraria che nella finzione del mito ha la funzione di rappresentare la cattiva coscienza umana o ciò che la instilla nelle profondità del nostro cuore (perché è lì che si dà la lotta tra Bene e Male).
Dunque il serpente… che esordisce con una domanda curiosa: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Una domanda curiosa perché ha in sé una chiara esagerazione: non è infatti assolutamente vero che Dio ha detto di non mangiare di alcun albero del giardino! Perché allora fa questa domanda, così palesemente erronea? Perché esagera così tanto nel travisamento delle parole (della Parola – della Legge – del comandamento) di Dio? Perché ha in mente una strategia bene precisa: quella di insinuare nella donna il dubbio che l’intenzione di Dio (in ciò che dice) non sia per il bene dell’uomo, ma per una sua soggiogazione, mortificazione, limitazione… Instilla cioè nella donna il dubbio che il comandamento di Dio sia troppo esagerato per avere uno scopo benefico: è infatti così difficilmente osservabile, che la sua trasgressione diventa giustificabile.
Ecco il primo dato: il male si origina sempre per una messa in discussione della paternità/benevolenza di Dio… per una sospensione della fiducia riposta in questo volto… una sospensione che apre la strada per addentrarsi in altre vie, in altre ricerche di felicità e bontà.
E la donna ci casca… Se prestiamo infatti attenzione alla sua risposta («Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”»), ci accorgiamo immediatamente che essa si è fatta “tirar dentro” alla rete del serpente: riporta infatti a sua volta il presunto comandamento di Dio, ma anch’ella lo sbaglia/esagera in due punti non marginali.
Se infatti andiamo a prendere ciò che aveva detto Dio («Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire»), vediamo come gli errori della donna siano:
-          Nella proibizione: Dio aveva detto solo di non mangiare, mentre lei aggiunge (esagera) “non mangiare e non toccare”;
-          Nella dislocazione: Dio aveva detto di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male e non dell’albero al centro del giardino, che era l’albero della vita («Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male»)… come a dire che quando ci si insinua la tentazione del male, quest’ultimo diventa il centro del nostro mondo, dei nostri pensieri, dei nostri desideri…
Non a caso, la donna guardando al “frutto proibito” «vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza»… cioè era una via alternativa a quella di Dio che conteneva in sé tutto ciò che può soddisfare la ricerca della felicità: era buono (da mangiare, dunque appagava il desiderio corporeo), gradevole (agli occhi, dunque appagava il desiderio estetico), desiderabile (per acquistare saggezza, dunque appagava il desiderio di sensatezza)… appagava l’essere umano nella sua interezza… e di fatti «prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò»… Non prima però di aver sentito per l’ennesima volta il serpente parlare e mettere in discussione l’identità di Dio: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male».
Ecco consumato il peccato originale! Ecco raccontato cioè, non un peccato, ma lo “schema di funzionamento” di ognipeccato… Il problema biblico infatti non sono mai i peccati (al plurale), ma la loro radice più intima, chiamata – appunto – biblicamente, il peccato (al singolare), che è il dubbio su Dio. Questo infatti riesce a fare il serpente: instillare nella donna il dubbio che quel Dio che aveva sempre conosciuto come paterno, come benevolente (cioè come volente il suo bene), forse non lo è per davvero… forse nasconde una doppia faccia… un volto oscuro tenuto finora nascosto, per rivelarlo al momento opportuno, colpendoci alla sprovvista… con le sue punizioni, con le sue limitazioni, con le sue mortificazioni…
In proposito ho deciso di sottoporvi 2 testi di canzoni (diversissime tra loro) che trattano proprio di Adamo, Eva, Dio, il giardino, il peccato, ecc…
La prima è di Davide Van De Sfroos (che canta in dialetto comasco, ma vi ho messo anche la traduzione) e vuole essere più che altro una parodia, ma – al di là della parte ridanciana – non è per niente scema: anzi, coglie alcuni aspetti centrali, soprattutto su quella che è la tentazione istillata dal serpente riguardo al volto di Dio.
La seconda è di Fabrizio De Andrè e – anche se apparentemente ad un cristiano può sembrare “blasfema” (soprattutto in alcuni passaggi) – a me sembra molto interessante, perché mostra quello che un non credente – ascoltando i cattolici – capisce del mistero del male. Che volto di Dio abbiamo mostrato agli atei? Perché se il volto di dio è quello di cui lui parla, ha ragione a dirsi ateo. Allora è lui il blasfemo o noi che gli abbiamo mostrato un volto di dio (blasfemo) che non era quello di Gesù?


