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venerdì 12 agosto 2011

XX Domenica del Tempo Ordinario: Dio anche per noi stranieri

Le letture che la Chiesa ci propone per questa ventesima domenica del Tempo Ordinario mi hanno suscitato un vero e proprio fermento di riflessioni, spunti, intuizioni… io vorrei provare a mettere tutto per iscritto, ma temo che l’effervescenza che m’ha preso, mi porti a fare un po’ di confusione… perché vorrei dire tutto quanto m’è passato nell’anima, ma non sempre è facile tradurre questi “attraversamenti” in pensieri razionali e in discorsi compiuti… Ne risulterà perciò forse – e me ne scuso fin da ora – una lectio un po’ turbolenta, che – appunto – vuol più provare a metter lì delle suggestioni, che a compiere un percorso organico…

Innanzitutto vorrei sottolineare come tutte e tre le letture contengano un riferimento chiarissimo agli stranieri:

-          Isaia dice: «Gli stranieri li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,7).

-          San Paolo scrive alla comunità cristiana di Roma (dunque a cristiani non ebrei, anzi a cristiani romani… romani esattamente come coloro che occupavano la Palestina…); scrive cioè a stranieri – particolarmente non amati – e gli scrive riconoscendo la loro piena titolarità cristiana;

-          Infine il vangelo parla dell’incontro di Gesù con una donna straniera (una Cananea), con la quale Egli ha un confronto proprio in merito alla sua “estraneità” al popolo eletto…

E allora, mi veniva da pensare al grande problema degli immigrati, degli stranieri che arrivano nella nostra Italia, delle inconsulte reazioni che tutto ciò ha provocato nei mesi scorsi (e di cui oggi ci siamo totalmente scordati, perché presi da altro… dal terrore che i nostri soldi diventino carta straccia), della strumentalizzazione della sofferenza della gente, del razzismo inconsapevole di tanti di noi, ecc… ecc… ecc… Ci sarebbe da andare avanti fino a domani mattina solo a parlare di questo…

Ma ciò che invece vorrei far notare è come la reazione a tutto ciò – cioè a queste letture che ci richiamano a questi problemi – solitamente sia di stampo morale: bisogna accogliere gli stranieri, bisogna aiutarli, bisogna rispettare la loro diversità, ecc… che son tutte cose vere e sacrosante, ma che – mi pare – non arrivino fino al nodo vero della questione, che invece il testo biblico centra in pieno: gli stranieri siamo noi!


È un po’ come il discorso dei peccatori… Leggendo il vangelo noi ci mettiamo spesso a guardare le cose dal punto di vista (morale) dei giusti invitati a usare misericordia verso i peccatori, dato che Dio è misericordioso… Poche volte (magari legate a particolari situazioni della vita) ci viene istintiva l’identificazione col peccatore (non a caso nei nostri discorsi vien sempre fuori la necessità che – va bene tutto – però poi: “Che il Signore venga e faccia una bella distinzione finale – inferno/paradiso – tra i peccatori e noi!” ci scappa detto…). Ecco… per gli stranieri è la stessa cosa… Ogni volta che si parla di loro nella Bibbia, noi pensiamo non ad un messaggio rivolto a noi, ma un messaggio rivolto a loro (poverini!), mentre a noi non rimane altro che collaborare con Dio (da bravi figli che siamo – cosa che loro invece, così implicitamente pensiamo, non sono) al suo progetto di accoglienza anche nei loro confronti, ecc…

In realtà gli stranieri (così come i poveri e i peccatori) non sono l’occasione per la mia carità, ma sono un luogo teologico vero e proprio, in quanto paradigmatici della vera identità di ciascuno di noi. Noi siamo gli stranieri a cui pensava Isaia, cioè quelli non appartenenti per razza al popolo ebraico. Noi siamo i Romani a cui Paolo scrive per riconoscergli la possibilità di essere cristiani nonostante non siano ebrei. Noi siamo quella donna cananea che ha aperto la missione di Gesù al di là dei confini giudaici!

