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martedì 19 gennaio 2016

III Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro di Neemìa (Ne 8,2-4.5-6.8-10)

In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza. Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore. I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura. Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 12,12-30)

Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,1-4; 4,14-21)

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

 

Una piccola introduzione didattica…

L’anno liturgico, cioè il calendario della Chiesa, non inizia il 1° gennaio come quello civile, ma la I Domenica di Avvento. È in quell’occasione che “si cambia” l’evangelista di riferimento: un anno si legge Matteo (anno A), un anno Marco (anno B), un anno Luca (anno C).

Domenica 29 Novembre 2015, I domenica di Avvento, è iniziato dunque l’anno nuovo per la Chiesa, un anno C, in cui perciò leggeremo il vangelo di Luca.

In realtà non abbiamo ancora avuto molto modo di gustarlo, perché in avvento e poi durante le feste natalizie abbiamo spesso ascoltato anche brani degli altri evangelisti.

Ma due settimane fa il Tempo di Natale è finito e settimana scorsa abbiamo iniziato il Tempo Ordinario, che verrà interrotto in Quaresima e nel Tempo di Pasqua, per poi riprendere e accompagnarci fino al prossimo avvento, cioè al prossimo anno liturgico.

In realtà settimana scorsa, quando abbiamo iniziato il Tempo Ordinario, la Chiesa ci ha fatto leggere un testo di Giovanni (e non di Luca), le nozze di Cana.

Oggi perciò è il primo vero incontro con il testo di Luca.

Dico questo per spiegare il motivo per cui, a messa, sentiremo un vangelo diviso in due parti: la prima tratta dall’inizio del vangelo di Luca (capitolo 1, versetto 1…), che è poi la sua introduzione; la seconda collocata già al capitolo 4.

La prima parte è proposta perché, appunto, è la prima domenica in cui ci possiamo, con calma, accostare al testo lucano, e la Chiesa vuole che inquadriamo l’evangelista di quest’anno:

«Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto».

Luca si presenta così.

Scrive a “Teòfilo” (che potrebbe essere un cristiano della sua comunità, ma anche “teo-filo” = amico di Dio, in greco, e perciò qualunque persona si senta “amica di Dio”) e l’intento è quello di fondare la fede in Gesù Cristo, in modo che non ci sia dubbio sulla solidità del credito accordatogli.

Luca dice che ha fatto ricerche accurate su ogni circostanza, “fin dagli inizi”, infatti insieme a Matteo è l’unico evangelista che parla dell’infanzia di Gesù.

È per questo che l’inizio del suo ministero pubblico, inizia solo al capitolo 4, che, non a caso, è quello della seconda parte del brano di oggi.

Giovanni, settimana scorsa, aveva presentato l’inizio della vita pubblica di Gesù a Cana di Galilea, Luca, lo presenta a Nazareth. Già questo ci dà un’indicazione importante: le ricostruzioni che gli evangelisti fanno del materiale su Gesù (racconti orali e testi scritti) non seguono un criterio cronachistico, non contengono cioè l’interesse e la pretesa di voler raccontare come effettivamente si sono svolti i fatti. L’intenzione con cui il materiale è organizzato in una storia è piuttosto quella di far capire a chi legge chi è Gesù e quale Dio ci ha rivelato.

Se per fare questo serve mettere un episodio prima, un altro dopo, anche se non si sono svolti effettivamente in quella successione, non fa problema, perché lo scopo, come si diceva, è un altro: non ricostruire la storia di Gesù secondo criteri storiografici moderni (che allora nemmeno esistevano), ma far emergere, dall’intreccio narrativo sviluppato, l’identità di Gesù, e dunque quella del Padre suo.

Veniamo dunque al testo che Luca ha scelto di mettere come primo episodio della vita pubblica di Gesù. Siamo a Nazareth, il paese dov’egli è cresciuto e, come ci dice Luca stesso, «secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere».

Non sappiamo se il testo di Isaia che l’evangelista ci fa leggere sia effettivamente il testo che Gesù ha letto quel giorno nella sinagoga di Nazareth, la prima volta che diceva qualcosa pubblicamente, sappiamo però che certamente Gesù, da buon ebreo, conosceva quel testo e possiamo ipotizzare che, se la prima comunità cristiana lo ha ritenuto così centrale da costruirci sopra un brano evangelico (collocato peraltro da Luca in una posizione così fondamentale – la prima), significa che questo testo di Isaia era molto caro a Gesù, il quale deve averlo usato per mostrare qual era il suo modo di intendere il Regno di Dio, cioè il mondo come Dio lo vuole, cioè come a Dio piacerebbe fosse il mondo.

Ad ogni modo, è un testo in cui la prima Chiesa ha riconosciuto una descrizione azzeccata per dire chi è Gesù, e quindi chi è Dio.

La nuova traduzione CEI (quella del 2008), riporta così le parole di Isaia (non quelle in cui Luca lo cita):

«Lo spirito del Signore Dio è su di me,

perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione,

mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,

a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,

a proclamare la libertà degli schiavi,

la scarcerazione dei prigionieri,

a promulgare l’anno di grazia del Signore».

Luca, dunque, ci presenta Gesù così.

A tutti i “teo-fili” della storia, interessati a fondare solidamente la loro fede in Dio, propone questi tratti e non altri.

Poteva per esempio aggiungere, sempre prendendolo da Isaia, “mandato a promulgare il giorno dei vendetta del nostro Dio” (che era la frase immediatamente successiva a quella sull’anno di grazia), e invece no, la citazione si interrompe prima.

Per descrivere Gesù le parole di Isaia sono azzeccate fino a lì: in quelle parole Luca ha trovato dipinto il volto del rabbi di Nazareth e le ha regalate alle successive generazioni cristiane, perché non si sbaglino, non si confondano su chi è Gesù, cioè su come è fatto Dio...

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