LA POMA (Van De Sfroos – dialetto comasco)
Adamo in sot la pianta vöreva far la pisa
Vaca che stremizzi, ghe salta fö na bisa
La bisa che la ceciara de quest e de quel
Adamo che g'ha paura che ghe cagna via l'usel
"Eva, Eva, ven scià anca te
Che voler men andar in mez duma me
Ghe ke na bisa che la vol parlà
Ghen sarie en mesté che noi pudimo far
"Adami, mi gh'ò schivi, sarà anca inteligent
Però en serpent le sempre un serpent"
Però a l'è curiosa, la vol sentir
Quel che la bisa la gha de dir
Ve ricorduf quela poma ve han dit de mai tucà?
Per me l'é na cazada, la poduf magnà
Ancha perché vioultri si ke
E intant il Padreterno chissà 'ndu a lè
Nii là a mangiar la poma, mangila tus düü
Che non ve suced nagot perché el ve ciapa pel cüü
Nii là a mangiar la poma, mangila tus düü
Magari diventuf più sebalas de lüü
Per una poma, per una poma
Propri quela poma, ma l'era la sua poma
Adamo, lu le na brava persona
E l'è brava anca la sua dona
è vero, è vero che ghem propri tut
G'ho mea de laorar, g'ho mea de far el magut
Se vo là a toccar la poma, magari el me se incazza
Me mola giò qualk fulmin, magari el me mazza
Ma intanto Eva la varda el so marì
Ghe dis che i é lì come du rembambì
In tütt el Paradììs i hennin giir dumà luur düü
E intaant el Padreternu chissà indue 'l s'è scundüü.
"Gh'émm tütt, gh'émm tütt,gh'émm tütt
Però intaant sémm in girr ammò biùtt
L'è inütil restà che cumé pòpp
Magari cun la poma vànn a posto tanti ròpp
Per una poma, per una poma
Propri quela poma, ma l'era la sua poma
Adamo in sö la pianta el vöer la poma
Ghe bòrla via la scala e varda là che toma,
La bissa la riid e l'Angel el se incàzza,
El rüva via a manetta cun scià una mazza
El fa una lüüs che l'è una beléza
Ghe mola un catfiich che umenti i a sgavezza
E Adamo ed Eva che i vöeren veenc,
I branchén scià la poma e la pìchen suta i deenc
La poma che la fa schivi, ghè deent anca l'cagnòtt
E Adamo ed Eva i tàchen a dàss bòtt.
El biss el riid cun la fàcia de balòss
El riid talmeent de güst che urmai se pìssa adòss,
E l'Angel el ghe diis "La v'è piasüda?"
E gò un oltru culpu e giò un oltra batüda.
El Padreterno che l'ha gnanca muvüü un dii
El varda nànn i düü rembambii :
"Vi ho dato il Paradiso e l'era mea assée
Vuréuff la poma e sempru püseée,
Ve piàas rubà, ve piàas fa la guéra?
Sii propi faa apposta per viif in söe la Tera.
E Adamo ed Eva, sia lee che lüü
Ne vànn del Paradiis a Pescìaat in del.
LA POMA (traduzione)
Adamo sotto la pianta voleva far pipì
vacca che spavento, gli salta fuori una biscia
la biscia chiacchera di questo e di quello
Adamo ha paura che gli morda l'uccello
"Eva,Eva,vieni qui anche tu
che non voglio andarci di mezzo solo io
c'è qui una biscia che vuol parlare
ci sarebbe qualcosa che potremmo fare…"
"Adamo,io ho schifo, sarà anche intelligente,
però un serpente è sempre un serpente"
Però è curiosa, vuole sentire
quello che la biscia ha da dire
"Vi ricordate quella mela che vi han detto di non toccare
per me è una cazzata, la potete mangiare
anche perché voi siete qui
e intanto il Padreterno chissà dov'è
andate a mangiargli la mela, mangiatela tutt'e due
non vi succede nulla perché vi prende per il culo
andate a mangiargli la mela, mangiatela tutt'e due
magari diventate più furbi di lui…
Per una mela, per una mela,
proprio quella mela, ma era la sua mela
Adamo, lui, è una brava persona
ed è brava anche la sua donna
E' vero, è vero qui abbiamo proprio tutto
non devo lavorare,non devo fare il muratore
se vado a toccargli la mela, magari s'incazza
mi molla qualche fulmine, magari mi ammazza"
Ma intanto Eva guarda suo marito
gli dice che son lì come due rimbambiti
In tutto il Paradiso sono in giro solo loro due
e intanto il Padreterno chissà dove si è nascosto
Abbiamo tutto, abbiamo tutto……..
però intanto siamo ancora in giro nudi
è inutile restare qui imbambolati
magari con la mela vanno a posto tante cose
Per una mela, per una mela,
proprio quella mela, ma era la sua mela
Adamo sulla pianta vuol prendere la mela
gli cade la scala, e guarda che volo…
La biscia ride e l'Angelo s'incazza
arriva giù in picchiata con una mazza
fa una luce che è una bellezza
gli molla una botta che a momenti lo spezza
e Adamo ed Eva che vogliono vincere
pigliano la mela e la mettono sotto i denti
La mela che fa schifo, c'è dentro pure il verme
E Adamo ed Eva cominciano a darsi botte…
Il serpente con la faccia da furbetto
ride tanto di gusto che quasi se la fa adosso
e l'Angelo dice "Vi è piaciuta?"
E giù un altro colpo, giù un'altra battuta…
Il Padreterno che non ha neanche mosso un dito
Guarda andarsene i due rimbambiti:
"Vi ho dato il Paradiso e non era abbastanza
volevate la mela e sempre di più
vi piace rubare, vi piace fare la guerra,
siete proprio fatti apposta per vivere sulla Terra!"
E Adamo ed Eva, sia lei che lui,
se ne vanno dal Paradiso e pedate nel …


