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sabato 16 ottobre 2010

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO: LA PREGHIERA, LA PAROLA E LA CHIESA… L’ALVEO CHE CUSTODISCE LA FEDE PER QUANDO IL FIGLIO DELL’UOMO VERRÀ

Le letture che la Chiesa ci offre in questa ventinovesima domenica del tempo ordinario, sono tutte e tre molto belle e molto ricche e mi pare che riescano – meglio che in tanti altri casi – a tracciare un arco di senso facilmente individuabile e comprensibile, perché molto vicino all’esperienza che anche noi spesso ci troviamo a vivere.

Innanzitutto Mosè… è l’uomo nelle cui mani sta la sorte dei suoi… mani fragili, mani di uomo, mani di un uomo solo… che prima o poi iniziano a pesare.
Anche noi spesso ci sentiamo così – a torto o a ragione – con il peso dei “nostri”, con il peso degli altri, con il peso delle situazioni, tutto sulle nostre spalle… spalle fragili, spalle di uomini e donne… spesso soli…
La Parola ci intercetta qui… nella pesantezza di una condizione che – ci pare – non siamo in grado di sos-tenere…
E ci intercetta con tre grandi sottolineature, che riescono forse a ridarci la forza che lungo i giorni si è logorata… o, se non altro, a ridarci la lucidità con cui guardare alla vita:

1- Innanzitutto la sottolineatura del libro dell’Esodo… Non è vero che siamo soli! Nella comunità di chi ha passione per l’annuncio evangelico c’è sempre un Aronne e un Cur che può sostenere le nostre mani… qualcuno che ci dà una pietra su cui sederci e che “tiene su” con noi le sorti altrui…
Che è stata anche la scoperta del presuntuoso Elia, quando alle sue parole «Io sono rimasto solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta», il Signore stesso aveva risposto dicendo, piuttosto ironicamente: «Io, poi, ho riservato per me in Israele settemila persone»… (1 Re 18).

2- La seconda sottolineatura è la parola di Paolo a Timoteo… La parola della saldezza, della fondatezza e della giustezza del nostro essere lì a tener su, per tutti, le mani… una fondatezza (e una giustezza) che, quando le mani iniziano a pesare, è la prima ad andare in crisi… Perché siamo qui? Per chi? Con la smaniosa voglia di lasciar perdere, abbassare le mani e lasciare che tutto vada allo scatafascio, con l’autogiustificazione ingannatrice che “ci stavano chiedendo troppo” e dunque che “era proprio inevitabile lasciar stare e pensare un po’ a noi stessi (alla nostra sopravvivenza)”… E invece Paolo ci riporta (ci butta – forse – un po’ in faccia) il modo giusto con cui guardare la realtà: «Figlio mio, tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia»!
Come a dire: “Figlio/a, tu sai perché sei lì a tener su le mani per tutti! Tu sai che sono degni di fede coloro che lì – attraverso questa storia di uomini (e donne) – ti hanno posto. Tu sai che ha una fondatezza ciò in cui hai creduto e che ora ti è andato in crisi… Una fondatezza che, ancora (e sempre), è rintracciabile, mantiene aperto il suo accesso… perché la Scrittura rimane, anche quando chi te l’ha insegnata non c’è più!”.

3- E infine la terza parola, quella del vangelo, «sulla necessità di pregare sempre»… non la preghiera per quel dio che abbiamo dentro (costruito da noi! E che dunque è un idolo!), che assomiglia così tanto al giudice «senza religione e senza pietà» del racconto lucano, ma «La preghiera capace di ottenere tutto da Dio», «quella che ci insegna Gesù: che ha cambiato il volto di Dio in “Padre nostro” – e prima si preoccupa anzitutto di lui, del suo nome, del suo regno della sua volontà… perché questa è la nostra salvezza, affidarsi a Lui» [Giuliano] a cui diamo del “tu”.
Ecco dunque tratteggiato, brevemente, il percorso che le letture ci invitano a fare questa domenica… perché i Mosè a cui pesano le mani, la vedova abbandonata senza più l’appoggio di nessuno, siamo noi!
Siamo noi quelli sostenuti – finora – da un’ostinazione invincibile che adesso invece pare aver perso la sua imbattibilità, per lasciarci nel «l’abbandono della partita, per ateismo o agnosticismo»…
Siamo noi quelli a cui – con il Salmo 41,5 – vien da dire: «Questo io ricordo, e il mio cuore si strugge: attraverso la folla avanzavo tra i primi fino alla casa di Dio, in mezzo ai canti di gioia di una moltitudine in festa». Ma ora…
Siamo noi quelli tentati di fare come «l’Ivan di Dostojevski e restituire dignitosamente a dio il biglietto da visita» dicendo «non mi interessa più, non voglio aver più niente a che fare con lui!»…
Siamo noi quelli che Gesù ha voluto portare con sé, «a questa barriera estrema oltre la quale inoltrarsi, per continuare a pregare…» [Giuliano].
Siamo noi quelli immersi in una situazione che biblicamente si chiama la “prova” e che è radicale proprio perché mette in discussione Dio, il suo volto, il nostro modo di pensare la storia, il giusto e l’ingiusto, il buono e il cattivo, la sensatezza e l’insensatezza… e che il Signore chiama a ri-decidersi per Lui e a non fare come Israele, che ogni volta che ha sperimentato qualcosa che mandava in crisi l’idea che si era fatto di Dio, passava a qualcun altro, costruendosi vitelli d’oro…

Ecco perché le sottolineature così pressanti sulla necessità della preghiera, della Parola e della Chiesa, come alveo da cui non sottrarsi quando il germe della sfiducia, della stanchezza e dell’insensatezza si insinua nei nostri interstizi e inizia a rodere le fondamenta del nostro essere… Perché la prova in cui la vita mette l’uomo, non si trasformi nella prova in cui l’uomo mette Dio, che – non a caso – in queste situazioni viene identificato immediatamente con il giudice sordo della parabola, o con colui che ci lascia soli a tener su le mani per tutti… comunque quello della cui parola si inizia a diffidare…

«… a meno di prendere l’altra strada, suggerita da Gesù : cambiare il volto di Dio!» [Giuliano], anzi ri-accedere a quello autentico, tornare a sbilanciarsi con fiducia verso il volto di Dio a cui la Parola dà una fondatezza e al quale – come dice un bellissimo canto liturgico - «A te fratello chiedo di credere con me…».

2 commenti:

maria sole ha detto...

Grazie ancora. Il Signore chiama a ri-decidersi per lui. Questo è un punto importante nel nostro cammino: quello di lasciare, forse, la nostra conoscenza, le nostre comode abitudini, i rituali così facili perchè, a memoria, senza alcuna fatica li ripetiamo. E' quello che so fare meglio e continuo a farlo. Ma il Signore ci chiede di rinnovarci ogni giorno per Lui, di non aver timore, di fidarci di Lui. Quella porta che ci inviti a varcare, sai è proprio stretta.... Signore, perdona la mia impertinenza così stolta, ma non potevi farla un pò più larga? Non per me, non per me, ma per tutte quelle vedove, quegli orfani, stranieri, poveri che fanno proprio tanta fatica. Sai?

Denise Cecilia ha detto...

Ho l'impressione che vedove, orfani, stranieri, poveri (e aggiungo malati) facciano sì fatica a riconoscere la porta della fede come buona, salvifica piuttosto che illusoria... però, mi pare anche che - una volta decisi - siano quelli che più difficilmente fanno marcia indietro o si perdono, perché tendono a non vergognarsene; al contrario di chi nella porta ci si infila per una presunta, granitica certezza.

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