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domenica 27 giugno 2010

Il Paradiso non può attendere...

L’uomo, fin dall’alba dei tempi, ha sempre creduto che per andare a Dio dovesse uscire da sé. Fino a sacrificare se stesso, fino a sacrificare la propria vita, il proprio corpo… Fino a sacrificare la propria storia e di quelli che incontrava sul proprio cammino… La verità è trascendente, si dice, supera l’uomo, e quindi se è trascendente – lo dice la parola – va cercata oltre l’uomo, va cercata fuori dall’uomo.

Per anni, per secoli, per millenni, fin dall’uomo dell’età della pietra e fino all’ultimo uomo del futuro, cercare Dio è sempre stato – e sempre umanamente sarà – un tentativo dell’uomo di cercare Dio “in cielo”, tra le nuvole, sulla montagna, nel tempio. In un paradiso oltre il tempo, oltre la storia, oltre la vita… insomma l’eccelsa verità, il sommo bene, il bello supremo che è Dio, variamente interpretato dai filosofi e dalle religioni… è un Dio dell’aldilà… E in nome di questo aldilà si poteva, che dico, si doveva sacrificare tutto l’aldiquà… Amori, affetti, vita… La vita terrena perde così significato, uccidere un uomo, se fatto per Dio…, dare la vita, se fatto per Dio… era (è!?) il massimo di gloria possibile per un uomo… Dopo tutto, non era poi un gran sacrificio, vista l’insofferenza che abbiamo verso la vita che siamo costretti a vivere… infatti molti si danno la pena per rendersela più comoda anche a costo di dannare quella degli altri e di perdere la propria (purché futura!). Noi queste persone le condanniamo solo per invidia, infatti l’attesa di un premio nell’aldilà, con cui conduciamo la nostra vita nell’aldiquà, se ci pensiamo, non esce da quella stessa logica…

C’è il rischio allora di reinterpretare tutte le parole di Gesù e della Chiesa, che parlano di abnegazione e di sacrificio e persino di “premio eterno”, in questa chiave usurata: quasi che il Dio di Gesù Cristo, anche se finalmente scoperto Padre, in fondo non sia poi molto diverso dalla nostra idea primitiva di Dio. Il Dio di Gesù Cristo, sarà anche più buono, sarà anche più misericordioso, sarà anche meno giustizialista di quello che credevamo, ma è sempre un Dio a cui tutto va sacrificato!… Se non altro perché gli dobbiamo la vita: non questa terrena, che ci delude ogni giorno di più, ma almeno quella futura (sperando che sia migliore di quella di adesso…). E così con quella terrena paghiamo il dazio per avere in dono quella eterna. Capite? Non diciamo più che è una conquista, come dicevano i farisei; non è più un Dio cattivo, come affermavano i pagani… ma la sostanza in fondo non cambia: per incontrarlo devo uscire da me, dalla mia umanità, dai miei limiti, dai miei peccati.

Ma siamo sicuri che le cose stiano proprio così? Gli apostoli, sulla cui testimonianza noi fondiamo la nostra fede, ci parlano del comportamento di Dio in Gesù, che ci spinge a rivedere fino in fondo il nostro giudizio e quindi, il nostro cammino per incontrarlo.

Vorrei fissare l’attenzione non tanto su “chi è Dio”… ma su cosa la liturgia di oggi mi ha insegnato sulla struttura di questo incontro: sul “modo” di cercarlo e oserei dire, sul “luogo” in cui incontrarlo: ci chiediamo “dove e come incontrarlo?”, “dove e come cercarlo?”…

Non mi interessa quindi sapere ora chi è questo Dio, se è il vero Dio e se è il Dio di Gesù Cristo… Quello che mi interessa è cercare di cogliere la “struttura” di un possibile ipotetico incontro. Per poter finalmente provare ad essere strutturalmente cristiani… Papa Giovanni Paolo I, quando era ancora cardinale di Venezia, predicando ai suoi sacerdoti li invitava proprio a insegnare alla gente a incontrare Dio… e poi da questo incontro – diceva – ciascuno ne scoprirà il vero volto…

Ebbene io credo che da quando Gesù ha “preteso” di essere quel Dio che ha deciso di mostrarsi all’uomo con un volto di uomo (il suo!), gli schemi non possono essere più gli stessi e questo fatto non può essere senza conseguenze sulla modalità del nostro incontrarlo. Perché il ragionamento primitivo sopra descritto viene radicalmente capovolto. Per la prima volta l’uomo, in Gesù Cristo, fa la scoperta che Dio non è oltre la storia, oltre la vita, oltre la morte, oltre l’umanità, oltre l’uomo… E nei Vangeli, le donne per prime e poi gli altri discepoli, scoprono di poterlo incontrare proprio nel mezzo del loro peccato, finalmente perdonato, senza bisogno di sacrificio e mortificazione alcuna. A partire da Gesù Cristo, tutto allora cambia, tutto viene stravolto, e ciò che fino a ieri credevamo fosse la strada per incontrare Dio, si rivela una strada che lo smarrisce, che fallisce l’incontro e il Dio che credevamo di incontrare si rivela nient’altro che il fantasma delle nostre idee e il silenzio dei nostri cimiteri dove quel Dio preteso trascendente si rivela immanente nella mortificazione della vita.