UN BLASFEMO (Fabrizio de André)

 

Mai più mi chinai nemmeno su un fiore,

più non arrossii nel rubare l’amore

dal momento che Inverno mi convinse che Dio

non sarebbe arrossito rubandomi il mio.

 

Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino,

non avevano leggi per punire un blasfemo,

non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte,

mi cercarono l’anima a forza di botte.

 

Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo,

lo costrinse a viaggiare una vita da scemo,

nel giardino incantato lo costrinse a sognare,

a ignorare che al mondo c’è il bene e c’è il male.

 

Quando vide che l’uomo allungava le dita

a rubargli il mistero d’una mela proibita

per paura che ormai non avesse padroni

lo fermò con la morte, inventò le stagioni.

 

...mi cercarono l’anima a forza di botte...

 

E se furon due guardie a fermarmi la vita,

è proprio qui sulla terra la mela proibita,

e non Dio, ma qualcuno che per noi l’ha inventato

ci costringe a sognare in un giardino incantato.

Ci costringe a sognare in un giardino incantato.

 

http://www.youtube.com/watch?v=GGuqlJfag9M

http://www.youtube.com/watch?v=5EdfDj8vZG0

 

Veniamo dunque al vangelo… per farci istruire da esso nell’affrontare (sia nella meditazione che nella vita) la questione “qual Dio alla luce del male radicale?”.

Siamo di fronte alle tentazioni nel deserto (secondo l’evangelista Matteo). Un episodio che p. Giuliano Bettati, ocd ha chiosato in questo modo: «Un’esperienza di guerra totale contro il male, pagata sulla sua pelle, per imparare ad amare sempre, senza cedere mai alla paura e all’egoismo, senza tentennamenti né pentimenti».

Per capire il testo sarebbe interessante chiederci: Se dovessimo sentir parlare di “tentazioni” in ambito cristiano, senza leggere questo testo, che cosa ci verrebbe subito in mente? Se parlassi ad una persona nata nel nostro contesto culturale cattolico, senza fare immediatamente riferimento al brano evangelico delle tentazioni, a quale campo semantico assocerebbe il termine “tentazione”?

Non credo ci sia ombra di dubbio: il referente primo sarebbe il sesso!

La tentazione nel nostro contesto culturale cattolico è immediatamente associata (involontariamente, istintivamente, senza doverci nemmeno pensare) alla questione morale, legata in particolare ai “peccati sessuali”.

Sarebbe interessante chiedersi perché…

Ma più interessante ancora è andare a leggersi il testo di Matteo (come anche quello di Luca) per vedere che la medesima associazione è assente nella mentalità di Gesù e della prima Chiesa. Come già accennavamo, la tentazione non è legata ai peccati (al plurale) – che noi immediatamente riferiamo alle “parti basse”: di sesso, donnine seminude che tentavano Gesù o cose simili non c’è nemmeno l’ombra!

La tentazione, e il peccato (al singolare!) connesso, ha un altro referente: riguarda il volto di Dio. La tentazione – secondo il vangelo – non è qualcosa che ha a che fare con la morale, ma con la teologia. E di fatti il dialogo “fittizio” che si svolge tra Gesù e il diavolo è un dialogo tra teologi, fatto a colpi di citazioni della Bibbia!

