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lunedì 24 agosto 2015

XXII Domenica del Tempo ordinario


Dal libro del Deuteronomio (Dt 4,1-2.6-8)

Mosè parlò al popolo dicendo: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”. Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi dò?».

 

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (Gc 1,17-18.21-22.27)

Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature. Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi. Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 7,1-8.14-15.21-23)

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

 

Dopo la lunga “pausa” estiva, caratterizzata dalla lettura del capitolo 6 di Giovanni, la liturgia riparte con la lettura corsiva del vangelo di Marco. Siamo al capitolo 7, quello che segue la moltiplicazione dei pani nella versione di questo evangelista e le guarigioni di Gesù nella regione di Genezaret. Quel brano si concludeva con un’atmosfera assai positiva: «Là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati», Mc 6,56, che è il versetto immediatamente precedente all’incipit del brano odierno. Quest’ultimo si apre invece bruscamente su una scena di controversia con i farisei e gli scribi, che richiama da vicino l’atmosfera dura che aveva tratteggiato il vangelo di Giovanni di domenica scorsa.

L’occasione della discussione in questo caso è la critica che viene mossa a Gesù perché i suoi discepoli «non si comportano secondo la tradizione degli antichi», nella fattispecie «prendono cibo con mani impure, cioè non lavate», come spiega il testo stesso.

Gesù viene cioè accusato dagli uomini religiosi del suo tempo di essere un trasgressore della tradizione, di non essere cioè un tradizionalista. Come abbiamo poi rivissuto anche in epoca cristiana, quest’accusa non è solo la bonaria critica dell’uomo religioso meticoloso rivolta a quello che vive un po’ meno scrupolosamente le pratiche religiose, ma è un’accusa più grave; è come se si dicesse: dato che non sei un osservatore minuzioso delle pratiche religiose, non sei un buon ebreo, non sei un buon cristiano. Con il tuo comportamento “dissacrante” dimostri di non essere un vero fedele del Dio di Israele o del Padre. In qualche modo sei un eretico.

Questa è l’accusa di tutti i tradizionalisti di tutte le religioni nei confronti degli altri (chiamati, lungo la storia, in vari modi: progressisti, innovatori, riformatori, ecc…).

È l’accusa che si è preso anche Gesù ed è l’accusa che lo porterà in croce: e questo ci fa capire quanto il nocciolo duro del vangelo, quello su cui si giocano i più grossi conflitti, fino allo scontro finale della croce, è religioso. Il vangelo di Gesù ha di mira la messa in discussione della religiosità dell’uomo (tutto il resto arriva dopo): cioè il problema di Gesù, quello che vuole ficcarci nella testa, non è un programma politico, un programma economico, un iter morale, delle norme sessuali, ecc… ma è il volto di Dio, chi è davvero Dio.

È a questo livello che avvengono tutti gli scontri del vangelo, ad ogni pagina è di quello che si parla. Se provassimo ad interrogare un po’ di persone che escono dalle messe o provassimo a registrare un po’ di prediche domenicali non so se questo ci risulterebbe molto chiaro. Spesso sembra (forse oggi un po’ meno, chissà…) che il centro del discorso cristiano sia il sesso, anzi, il divieto del sesso. Oppure, più in generale, il peccato.

Invece… il centro del vangelo è la rivelazione di Dio padre in Gesù. E Gesù rivela, stando al brano odierno, un Dio padre che non è molto affezionato alle pratiche della tradizione.

Ma non nel senso che è un Padre bonario (o bonaccione) per cui si accorge che questi si son dimenticati di fare le abluzioni e allora dice: “Va beh, ragazzi, niente di grave. Suvvia…”.

Se fosse così, Gesù avrebbe potuto chiedere scusa, dire “Eh sì, ce lo siam dimenticati. La prossima volta non lo facciamo più” e tutti sarebbero stati felici e contenti.

Il fatto che si accenda uno scontro così acceso intorno a queste questioni (questa, quella del sabato, quella dell’impurità, ecc…), indica che Gesù di proposito, più volte e in maniera deliberata ha volutamente e appositamente trasgredito la legge. In questo suo operare – come in ogni suo operare – c’è in gioco la rivelazione del Padre.

E allora, la domanda giusta è: cosa ci dice di Gesù, e dunque del Padre, questo agire trasgressivo di Gesù?

