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martedì 18 ottobre 2011

XXX Domenica del Tempo Ordinario

Il vangelo che la liturgia ci propone per questa Trentesima Domenica del Tempo Ordinario, segue, saltando pochi versetti, quelli delle settimane scorse. Siamo sempre a Gerusalemme e sempre nello stesso contesto di tensione con i capi religiosi ebrei.

Il capitolo 22,34-40, quello odierno, propone infatti nuovamente il tentativo di uno dei gruppi religiosamente più intransigenti di Israele, di mettere alla prova Gesù: dopo i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo che nel Tempio avevano messo in discussione la sua autorità (Mt 21, 23 ss) e dopo i sadducei che lo avevano interrogato sulla risurrezione dei morti a cui non credevano (Mt 22,23-33), ecco ritornare alla carica i farisei, già messi a tacere – come ci raccontava la liturgia di settimana scorsa – in occasione della discussione sul tributo a Cesare (Mt 22,15-22): essi ripropongono ora capziosamente una nuova domanda a Gesù: «Qual è il grande comandamento?».

La domanda non è neutrale, anzi, il Vangelo stesso sottolinea come essa sia stata fatta «per metterlo alla prova»

Eppure essa contiene anche uno sfondo di curiosità sincero: «Nelle scuole teologiche del tempo ci si chiedeva [infatti] quale fosse il comandamento da porre in testa all’elenco.

Uno scriba pone la domanda a Gesù per metterlo alla prova; vuole cioè saggiare la capacità del nuovo maestro e conoscere la sua opinione su un dibattimento alla moda.

Gesù cita anzitutto due testi dell’Antico Testamento.

Un passo del Deuteronomio (6,4-8): “Ascolta Israele, Jahvè è il nostro Dio. Jahvè è uno solo. Ama Jahvè tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Le parole che oggi ti ordino siano nel tuo cuore. Le inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti trovi in casa, quando cammini per strada, quando ti corichi e quando ti alzi. Le legherai quale segno sulla tua mano, saranno come pendenti tra i tuoi occhi. Li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”.

E un testo del Levitico (19,18): “Non vendicarti e non serbare rancore verso i figli del tuo popolo, ma ama il prossimo tuo come te stesso”.

I due passi erano al centro della spiritualità di Israele, soprattutto il primo, che veniva recitato mattina e sera, ricamato sulle maniche delle vesti, scritto sugli stipiti delle porte.

Ma pur citando nella sua risposta testi noti e preesistenti, Gesù si mostra – nei confronti delle opinioni correnti – nuovo e originale. Per lui il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo non è semplicemente il comandamento da mettere in testa all’elenco, neppure soltanto il comandamento più importante: è il centro da cui tutto deriva [cui tutta la legge e i profeti sono sospesi dice il testo greco!], e che tutto informa e permea: ogni altra legge, se vuole presentarsi come volontà divina, deve essere espressione di questo duplice amore» [B. Maggioni, il racconto di Matteo, Cittadella Editrice, Assisi 20044, 282-283].


Ancora una volta, allora, Gesù, sottoposto ad una domanda-tranello dai suoi oppositori – domanda dalla quale avrebbe dovuto uscire screditato – assume l’interrogativo tendenzioso che gli viene proposto, ribaltandolo come un calzino… e smarcandosi dalla malizia di chi glielo propone!

Per loro infatti si tratta solo di un “assalto alla sua credibilità”: è un tentativo di “metterlo alla prova su un argomento alla moda”, sperando che risponda qualcosa che lo faccia entrare nella polemica con gli altri maestri… quindi che lo “tiri dentro” al mucchio e lo disperda tra i tanti! Dunque che annulli la sua pretesa di avere una parola inaudita…

Per lui invece la questione è serissima; le loro “chiacchiere leggere” sono occasione per porre una parola pesante: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Quindi: tutta la Legge e i profeti (cioè tutta la Parola di Dio nella/sulla storia) va “fatta dipendere da”, “è sospesa a”, “è appesa a”, “va intesa a partire da” la relazione d’amore con Dio e con il prossimo.

Questa è la “parola pesante” che Gesù pone e che fa ammutolire (come sempre più spesso accade) i suoi oppositori. Un silenzio sul quale poi Gesù porrà una contro domanda (vv. 41-45, che la liturgia non propone) che chiuderà la polemica verbale (per aprire poi quella omicida dell’arresto e della croce) perché: «Nessuno era in grado di rispondergli e, da quel giorno, nessuno osò più interrogarlo» (Mt 22,46).

A noi oggi, lontani da quel contesto di discussione mortale in cui Matteo inserisce le parole di Gesù, resta in mano soprattutto la domanda sul loro significato: Cosa intende dire/fare Gesù, appendendo la Legge e i profeti al duplice comandamento dell’amore a Dio e al prossimo?

Io credo istituire il criterio orientativo della vita: a noi continuamente incerti sui passi da porre, ad ogni livello, continuamente arrabattati nella ricerca di risposte, di certezze, di “manuali delle istruzioni” per questa vita che ci si propone sempre più come complessa… a noi continuamente preoccupati di far bene o almeno di cercare il modo per far bene e così frastornati dalle migliaia di chiacchiere su cosa sia questo “far bene”… a noi, il Signore sopraggiunge con una parola pesante: il criterio è l’amore.

È vero che ci sarebbe da discutere cosa si intende per amore, che spesso nel concreto chiamiamo amore qualcosa che invece che far bene all’altro, lo uccide, che ci sarebbe da pensare bene a cosa ciascuno di noi intende per “tenere insieme amore per Dio e per il prossimo”, ecc… ecc… ecc…

Sono tutti argomenti su cui ci sarebbe da pensare e da dire molto… e sui quali è bene che ciascuno pensi e dica molto…

Ma io credo che prima di tutto questo, il vangelo di oggi ci inviti a deciderci per un’opzione vitale per l’amore: un’opzione rispetto alla quale invece mi pare rischiamo sempre di stare un po’ come sulla soglia… autogiustificati da tante altre considerazioni di buon senso, di imprescindibile calcolo, di inevitabile equilibrismo tra le tante istanze della nostra vita… salvo poi ritrovarci smarriti nel moltiplicarsi delle considerazioni, dei calcoli e delle istanze, senza saperci più raccapezzare nell’individuazione di una via che orienti la sensatezza della nostra vita.

È la situazione in cui spesso mi ritrovo io… è la situazione in cui a volte mi pare di ritrovarmi con la gente con cui vivo… è la situazione in cui a volte mi pare annaspi la Chiesa e la società tutta…

Forse è allora il caso di ripartire da qui… da quello cui tutto il resto è appeso, che dunque sta o cade in base alla sua capacità di essere espressione d’amore.

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