Ciò su cui il “diavolo” tenta Gesù per tutta la vita, fin lassù sulla croce, è quindi l’identità di Dio (che – come abbiamo visto è il medesimo congegno del serpente di Genesi 3).

Non a caso tutte e tre le tentazioni cominciano con quel “Se tu sei Figlio di Dio:

-          se tu sei il figlio di quel Dio che trasforma le pietre in pane (cioè se credi nel dio della magia, che risolve i problemi saltando la storia – e dunque la libertà del creato e dell’uomo) allora…

-          se sei il figlio del dio onnipotente…

-          se sei figlio del dio a portata di mano…

Può aiutarci a illuminare il senso di queste tentazioni un altro testo – a mio parere – insuperabile di Dostoevskij, contenuto nel discorso del grande inquisitore:

«Lo spirito intelligente e terribile, lo spirito dell’autodistruzione e del non essere, il grande spirito, Ti parlò nel deserto, e nei libri ci è riferito come egli Ti avesse “tentato”. Ma si poteva mai dire qualcosa di piú vero di quanto egli Ti rivelò nelle tre domande che Tu respingesti e che nei libri sono dette “tentazioni”? […] In quelle tre domande infatti è come compendiata e predetta tutta la storia ulteriore dell’umanità, sono dati i tre archetipi in cui si concreteranno tutte le insolubili, contraddizioni storiche dell’umana natura su tutta la terra. […] “Decidi Tu stesso chi avesse ragione, se Tu o colui che allora T’interrogava. Ricordati la prima domanda: se non la lettera il senso era questo: “Tu vuoi andare e vai al mondo con le mani vuote, con non so quale promessa di una libertà! Vedi Tu invece queste pietre in questo nudo e infocato deserto? Mutale in pani e l’umanità sorgerà dietro a Te come un riconoscente e docile gregge, con l’eterna paura di vederti ritirare la Tua mano, e di rimanere senza i Tuoi pani”. Ma Tu non volesti privar l’uomo della libertà e respingesti l’invito, perché, cosí ragionasti, che libertà può mai esserci, se la ubbidienza è comprata coi pani? […] Acconsentendo al miracolo dei pani, Tu avresti dato una risposta all’universale ed eterna ansia umana, dell’uomo singolo come dell’intera umanità: “Davanti a chi inchinarsi?”. […] Tu conoscevi, Tu non potevi non conoscere questo fondamentale segreto della natura umana, ma Tu rifiutasti l’unica irrefragabile bandiera che Ti si offrisse per indurre tutti a inchinarsi senza discussione dinanzi a Te; la bandiera del pane terreno, e la rifiutasti in nome della libertà e del pane celeste. […] In questo Tu avevi ragione. Il segreto dell’esistenza umana infatti non sta soltanto nel vivere, ma in ciò per cui si vive. Senza un concetto sicuro del fine per cui deve vivere, l’uomo non acconsentirà a vivere e si sopprimerà piuttosto che restare sulla terra, anche se intorno a lui non ci fossero che pani. Questo è giusto, ma che cosa è avvenuto? Invece di impadronirti della libertà degli uomini. Tu l’hai ancora accresciuta! […] Ci sono sulla terra tre forze, tre sole forze capaci di vincere e conquistare per sempre la coscienza di questi deboli ribelli, per la felicità loro; queste forze sono: il miracolo, il mistero e l’autorità. Tu respingesti la prima, la seconda e la terza e desti cosí l’esempio. Lo spirito sapiente e terribile Ti aveva posto sul culmine del tempio e Ti aveva detto: “Se vuoi sapere se Tu sei Figlio di Dio, gettati in basso, poiché di Lui è detto che gli angeli Lo sosterranno e Lo porteranno, ed Egli non cadrà e non si farà alcun male, e saprai allora se Tu sei il Figlio di Dio e proverai allora quale sia la Tua fede nel Padre Tuo”; ma Tu, udito ciò, respingesti l’offerta, non Ti lasciasti convincere e non Ti gettasti giú. […] Tu non scendesti dalla croce quando Ti si gridava, deridendoti e schernendoti: “Discendi dalla croce e crederemo che sei Tu”. Tu non scendesti, perché una volta di piú non volesti asservire l’uomo col miracolo, e avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio. Avevi sete di un amore libero, e non dei servili entusiasmi dello schiavo davanti alla potenza che l’ha per sempre riempito di terrore. […] Tu però già allora avresti potuto accettare la spada di Cesare. Perché ricusasti quest’ultimo dono? Accogliendo questo terzo consiglio dello spirito possente, Tu avresti compiuto tutto ciò che l’uomo cerca sulla terra, e cioè: a chi inchinarsi, a chi affidare la propria coscienza e in qual modo, infine, unirsi tutti in un formicaio indiscutibilmente comune e concorde, giacché il bisogno di unione universale è il terzo e l’ultimo tormento degli uomini».