Cioè, queste letture sono rivolte a noi! E ciò che ci dicono è la buona notizia che Dio non è solo il Dio di un popolo, di una razza, di un gruppo (a cui noi non apparteniamo), ma può e vuole essere anche il Dio della mia vita… della mia vita non abilitata (per razza, eredità o merito) ad esserlo!

Allora, vedete che le cose cambiano… La prospettiva cambia… E diventa stupefacente andare a vedere come questa cosa è accaduta nella storia… quella volta… che poi ha spalancato le porte a tutti...

È ciò che è raccontato nel brano di vangelo di questa domenica attraverso tre passaggi sconvolgenti:

1-      Gesù cambia idea;

2-      è una donna straniera a fargliela cambiare;

3-      e la cambia su una questione fondamentale: Dio non è solo il Dio degli ebrei.

Per capire davvero la portata di questi elementi, che coraggiosamente la prima comunità cristiana ha voluto tramandare per sempre a tutta la Chiesa, proviamo a guardarli uno alla volta, da vicino.

1- Innanzitutto, dire che Gesù – che noi crediamo il Figlio di Dio – abbia cambiato idea “strada facendo”, lasciandosi provocare dalla storia che man mano viveva e dagli incontri che in essa faceva, non è una cosa così indolore. Ancora oggi (anzi forse molto più oggi che allora), affermare una cosa del genere scatena immediatamente reazioni di iper-prudenza, di attenuazione delle parole, di ridimensionamento della cosa. Non fa niente se è scritto in modo inequivocabile nel vangelo: la paura atavica della dissacrazione di Dio e della sua possibile ritorsione (eterna) è più forte. E allora si ha bisogno come di liofilizzare la vicenda terrena di Gesù, di renderla eterea, di de-storicizzarla.

Ma perché fa così paura dire che Gesù ha cambiato idea? Il timore è che questo possa mettere in discussione la sua divinità e – di conseguenza – la nostra salvezza. Cioè che, se Gesù non sapeva già tutto in anticipo (con l’esclusione quindi della possibilità per lui di cambiare idea, di evolvere nella presa di coscienza di sé, del Padre e della sua missione), ma “si è fatto” strada facendo (come fanno tutti i figli di questo mondo – e come peraltro di Lui dice anche il Credo…), allora forse non era Dio... Ecco il terrore sottostante!

Ma il problema è che in tutto questo ragionamento, che forse non esplicitiamo mai, ma che soggiace al nostro modo di rapportarci a Dio e dunque a noi stessi e agli altri, c’è un pregiudizio di fondo: il fatto che siamo noi a decidere il modo in cui Gesù deve essere Dio: deve sapere tutto e in anticipo (onniscienza), deve potere tutto ciò che vuole (onnipotenza), deve essere forte, grande, eterno... Insomma un plenipotenziario degli attributi degli abitanti dell’Olimpo... questo è il dio che abbiamo in testa noi, perché – ci chiediamo – se non fosse così, come potrebbe salvarci?

E seppur il vangelo è lì a smentire continuamente questa immagine e a invitarci a convertirla, essa rispunta sempre. Come per esempio qui, nella fatica, personale ed ecclesiale di prendere sul serio il fatto che Gesù abbia cambiato idea, che Gesù cioè fosse uomo per davvero e che questo, lungi dal diminuire la sua divinità, la rivela invece in pienezza: Gesù è Dio così, facendosi uomo. Tutti i tentativi di ridurre, mitigare, diluire la sua personale vicenda storica, pensando così di salvaguardarne la divinità, in realtà perdono l’una e non trovano l’altra, se non, al massimo, in una forma evanescente, inconsistente, insapore e incolore, tanto lontana dalla vita dell’uomo da apparire superflua, se non addirittura inutile (come di fatto accade oggi).

