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martedì 23 giugno 2015

XIII Domenica del Tempo ordinario


Dal libro della Sapienza (Sap 1,13-15; 2,23-24)

Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.

 

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2Cor 8,7.9.13-15)

Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 5,21-43)

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

 

Questa XIII domenica del tempo ordinario, ci presenta una triade di letture davvero straordinaria. Perciò, contrariamente a quanto faccio di solito (cioè concentrarmi solo sul vangelo), vorrei quest’oggi dire una parola su tutte e tre le letture.

La prima si apre con una frase che io credo dovremmo scolpire su ogni parete dei luoghi che abitiamo, in modo che prima o poi ci entri nella testa e nel cuore: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi». Se davvero riuscissimo a penetrare in questa logica (o meglio, a lasciarcene convincere), forse finalmente riusciremmo a riscrivere la nostra teologia (non quella dei manuali, ma quella della nostra testa: cioè il modo in cui pensiamo – in senso forte – il Signore). Riusciremmo forse anche a convertire la nostra vita cristiana: che non vuol dire aderire un po’ meglio alla morale della Chiesa, ma costruire una vita in cui l’ombra del dubbio su Dio si faccia sempre più rarefatta.

Noi infatti – nessuno escluso – tendiamo sempre a legare il volto di Dio con quello dell’onnipotenza: ma se Dio è onnipotente, allora anche il male viene da lui (o perlomeno è da lui permesso). In quante prediche di funerali ci siamo sentiti dire che Dio ha chiamato quest’anima a sé? Quante volte ci hanno detto che i bimbi morti sono degli angioletti che Dio ha voluto presso di sé? Ma queste sono tutte bestemmie! «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi». Liberare Dio dai connotati dell’onnipotenza che gli ha attribuito la filosofia (ma non il vangelo!), ci permetterebbe di liberarlo dal dubbio che continuamente gli opponiamo, di essere – in fin dei conti – autore (o per lo meno complice) anche del male.

Che Dio non sia connivente col male, lo mostra bene il vangelo di oggi: bellissimo, sia dal punto di vista letterario (con l’intreccio delle storie di queste due donne), sia dal punto di vista contenutistico.

Il male nel vangelo si manifesta in modo radicale nella vita della figlia di Giairo e in quella dell’emorroissa: l’una muore giovanissima (praticamente bambina), l’altra è affetta da una malattia non solo devastante dal punto di vista fisico, ma forse ancor più umiliante dal punto di vista sociale.

In tutti e due i casi a Gesù si offre la possibilità di mostrarsi “connivente” col male, per lo meno di lasciarlo essere: l’emorroissa, infatti, cerca di toccarlo senza farsi accorgere da nessuno (soprattutto senza farsi accorgere da lui), perché sa che – nella sua condizione – non doveva avere contatti con nessuno (perché toccando gli altri li avrebbe resi impuri), perciò tanto meno avrebbe dovuto essere in mezzo ad una folla e tanto meno avrebbe dovuto toccare un rabbi. Infatti, quando si rende conto che Gesù si è accorto del suo tocco e che – seppur preso dalla fretta di andare a casa di Giairo – si ferma e chiede conto di quel tocco, si terrorizza: pensa, anche lei, che Gesù sia connivente col male. Gesù infatti avrebbe potuto svergognarla davanti a tutti, accusandola di essere una donna impura che trasgredisce le regole sull’impurità. E invece (I conferma dell’assoluta alterità di Gesù – e quindi del Dio di cui è rivelazione – rispetto al male), non solo ella è guarita nel fisico, ma riceve anche una conferma verbale riguardo al fatto che la sua battaglia contro il male era giusta, benedetta da Dio e che, anzi, Dio era dalla sua parte, nonostante quello che la religione insegnava: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

Anche con la figlia di Giairo Gesù ha la possibilità di mostrarsi connivente col male. Anzi, in questo caso l’occasione gli è offerta in maniera ancora meno problematica: non avrebbe infatti dovuto fare una scenata come contro l’emorroissa per l’infrazione delle regole di impurità (affermando, dunque che quella malattia era in qualche modo “meritata” o se non altro “da tenere”), ma semplicemente sottrarsi come già altri suggerivano: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».

Gesù, invece, nuovamente si decide nel senso opposto: il male non solo non è voluto da Dio, ma nemmeno tollerato, nemmeno quando appare ormai irrimediabile.

Certo, rimangono aperti tanti problemi e tante domande salgono alle nostre labbra: perché oggi non guarisce, perché i nostri ragazzi muoiono e lui non viene a risvegliarli?

Ma questo è un altro ordine di problemi, che si possono affrontare solo se riusciamo a fare il primo passo, quello di svincolare il nesso che ci viene automatico tra Dio-onnipotenza-male.

Se infatti, finalmente accediamo all’identità di Dio che ci ha rivelato Gesù per cui Egli non è implicato nel male, non è lui che ce lo manda e, anzi, ad ogni passo la vita di Gesù può essere letta come una lotta contro di esso, allora possiamo anche affrontare le altre domande.

Oggi Gesù non guarisce le nostre malattie e non risveglia i nostri morti perché malattie e morti non dipendono da lui. Nella sua vita ha affrontato le malattie e le morti per rivelare che Dio, Padre suo e Padre nostro, il male non lo infligge mai e chiede a ciascuno di noi, nella storia, di combatterlo.

Anche perché – qualora intervenisse – la storia finirebbe: perché dovrebbe intervenire “per uguaglianza” (come dice san Paolo) su tutte le malattie, su tutte le morti, su tutti i mali. Immediatamente la storia degli uomini – se manipolata in questo senso da Dio – finirebbe, si bloccherebbe, non ci sarebbe più spazio per noi.

Ma, davvero questo è un altro ordine di problemi, che andrebbe ulteriormente approfondito.

Quel che oggi mi interessa che “portiamo a casa” è questa rottura, nella nostra mente e nel nostro cuore, del nesso istintivo che poniamo tra Dio-onnipotenza-potere sul male, dunque connivenza col male.

Infine, un’ultima cosa sulla seconda lettura: Paolo sta chiedendo soldi ai cristiani di Corinto (soldi da destinare alla comunità di Gerusalemme, in difficoltà economica): un altro tipo di male, attuale, ai giorni nostri, come le malattie e le morti. La cosa che mi ha colpito è l’espressione paolina: «Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza».

Il male non si combatte distribuendolo, ma con un surplus di bene: non è vero che Dio vuole che la sterile partorisca e che la ricca di figli sfiorisca. Dio vuole che la ricca di figli sia felice coi suoi figli e che la sterile abbia i suoi! Così per la ricchezza (anche economica)! È il bene da distribuire non il male! E questo credo valga nelle considerazioni più macroscopiche, come quelle economiche tra nord e sud del mondo, quanto nelle nostre relazioni più “microscopiche”: troppo spesso la Chiesa ha pensato che i sorridenti dovessero smettere di sorridere perché altri piangevano… forse bisognava insegnare ai sorridenti a creare le condizioni perché chi piangeva, tornasse a ridere.

È la bellezza che va distribuita (e – tra l’altro – insegna Gesù – più la distribuisci e più si moltiplica) non la bruttura… perché 2 tristi invece che 1 aumentano solo la tristezza, non la affievoliscono.

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