Ma Gesù non accettò neanche l’ultimo dono del maligno… sintetizzando in questi suoi rifiuti la scelta di tutta una vita, sul suo modo di stare al mondo: affidandosi al Padre e non ad altro.

Notate bene: affidandosi al Padre non ad un dio impersonale. È dentro a questa relazione, reale e concretissima («Dopo aver congedato la folla, si ritirò in disparte sul monte a pregare. E, venuta la sera, se ne stava lassù tutto solo» Mt 14,23), in cui il Padre resta sempre un Tu, anche quando è invocato o bestemmiato nella disperazione («E, verso l'ora nona, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lamà sabactàni?” cioè: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» Mt 27,46), che Gesù si fida.

Forse il nostro problema più grande nell’affrontare il tema del male, del mondo come il nostro, è che presupponiamo sempre dio (impersonale e cosmico), il male (l’altra grande forza in campo) e noi (spettatori – vittime di una battaglia che talvolta ci investe). È lo stesso scenario che si presenta nel mito dei primogenitori, che parlano di dio sempre in terza persona, come il grande assente (dai loro cuori), fin quando sarà proprio lui –usando la II persona – a dire: «Adamo (= uomo) dove sei?» (Gn 3,9).

È questa domanda «dove sei?», che deve collocarci nel posto giusto per parlare di Dio e anche di Dio alla luce del male: è a partire dal mio rapporto con lui che quanto dirò smetterà di suonare come apologetico, falso, non sentito…

Quella a cui conformarsi allora è la collocazione di Cristo, che non ha evitato il male, non ha difeso dio, ma nella sua libertà, nel luogo cioè del suo esser-ci, del suo dire io, della sua presenza a se stesso ha incontrato il male, lasciandosene ferire fin dentro alle giunture più intime della carne e dello spirito, mantenendo però vivo quell’abbandono a quel Tu intimo e innamorato che conosceva come affidabile: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).

È dal di dentro di questo rapporto, dal parlare con Dio più che dal parlare di Dio (come diceva santa Teresina) che si può affrontare il discorso sul male: solo lì infatti lo scacco che il male pone al mio esser-ci, alla mia libertà, alla mia umanità, è confrontato e vinto dalla fonte della Vita, del mio esser-ci, della mia libertà e della mia umanità.

Anche per Gesù infatti… «Non si trattava soltanto di sopravvivere, lui e i suoi... il mangiare, bere, vestirsi… la casa e gli affetti, e le varie necessità essenziali pur semplicissime, che dopo l’infanzia imparò a soddisfare con il lavoro duro delle sue mani, come la tradizione e le Scritture insegnavano. Ma soprattutto era in gioco la compassione per i bisogni ... disattesi o disprezzati, dei poveri, malati, oppressi …che costituiranno apertamente i suoi interlocutori preferiti degli anni della vita pubblica … L‘impazienza di intervenire e lo struggimento dell’impotenza di fronte al male, avranno fatto venire anche a Gesù un’umanissima voglia di miracolo, pur di soccorrere il disperato che non ha più dove sbattere la testa, il piccolo violentato nella sua crescita umana, l’affamato che si è smangiato ogni sentimento umano perché non ha cibo per il suo stomaco né tenerezza per il cuore. Ecco il desiderio che il Padre trasformi non solo le pietre in pane, ma le rocce in case e il deserto in scuole e ospedali e rifugi d’accoglienza per chi ha perso ogni riparo… E invece gli tocca imparare ad amare a mani vuote E ‑ anche lui ! ‑ dopo quel poco che può fare, dichiararsi servo inutile, per questo tipo di bisogni. Ed abitare nella nostra stessa impotenza, accanto alla sofferenza senza rimedio. Ed imparare quanto è amaro e duro, rinunciare ad usare Dio per tappare i vuoti della nostra storia, cercando invece di accompagnare umilmente la gente nel deserto inospitale della vita. E ascoltare quale Parola esce dalla bocca di Dio, dentro le situazioni senza uscita nelle quali lascia vivere i suoi figli. E, dunque, imparare ad amare, senza pretendere inutili miracoli!» [Giuliano].

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