Io credo ci dica che quel modo di impostare la relazione con Dio (il modo legalista, quello per cui ci sono delle leggi, tu le segui e sei apposto; magari giocandoci un po’ dentro, quando si può) non è quello che Gesù e Dio Padre hanno in testa. Non hanno pensato così il loro rapporto con l’uomo. Quando pensano il loro rapporto con l’uomo non lo pensano come una relazione con l’esecutore di norme e leggi.

Il modo in cui Dio pensa la sua relazione con l’uomo ha piuttosto a che vedere con il cuore, che è un termine che torna due volte nel brano di oggi: la prima, quando Gesù cita Isaia, «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini»; la seconda, alla fine, «“Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”. E diceva [ai suoi discepoli]: “Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male”».

Non c’è niente fuori di noi che abbia il potere di intaccare il nostro rapporto col Signore: nessuna cosa, nessun animale, nessun vegetale, nessuno spirito; nemmeno nessun uomo o donna. Possono farci del male, tradirci, picchiarci, ucciderci, ma non hanno potere sul nostro cuore.

Questa cosa, che sembra un’ovvietà, in realtà nella storia ha avuto (o dovrebbe avere) un effetto potentissimo: vengono tolti di mezzo tutti i timori legati alla magia nera, ai talismani e, insomma, tutto quel mondo lì (che noi occidentali conosciamo poco, ma di cui i nostri avi vivevano schiavi e di cui ancora oggi in molte parti del mondo si vive schiavi); viene tolto di mezzo soprattutto il pregiudizio negativo sull’altro, il timore del mio simile (pensate quanto nella cultura cattolica abbia influito e continui ad influire l’idea che la donna sia fonte di peccato per l’uomo!); viene tolta di mezzo infine qualsiasi paura legata alla pretesa altrui di possedermi l’anima (anche sotto il nazismo, ci sono stati cuori che sono rimasti liberi, pur dentro a corpi deturpati!).

Niente può intaccare il nostro rapporto col Signore, perché è dentro di noi, nel “cuore” che viviamo questa relazione e lì ci siamo soltanto noi.

Certo, Gesù, nel finale, ci ricorda che proprio per questo, per questa nostra signoria intoccabile del nostro cuore (dove nessuno può prendere il nostro posto), siamo responsabili delle decisioni del nostro cuore, della custodia della sua libertà, della relazione che là dentro instauriamo con lui.

Ma – a scanso di equivoci – la lista che c’è nei versetti finali è postuma, non è dell’evangelista Marco («impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza»). E soprattutto non sta ad indicare che chi vive una o più delle situazioni ricordate ha sicuramente un cuore impuro.

Sono solo esempi che vogliono chiarire il discorso precedente, non a caso sono tutte situazioni in cui una persona sceglie di mettersi: nessun altro ha il potere di mettercelo. Cioè, non è che io divento invidioso perché mi fanno un sortilegio…

Tra l’altro – dato che si sta parlando del rapporto tra l’uomo e Dio – è interessante che nella lista non ci sia nessuna situazione legata a questo (non c’è per esempio bestemmiatore, eretico o simili). E io credo che questo sia un altro indizio per farci capire che si tratta solo di esempi atti a confermare il discorso che Gesù sta portando avanti: la relazione col Signore avviene là dove ci sei solo tu e dove niente e nessuno ha potere su di te; esattamente quel luogo in cui sei tu che decidi chi essere (anche in negativo: ed ecco gli esempi).

Non so se mi sono spiegata, ma la preoccupazione che la potenza di questo vangelo sia poi tutta dimenticata perché la nostra attenzione (paura) viene attirata dalla lista finale (in cui in un modo o nell’altro ci siamo tutti…) era troppo grande. La paura che attira l’attenzione sulla lista anziché sulla potenza del vangelo è figlia di quell’immagine di Dio che il discorso di Gesù vuole distruggere. Noi abbiamo paura di essere in quella lista, perché pensiamo automaticamente che allora Dio ci manda all’inferno (o per lo meno che ci vuole meno bene o ci guarda storto).

Ma se fosse così sarebbe il Dio delle leggi: quello che vuole questa relazione con noi, uomini che rispettino le sue leggi (non rubare, non ammazzare, non commettere adulterio, non essere avidi, impuri, malvagi, ingannatori, dissoluti, invidiosi, calunniatori, superbi, stolti).

Ma per dire che Dio non è così Gesù è morto!

Quando riusciremo a convincercene?

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