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martedì 2 settembre 2014

XXIII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Ezechièle (Ez 33,1.7-9)

Mi fu rivolta questa parola del Signore: «O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 13,8-10)

Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18,15-20)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

 

Se dovessimo porre un titolo alle letture che la Liturgia di questa Ventitreesima Domenica del Tempo Ordinario ci presenta, forse quello più indicato sarebbe: “Come si deve comportare un cristiano di fronte ad un altro cristiano che commette una colpa contro di lui?”. Cioè, cosa si deve fare con i peccatori?

L’Antico Testamento, con Ezechiele, sembra dire: se non intervieni e lui non cambia condotta, lui è spacciato, ma tu pure… Se invece intervieni e lui non cambia condotta, beh… allora, peggio per lui.

La preoccupazione non è perciò incentrata sul peccatore, ma sul profeta… Come dire: per essere “apposto”, tu quando vedi uno sbagliare diglielo… quello che succede a lui è un’altra questione. Tu però avvertilo, perché «io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele».

Da notare, che questo è il compito specifico del profeta, non di ogni membro del popolo di Israele. Lo preciso solo perché forse a noi viene un po’ troppo immediato generalizzare le frasi della Bibbia e farne delle grandi norme morali sulle quali coordinare il nostro comportamento: ovviamente identificandoci immediatamente con colui che – per essere “apposto” – deve correggere gli altri.

Cioè noi rischiamo di leggere Ezechiele come una norma di comportamento scritta per noi: se c’è qualcuno che sbaglia, glielo devo dire, per essere nel giusto, perché così c’è scritto nella Bibbia.

In realtà, la questione è un po’ più articolata: nel libro di Ezechiele c’è scritto che il profeta svolge il compito si sentinella per la casa d’Israele, per cui non può far finta di non vedere il male.

Quindi – a ben guardare – forse sarebbe un po’ più corretta la nostra identificazione con il popolo di Dio, che ha bisogno che qualcuno gli faccia vedere se sta andando nella direzione giusta o se si sta allontanando dall’alleanza col Signore.

Certo è che oggi di profeti “riconosciuti” non è che ce ne siano: è uno di quei ministeri (presenti nella prima Chiesa, come si vede da 1Cor 12,28-30: «Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?») sia maschili che femminili (1Cor 11,4-5) che però è andato perso lungo la tradizione: abbiamo i successori degli apostoli, abbiamo i maestri, abbiamo quelli che dicono di fare i miracoli e le guarigioni, abbiamo chi assiste, chi governa, persino chi sostiene di parlare in lingue, ma nessuno ha il titolo di “profeta”.

È vero, però, che con il battesimo tutti riceviamo il carattere regale, sacerdotale e profetico… e dunque – anche se questo aspetto della vita ecclesiale è piuttosto atrofizzato… – può essere vero che – contrariamente a quanto ci sembrava in un primo moneto – le parole di Ezechiele possano valere anche per noi. Anche se, insomma, ai tempi di Ezechiele, di certo la figura del profeta era ben identificata e non correva il rischio di “essere di tutti e quindi di nessuno”.

Comunque, al di là delle nostre lontananze storico-culturali dal tessuto sociale di Ezechiele, dunque al di là del fatto che quelle parole fossero specificamente dirette a lui o comunque al profeta “riconosciuto” piuttosto che a ciascun battezzato in quanto partecipante della missione profetica, resta il fatto che anche Gesù pare abbia trattato la questione.

Nel vangelo però il discorso si precisa: si tratta – come dicevamo all’inizio – del problema di un cristiano (cioè di un membro della comunità) contro cui un altro cristiano ha commesso una colpa.

E qui dobbiamo stare attenti, perché noi siamo abituati a non distinguere il nostro modo di porci di fronte agli altri cristiani rispetto al nostro modo di porci di fronte a terzi. Non siamo abituati perché abbiamo troppo patito che in nome della nostra fraternità cristiana, gli altri li abbiamo trattati da non-uomini. E allora abbiamo insistito sulla fraternità verso tutti. Ma attenzione, perché nel vangelo invece c’è una differenza. Come insegna il teologo Sequeri: «non bisogna confondere la dedizione incondizionata che è segno dell’Evangelo della salvezza con la reciprocità fraterna che è il contrafforte che all’interno del discepolato mantiene in vita la possibilità di quella dedizione. Dall’altro discepolo io pretendo la reciprocità in nome della fede. Non voglio che mi ami come ama il suo nemico, è un’altra cosa. Non voglio che sia l’oggetto della mia dedizione a perdere né io voglio essere l’oggetto della sua dedizione a perdere perché questo è un avvilimento del frutto evangelico dell’agape. Voglio invece che accada questo, lo esigo, me lo aspetto: che in nome semplicemente della sequela lui mi consideri come suo fratello e io altrettanto. Quindi lì la reciprocità è essenziale. Quella stessa reciprocità che è inessenziale quando agape esprime la sua virtualità nei confronti di terzi». Nei confronti di terzi essenziale è invece la dedizione incondizionata: «Che i terzi non li vediamo più neanche: con la scusa che tanto sono tutti nostri fratelli, i terzi non li vediamo più».

Con l’altro discepolo la relazione è diversa che con i terzi, ma in questo senso qui, appena descritto. Non perché sia privilegiata la relazione tra cristiani, ma perché implica una reciprocità che con i terzi invece è inessenziale!

Ecco perché è importante chiarire che le norme per la correzione fraterna contenute nel nostro brano di vangelo siano riferite al rapporto tra cristiani.

E in più non tra cristiani qualsiasi: un cristiano verso un cristiano peccatore qualsiasi, ma un cristiano verso un cristiano che abbia commesso una colpa contro di lui!

Cioè qui non si parla di andare ad ammonire ogni cristiano che secondo noi sta sbagliando, ma si parla di come comportarsi quando un cristiano fa qualcosa a me.

Ecco perché ha senso il parlargli a tu per tu, il coinvolgere altri pochi intimi, o al massimo la comunità, cioè il piccolo (piccolo!) gruppo di persone che tentano insieme di vivere il vangelo!

Il punto è cioè come mostrare a un cristiano che – facendo qualcosa a me – mostra di non vivere evangelicamente, la sua lontananza dalla vita cristiana, perché si ravveda (se non mi sto sbagliando io: ecco un altro motivo della necessità di testimoni e della comunità: perché magari c’ha ragione lui!).

Dove l’estrema conseguenza «se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano» (che noi volgarmente chiamiamo scomunica) vuol dire: appurato che effettivamente non si sta comportando in maniera evangelica, per te deve diventare non più un fratello a cui richiedi reciprocità, ma uno di quei terzi a cui devi la tua dedizione incondizionata.

Non a caso i “pagani” e i “pubblicani” – se sfogliamo il vangelo – sono quelli verso cui Gesù ha mostrato un comportamento religiosamente inedito: non li ha considerati “non-uomini”, dei reietti, degli esclusi, ma si è intrattenuto con loro, mangiava con loro, li ha guariti… insomma, li ha amati incondizionatamente.

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