E pensare che tutta la vita di Gesù dice il contrario... nasce povero e nudo dal grembo di una donna; di lui il vangelo dice che «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52); che ha provato la lotta col male (Mt 4,1 ss); che si è lasciato provocare dalle discussioni con gli altri uomini (Mt 9,14 ss); che «si meravigliava» (Mc 6,6); che si intristiva e piangeva (Gv 11,35); che si commuoveva (Mt 14,14); che incontrava, andava, ritornava, amava, pregava; che provava «paura e angoscia» (Mc 14,33)… che – per dirla alla De Andrè – «è morto come tutti si muore, come quegli altri, cambiando colore».

E a meno di dire – come è stato detto dall’eresia docetista –che Gesù facesse finta, è necessario, di fronte a questa evidenza, assumere con serietà e radicalità il fatto che Gesù sia Dio proprio nel modo di farsi uomo! E che – viceversa – dentro a questo “farsi uomo” di Gesù, fatto di storia e incontri, riflessioni e esperienze, ci sia anche il suo modo di essere Dio: un Dio che sceglie di essere Dio-con-gli-uomini o Dio-mai-senza-l’uomo, che dunque sceglie di non scrivere la storia a prescindere da lui, ma di inventarla insieme con lui… sapendo il rischio che corre…

2- Secondo sconvolgimento: anche le donne in maniera inconcepibile per la mentalità ebraica di allora ed ecclesiastica di oggi – sono entrate in questo flusso di presa di coscienza di Gesù! E lo hanno fatto in modo radicale. È curioso quanto peso – ancora una volta con un coraggio smisurato – la prima comunità cristiana abbia riservato nei vangeli agli incontri di Gesù con le donne. Non solo per la loro quantità o frequenza, quanto per la loro decisività: Gesù nasce dal grembo di una donna; non ha paura di andare contro le prescrizioni ebraiche e di suscitare scandalo facendosi da loro toccare («Ed ecco una donna, che soffriva d'emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. […] Gesù, voltatosi, la vide e disse: “Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita”», Mt 9,20.22) e amare («Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato», Lc 7,37-38), difendendole pubblicamente («Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei», Gv 8,7); addirittura attribuendo all’incontro con una di esse la stessa necessità di farne memoria che assegna all’eucaristia («In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei» Mt 26,13); scegliendo tra tutti, appena risorto, di andare dalla sua Maria Maddalena («Maria!», Gv 20,16)…

E poi la nostra di oggi… quella donna che ha fatto cambiare idea al Figlio di Dio… una donna… che era straniera!

3- Testimone emblematica del fatto che il Signore è uno che accetta di avventurare la sua libertà nell’intreccio con quella della sua creatura, a prescindere da qualsiasi barriera razziale, culturale, di genere, incontrandola invece in quell’intimità di sé (la stanza interiore) che fa l’uomo umano (e cioè abilitato all’incontro col divino – il divino di Gesù Cristo).

Ecco il terzo sconvolgimento! Il più sconvolgente perché ha sconvolto per primo Gesù stesso! Egli infatti ha dovuto prendere coscienza di dover cambiare idea e di dover uscire dalla mentalità giudaica del suo tempo che pensava la salvezza come dono esclusivo per Israele. A ben guardare infatti Gesù inizialmente si dedica «alle pecore perdute della casa d’Israele», non va nei territori pagani e non a caso chiama dodici discepoli: egli infatti vede la sua missione come la costruzione del nuovo Israele!

Ma… la vita gomito a gomito con la gente, nonostante il tentativo, anche duro, di trattenersi («egli non le rivolse neppure una parola») lo “converte”… gli fa cambiare strada… e spalancare le porte dell’incontro con Dio, in lui, a tutti gli uomini! Anche a noi stranieri!
Forse perché «dire no a chi ‘da vicino’ ti chiede qualcosa, è sempre più difficile» [Relazione per i 25 anni della fraternità di Lessolo].

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