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giovedì 28 agosto 2014

XXII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Geremìa (Ger 20,7-9)

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 12,1-2)

Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16,21-27)

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

 

Il vangelo che la Chiesa ci propone per la XXII Domenica del Tempo ordinario contiene due espressioni molto usate (e abusate) nella vita ecclesiale che tutti noi a vario libello abbiamo sperimentato:

1- «Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno»;

2- «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Nella prima di queste due espressioni è contenuto il verbo “doveva”, spesso ritornante nei vangeli. È Gesù stesso che lo usa, è lui che dice di se stesso che “doveva” soffrire, patire, morire…

Il punto critico però è capire il significato di questo “dovere”. Perché “doveva” soffrire, patire, morire? Chi glielo imponeva? Chi glielo chiedeva?

Tendenzialmente a queste domande, la risposta che ci giunge spontanea è “Dio”. “Dio, il Padre, glielo chiedeva”. Ma, il bambino che c’è in ognuno di noi, aggiunge subito: “Perché?”.

E a partire da questo colloquio interiore con noi stessi – che anche la Chiesa nella sua storia ha portato giustamente avanti (perché cercare di capire è sempre giusto!) – abbiamo formulato tutta una serie di risposte… risposte diverse, alcune letterariamente ben formulate, altre stilisticamente più grezze; alcune con un’articolazione logica complessa, altre più dirette e semplici… spesso però tutte riassumibili in un ragionamento di questo tipo: se Gesù di fatto ha sofferto, patito ed è morto in quel modo e se lui stesso ha legato questa sofferenza, questo patimento e questa morte ad una “necessità” (dovevo), e se il referente ultimo di questa necessità era Dio, allora significa che ci dev’essere stato un motivo per cui Dio chiedeva a suo Figlio questo inevitabile destino.

Un motivo teologico, una ragione ultraterrena, nascosta nella sua mente per noi irraggiungibile: il suo “piano” prevedeva così. Per salvare gli uomini, era necessario fare così. D’altronde – ci diciamo – c’è sempre qualcuno che si deve sacrificare per un’alta causa. E Gesù sarebbe il sacrificato. Lui soffre per tutti, lo fa al posto nostro, lo fa per noi. Per riscattare, per salvare, per pagare quel che c’era da pagare… il prezzo… di sofferenza, imposto… da chi? Da Dio ovviamente.

In queste riflessioni, tutte logiche e consequenziali, che portiamo avanti nel nostro ragionare, ci pare di trovare la quadratura del cerchio. Ci pare che la razionalità di questo discorso sia un argomento sufficiente per dire la validità delle nostre risposte e così chiudiamo l’argomento.

Solo che… in tutto questo ragionare rimangono in ombra una serie di questioni che – se messe in luce – mostrano come il nostro tanto logico argomentare non sia una vera quadratura del cerchio…

Provo a mostrarle con qualche domandina: Che figura ci fa qui Dio Padre? Perché ha bisogno che qualcuno soffra? Che qualcuno paghi? Se il prezzo della nostra salvezza era da dare a lui, perché semplicemente non abbassa il prezzo o addirittura non sceglie di salvare gratis? Perché Gesù – il Figlio, cioè Dio lui stesso – appare come uno che “deve” non uno che sceglie? Perché Dio Padre e Dio Figlio non scelgono insieme il da farsi sulla salvezza dell’uomo? Perché Gesù pare subire l’inderogabile proposito del Padre? E, infine, un prezzo di sofferenza pagato per cosa? Per la nostra salvezza, certo, ma cosa vuol dire? Salvezza da cosa? Dal male? Eppure il male non è stato tolto dal mondo. Salvezza dalla morte eterna? E allora perché a noi verrebbe richiesto di “rinnegarci”, cioè di soffrire a nostra volta per riuscire a salvarci?

In sintesi: Che idea di Dio emerge dalle argomentazioni che prima abbiamo delineato? Che idea di Gesù e della sua relazione al Padre? Che idea di salvezza e di vita quaggiù per noi uomini?

A me pare, un’idea un po’ strana, un’idea decisamente bruttina, di certo incompatibile con quello che si trova scritto nel vangelo.

Certo è un ragionamento molto razionale, ma porta a conclusioni che non hanno nulla a che vedere col volto di Dio che emerge dal suo rivelarsi in Gesù.

Dunque – che fare? Teniamo il ragionamento, perché razionale, e buttiamo il vangelo? O teniamo il vangelo e buttiamo il ragionamento?

