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martedì 18 agosto 2015

XXI Domenica del Tempo ordinario (B)


Dal libro di Giosuè (Gs 24,1-2.15-17.18)

In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore». Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni (Ef 5,21-32)

Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,60-69)

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

 

Eccoci giunti alla fine del percorso intorno al pane di vita. Il discorso di Gesù finisce piuttosto male, i più se ne vanno. Restano solo i Dodici.

Ma ciò che mi ha colpito più di tutto in questo vangelo è la frase di Gesù che dice: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla».

Innanzitutto perché non è immediatamente chiaro cosa sia il “salire del Figlio dell’uomo là dov’era prima” e poi, soprattutto, il riferimento allo Spirito e la squalificazione della carne.

È strano, quest’ultimo punto, in particolare alla luce di tutto quanto detto prima sulla sua carne da mangiare. Come può ora dire che la carne non giova a nulla?

Ho trovato un commento interessante di Mauro Laconi, che mi ha aiutato a chiarire un po’ questi aspetti e perciò ve lo propongo.

Scrive Laconi: «Il capitolo si conclude in tono di infinita tristezza. I “discepoli”, anzi, “molti” di loro, trovano impossibile accogliere le parole di Gesù. La loro mancanza di fede angustia Gesù. Egli reagisce prima con una specie di rassegnazione («Tra voi vi sono alcuni che non credono», v. 64); poi con parole che sembrano denotare un animo sfiduciato («Volete andarvene anche voi?», v. 67) […]. Mai nei vangeli si è guardato con tanta attenzione e apprensione dentro l’anima di Gesù […]. Giovanni è ancora tutto preso dal suo tragico interrogativo: come spiegare l’incredulità, il rifiuto della vita, il rifiuto di Dio? Il fallimento del divino Rivelatore, di colui che può presentarsi in verità con il biblico “Io Sono”, è per lui un mistero davvero imperscrutabile, pari solo alla sconfinata amarezza dell’animo di Gesù. Ma l’evangelista non attenua la proporzione delle cose. Pretendendo la fede, Gesù pretende davvero molto. Le sue parole (“mangiare la sua carne”), anche se intese a tradurre in termini di vita eucaristica il mistero dell’incarnazione, per chi non ci si abbandona sono davvero “dure”, anzi “scandalose”. Eppure gli uomini saranno messi davanti a uno “scandalo” ben più grande: la croce! Questo sembra proprio il senso fondamentale del v. 62 («E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?»): infatti per Giovanni il ritorno di Gesù al Padre è abitualmente identificato con la passione (1,13). D’altra parte il linguaggio cristiano è coerente; molto prima di Giovanni, anche Paolo aveva parlato dello “scandalo della croce” (Gal 5,11; 1 Cor 1,23). Fino a che punto possa sembrare “scandaloso” Gesù, era d’altronde già stato suggerito in certi passi sinottici (Mt 11,6: «E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!»). e tuttavia proprio la croce, che porterà la rivelazione all’estremo della sua “durezza” e del suo “scandalo”, rappresenterà per i discepoli e per tutto il mondo il momento dell’illuminazione […]. Proprio dalla croce diventerà stranamente chiaro l’“Io Sono” di Gesù, e “tutti” ne saranno trascinati. È quanto sembra voler dire il difficile v. 63 («È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita»), che potrebbe sembrare enigmatico e quasi contro senso se lo si isolasse. Ma il pensiero è concentrato sul Figlio dell’uomo glorificato (“risalito là dov’era prima”); asceso al cielo donerà lo Spirito, e allora all’uomo debole sarà possibile quello che prima sembrava irrealizzabile: la fede in Gesù. L’Eucaristia è “carne” come è “carne” l’incarnazione; ma senza lo Spirito, per l’uomo “non giovano veramente a nulla”. Non è nemmeno da escludere che Giovanni abbia di mira alcune deviazioni ecclesiali di tipo ritualistico-magico. L’Eucaristia, sembra voler suggerire, non accolta nella profondità e autenticità dello Spirito, rimarrebbe un rito senza senso».

Ecco i nostri dubbi chiariti. Il riferimento al “salire” di Gesù è la croce e – come accennavamo settimana scorsa – le mere pratiche religiose (fosse anche la pratica religiosa cristiana per eccellenza, cioè il fare la comunione) di per sé non servono a nulla.

Come è chiarissimo nei sinottici, dove l’istituzione dell’eucaristia è celebrata la sera prima della morte in croce, c’è un nesso strettissimo tra il magiare la carne di Gesù e il partecipare alla sua donazione. Se non si entra nella dinamica della croce di Gesù, non si può dire di mangiare la sua carne. Ma entrare nella dinamica della croce è precisamente quella relazione a tu per tu (da spirito a Spirito) di cui parlavamo settimana scorsa.

È mentre viviamo la relazione personale con la persona di Gesù e in particolare con la sua morte che stiamo mangiando la sua carne. Un po’ come nei rapporti tra di noi: è solo condividendo la vita che entriamo nella vita dell’altro, che ci mangiamo reciprocamente la carne. Un mangiare, che poi, magari anche nelle nostre relazioni personali, si visibilizza in gesti particolari, “sacramentali”, come nell’eucaristia per la relazione con Gesù, ma che hanno senso e si sostanziano solo perché c’è dietro e dentro la vita intera.

La conclusione di questo percorso, allora, è un invito a spaccarsi la testa sulla storia di Gesù (e in particolare sulla sua fine), senza accontentarsi delle rispostine preconfezionate che altri ci hanno dato o noi stessi ci siamo dati; e farlo, non come esercizio intellettuale, ma in un dialogo con Lui, che attraverso il suo vangelo continua a rinarrarci la storia della sua carne.

Potrebbero aiutarci domande quali:

-          Perché la vita di Gesù è finita così?

-          Perché quella morte?

-          Chi l’ha ucciso e perché?

-          Perché non vi si è sottratto?

-          Perché in tutta la storia della passione è l’unico che si fa male?

-          Cosa dice di Lui quel non sottrarsi?

-          Cosa avrebbe detto di Lui il sottrarsi?

 

E potrebbe anche aiutarci non considerare valide alcune risposte (non perché sbagliate, ma perché talmente usate da essersi svuotate di senso). Quindi non valgono risposte quali:

-          Per la nostra salvezza.

-          Per il bene dell’umanità.

-          Per rimettere i nostri peccati.

-          Tutte quelle che assomigliano a queste :o)

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