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venerdì 6 maggio 2011

III Domenica di Pasqua: I discepoli di Emmaus

In questa terza domenica di Pasqua, la Chiesa, nella liturgia, ci presenta un altro episodio di incontro col Risorto. Un episodio molto articolato (sia dal punto di vista narrativo che da quello emotivo) e che – vedremo – ha avuto ed ha una valenza particolare all’interno dell’annuncio evangelico della Rivelazione di Dio.


Qualcuno però potrebbe iniziare a borbottare… “Ancora una riflessione sulla risurrezione!?!??”…

In effetti non si può non rilevare un’insistenza della Chiesa nel riproporre – in questo tempo pasquale – una sorta di “bagnomaria” nel mistero della Risurrezione di Gesù… Eppure tale insistenza non deve stupirci (né tanto meno annoiarci) perché quest’evento, che è il centro sorgivo di tutto il fermento cristiano, si presenta tanto inaudito e smisurato, da risultare inesauribile nella sua com-prensione.

Infatti, per come ne parlano i testi neotestamentari e per come è stata vissuta dalla comunità credente, la Risurrezione di Cristo è un evento che ha in sé un tale novum da risultare scardinante le stesse fondamenta della vita umana, per cui i consueti schemi interpretativi della realtà (anche quelli religiosi) risultano inadeguati.

E di fatti, per esempio, non si può parlare per Gesù di una semplice ri-vitalizzazione del suo corpo. La sua non è l’esperienza di Lazzaro, che richiamato in vita, dovrà poi però di nuovo incontrarsi con la morte.

In proposito un modo chiaro per spiegare questa differenza è il cosiddetto “schema delle stanze”. Esso mostra come l’uomo abbia sempre conosciuto solo due “stanze”, due mondi, quello dei vivi e quello dei morti, senza ulteriori possibilità: chi vive è destinato a finire nella tomba e a restarci. La soglia tra la prima stanza (la vita) e la seconda (la tomba) è naturalmente la morte fisica. Lazzaro in questa prospettiva, morendo, passerebbe dalla prima stanza alla seconda, ma poi, attraverso la nuova chiamata alla vita da parte di Gesù («Lazzaro, vieni fuori!», Gv 11,43), farebbe il percorso inverso: dalla seconda “stanza” (regno dei morti) alla prima (mondo della vita).

Non altrettanto si può dire invece per Gesù: Egli non torna indietro nella prima “stanza”, ma per Lui è come se si spalancasse una terza e nuova “stanza”, inaudita per l’uomo: il mondo di Dio. Egli, morendo, passa dalla prima alla seconda “stanza”, ma, risorgendo, fa un ulteriore avanzamento! Passa infatti dalle braccia della morte a quelle della nuova Vita, la vita di Dio, attraverso la nuova soglia della Risurrezione.

Ed è questa novità inaudita, questo accesso mai percorso prima, questa possibilità solo da lui abilitata ad essere vissuta, ciò che rende così sproporzionato l’evento di Risurrezione rispetto all’abituale comprensione che l’uomo ha delle dinamiche del vivere e del morire.

È quello che i Vangeli a modo loro cercano di mostrare nella forma del racconto. Essi infatti parlando di Gesù risorto, sebbene ne mettano in luce per un verso una continuità con il Gesù in carne ed ossa che percorreva le strade della Palestina prima di finire appeso ad una croce (il crocifisso è il risorto), ne mostrano però allo stesso tempo anche una diversità sorprendente.

Per esempio si parla di Gesù che «Venne a porte chiuse» dai suoi discepoli (Gv 20,26), ma che allo stesso tempo mangiò con loro (Gv 21). Soprattutto si parla di quello strano fenomeno che si ripeté diverse volte e che fu il mancato riconoscimento di Gesù stesso. Maria di Magdala, vedendolo, lo scambiò per il custode del giardino («Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”», Gv 20,15); i discepoli non si accorsero che chi gli si faceva vicino sulle rive del Lago di Tiberiade era proprio Lui («Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù», Gv 21,4); e infine, in modo ancora più clamoroso, perché prolungato, i discepoli di Emmaus non si accorsero che era Lui che camminava con loro («Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo», Lc 24,15-16).

Ed ecco che alla luce di questo problema, sentito davvero come significativo dalla prima comunità cristiana – Come riconoscere il Cristo risorto? – si fanno strada le prime risposte; si vogliono cioè indicare quali siano per i discepoli di qualsiasi epoca, le vie di accesso per il riconoscimento, e dunque l’incontro col Signore risorto.

È questa la portata strepitosa dei vangeli di risurrezione, che a noi magari risultano un po’ ripetitivi, perché in essi siamo abituati solo a sentir riecheggiare l’annuncio della risurrezione di Gesù, che – pensiamo – sentita una volta, sentita per sempre… In realtà nella configurazione che gli evangelisti danno a questi racconti, vi è in gioco qualcosa di più: non solo arrivare al dato finale “Gesù è risorto”, ma mostrare quale sia stato, per i discepoli della prima ora, il percorso che li ha portati a questa presa di coscienza (non è bastato infatti che Egli gli apparisse, infatti nessuno lo riconobbe, nemmeno i nostri due di Emmaus!). E il fatto che i primi cristiani, nel momento in cui consegnano alla storia la testimonianza della risurrezione di Gesù, decidano di consegnare insieme anche la chiave di accesso che ha permesso loro l’incontro con Lui, significa che ritenevano quel percorso essenziale anche per i discepoli della seconda e terza e millesima generazione… Cioè è come se avessero sentito l’esigenza non solo di consegnare l’annuncio dell’incontro col Risorto, ma anche il come ciascuno – a qualsiasi epoca appartenga – possa ripercorrere quella strada per arrivare di persona a quel medesimo incontro.

E la portata del problema non deve sfuggire, soprattutto a noi, discepoli di 2000 anni dopo: Com’è possibile per me oggi incontrare il Signore in persona? È possibile, visto che io non c’ero allora? È possibile per me che non l’ho mai visto in carne ed ossa? Oppure, dopo la sua risurrezione, è possibile solo un ricordo di Lui?

No, rispondono i Vangeli: non è possibile solo un ricordo di ciò che è stato, ma si danno alcune vie reali e attuali di accesso al Signore. E il Vangelo di Luca nel capitolo 24 (quello appunto che racconta dei discepoli di Emmaus) è stato scritto proprio per indicarle:

1- Le Scritture: «“Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui».

2- L’accoglienza dell’altro, l’ospitalità dello straniero (tale infatti consideravano Gesù, data la sua ignoranza sui recenti fatti accaduti a Gerusalemme: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?»): «egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”».

3- Lo spezzare del pane, il gesto anticipatore del senso della sua morte per noi: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro».



«Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero»!

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