Invece a partire da Gesù Cristo l’uomo, diventa il luogo dove io posso incontrare Dio: non tanto nel santo, non nel guru, non nel “perfetto” che fa i miracoli… Questo può anche accadere, ma solo pedagogicamente, perché io impari a incontrarlo nella morte e nella malattia (non oltre la morte, non oltre la malattia)…

Questo è il vero senso dei miracoli di Gesù: infatti tutti i miracolati si sono riammalati e sono morti… Perché io impari a incontrarlo nel mio peccato, nell’accettazione del mio limite: questo è il senso del perdono e dell’invito a non peccare più… Perché proprio questo è il peccato: il rifiuto del proprio limite, ad ogni livello… nell’amore, nel coraggio… e ridursi ad avere paura delle proprie paure. Perché io impari a incontrarlo in ogni uomo: anche nel soldato che mi costringe a fare mille miglia con lui, anche in colui che mi perseguita, anche in colui che mi odia: ecco perché il cristiano non ha nemici, non perché è buono, ma perché scopre che anche nel nemico, nel vivere un rapporto subalterno nei suoi confronti, mi è data la possibilità di incontrale Colui che ho sempre cercato: la verità di un Dio Padre…

Il “sacramento” di Dio è l’uomo in tutto quello che fa… nel bene e nel male! Per questo l’olio, il pane, il vino (dell’uomo!) diventano dono dello Spirito, luogo della presenza di Dio e diventano segno di una comunione tra di noi, nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte…
Perché si incontra Dio Padre solo ce ci si fa figli come Gesù, che si fa fratello anche di chi lo crocifigge.

In nome del Dio trascendente, i samaritani rifiutano ospitalità a Gesù e agli apostoli… In nome del Dio trascendente, i cristiani in Galazia, si divorano tra di loro, perché ciascuno vuole essere e restare fedele alle proprie tradizioni religiose… anche a costo di – per usare le parole dure di Paolo – divorarsi il fratello (proprio come Satana – direbbe Pietro – «che va in giro cercando chi divorare»…). Che è come dire che a furia di obbedire a Dio sacrificando il fratello, non si può che incontrare Satana, o se volete, la massima menzogna è difendere la verità con la spada del disprezzo… e infatti Gesù dirà di riporla nel fodero, perché la violenza uccide sempre la verità. Non a caso Gesù è «il mite» e Maria è la «piccola serva»: solo così la verità è vera.

E allora tutto diventa secondario, anche la ricerca della verità trascende… perché essa esiste solo in ciò che viviamo (per questo Cristo è la Verità: perché la fa!)… E noi viviamo quella concreta, immanente, nelle nostre rinnovate relazioni di un perdono sempre reciproco e sempre offerto…  E allora – p.es. – se per amore del fratello, per la custodia di questo rapporto, non devo mangiare la carne degli animali immolati per tutta la vita, me ne astengo con gioia…

Ecco allora quello che mi dicono le letture di oggi:
Dio si fa incontro attraverso una voce, un volto, un mantello gettato sulle spalle… nella storia quotidiana. Nella quale e per la quale tutto allora può essere sacrificato! Persino il nostro Dio (nell’Eucarestia che celebriamo Gesù ci ordina proprio questo: sacrificare Lui e noi con lui per fare comunione!). Perché non è sacrificato ma è investito per la comunione e si fa «centuplo», nel tesoro di un amico in più: i buoi di Eliseo diventano, come la sua chiamata, festa per tutti…
Allora non c’è più un Paradiso da attendere, perché il Paradiso è già qui, perché c’è già tutto per fare festa: c’è Dio, c’è il pane, c’è il vino, e il lavoro di chi ce li ha procurati e ha tutto imbandito e ci siamo noi per fare comunione… e ci sei tu col quale io posso fare comunione!

Cosa ci resta ancora da fare? Donare agli altri quello che qui abbiamo ricevuto… perché i morti la smettano di seppellire morti e la vita torni a rifiorire nella nostra vita.

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