È ovvio che la strada è la seconda, ma se buttiamo via il ragionamento, cosa dobbiamo pensare?

Che non è Dio che imponeva quel “dovere” a Gesù? E allora, chi glielo imponeva? Il diavolo? Allora il diavolo è più “forte” di Dio? È in grado di imporgli un “dover essere”? Direi di no…

E allora? Se non è Dio che impone quel “dovere”, perché Gesù usa proprio quel verbo? Chi è che gli impone di dover soffrire, patire, morire?

Forse tenere il vangelo e buttare via il ragionamento astratto, ci costringere a riprendere in mano la storia e non le elucubrazioni… è la storia (cioè il concreto contesto geografico, politico, religioso, economico, le relazioni, le tradizioni, la cultura…) che hanno portato Gesù su quella croce. È la storia che gli ha imposto di morire. E Gesù – che era particolarmente acuto nell’analisi della storia, come tutti i profeti del suo popolo – se ne era accorto da mo’. Non è che gli è capitato tutto all’ultimo, inconsapevolmente… sono andati a prenderlo e trac: processo, condanna e morte, senza che lui se ne capacitasse.

Fin quasi da subito Gesù si è reso conto che il suo desiderio (che era il medesimo del Padre, con cui ha una grande sintonia d’intenti) di farsi conoscere agli uomini come il Dio dell’amore, della misericordia, del servizio, della piccolezza, della fraternità, dell’emarginazione, non sarebbe stato molto gradito da chi nella storia era riuscito a ritagliarsi uno spazio di potere. Perché questa sua proposta (questo suo modo di essere Dio) azzera la possibilità di una legittimazione del potere di pochi sugli altri (potere religioso, politico, economico, affettivo...), dei buoni sui cattivi, dei giusti sugli ingiusti, dei forti sui deboli, dei grandi sui piccoli, degli autoctoni sugli stranieri, dei maschi sulle femmine, dei sacri sui profani, degli eletti sui reietti, e così via…

Ecco perché dice che “doveva” soffrire, patire e morire… Perché di fronte allo scontro con il potere (cioè con i potenti) poteva scegliere di intervenire in tre modi:

1-      Con la fuga, ma avrebbe smentito il suo messaggio (un codardo, uno che non sa credere nelle sue idee per paura di soffrire, non è credibile);

2-      Con la difesa, ma ogni difesa implica un imbracciare le armi della violenza e – quindi – della potenza… avrebbe cioè – per affermare le sue idee – contraddetto quelle medesime idee;

3-      Con la consegna, cioè con l’inevitabilità (“devo”) della sofferenza, del patimento e della morte.

Prende allora tutt’altro senso anche il verbo della seconda espressione che abbiamo messo all’inizio: “rinnegare se stessi”.

Seguendo il ragionamento astratto di prima, “rinnegare se stessi” voleva dire mettersi nella condizione di chi è perennemente e colpevolmente in debito verso Dio. Noi uomini meritavamo la morte eterna per il male del mondo (che – anche i più santi tra noi – comunque hanno contribuito ad accrescere), siamo stati salvati a caro prezzo, perciò dobbiamo essere eternamente supini a questo grande salvatore, abbassandoci ai suoi voleri e dunque rinnegando le nostre aspirazioni, i nostri desideri, i nostri bisogni, pronti a nostra volta a sacrificarci per qualsiasi cosa ci chieda. Quasi che Dio – salvandoci – ci avesse posto per sempre sotto ricatto. Uscire dal ricatto si può, pena la morte eterna.

Stando invece a quanto emerge dal vangelo, “rinnegare se stessi” vuol dire essere disponibili a ripercorrere la strada di Gesù: cioè legare il nostro destino alla sua idea di Dio, di uomo, di mondo, cioè all’idea di un Dio che si è fatto conoscere come il Dio dell’amore, della misericordia, del servizio, della piccolezza, della fraternità, dell’emarginazione e che dunque pensa un mondo dove sia azzerata la possibilità di una legittimazione del potere di pochi sugli altri (potere religioso, politico, economico, affettivo...), dei buoni sui cattivi, dei giusti sugli ingiusti, dei forti sui deboli, dei grandi sui piccoli, degli autoctoni sugli stranieri, dei maschi sulle femmine, dei sacri sui profani, degli eletti sui reietti, e così via… Dunque legare il nostro destino a un Dio che pensa l’uomo come fratello, costi quel che costi (cioè non scappando di fronte alla reazione omicida dei potenti, non imponendosi con la potenza della violenza, ma prendendo la croce e consegnandoci alla storia, proprio come lui).

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