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martedì 25 ottobre 2011

XXXI Domenica del Tempo Ordinario

Il vangelo che la Chiesa ci propone in questa Trentunesima Domenica del Tempo Ordinario, è costituito dai versetti 1-12 del capitolo 23.

Io però suggerisco la lettura dell’intero capitolo 23, perché esso – nel suo insieme – riesce meglio a rendere l’idea di quale sia la posizione di Gesù rispetto agli scribi e ai farisei «di ieri e di oggi»… Una posizione che non va ridotta a questione occasionale, non rilevante, ininfluente (quasi che Gesù abbia risposto con questa alacrità solo perché in quel momento il tono della discussione era acceso… e dunque le sue parole andrebbero prese con le pinze…), ma che – anzi – a mio parere è molto istruttiva (la dice lunga…) per comprendere cosa/come pensa Gesù, dunque chi egli sia!

Non a caso gli studi esegetici confermano che questo discorso di Gesù, non è per niente il resoconto di una sua mera presa di posizione occasionale, che Matteo avrebbe redatto all’indomani di uno scontro coi capi religiosi ebraici, quanto piuttosto «un vero e proprio discorso che l’evangelista ha costruito con la tecnica che gli è abituale: parole del Signore pronunciate in contesti diversi sono radunate insieme per affinità tematiche. Nel nostro caso l’evangelista ha raccolto molte parole polemiche del Signore, quasi a rappresentare il vertice della rottura fra Gesù e i farisei» [B. Maggioni, il racconto di Matteo, 290].

Queste parole sono infatti collocate da Matteo dopo i brani dello scontro con i capi religiosi di Gerusalemme, di cui abbiamo letto nelle scorse settimane: a coronamento dell’innalzarsi della tensione contro Gesù – tensione che lo porterà alla morte –, l’evangelista colloca questa raccolta di parole severe, che hanno di mira un certo modo di vivere la religiosità e in particolare l’autorità religiosa.

Il fatto però che – appunto – si tratti di una raccolta di parole pronunciate (anche) altrove e in diverse occasioni, rende evidente come la posizione di Gesù qui espressa non sia occasionale, ma strutturale: cioè, il nostro brano di vangelo non ci dice semplicemente il pensiero di Gesù rispetto a quei pochi sadducei, farisei e scribi che hanno tentato di coglierlo in fallo nelle varie dispute analizzate nelle settimane scorse; ma ci rivela quale sia stato il pensiero che Gesù ha elaborato nella sua storia (il discorso è infatti composto da frasi che ha pronunciato in momenti diversi della sua storia, che Matteo ha scelto per rendere l’idea di quale fosse il pensiero del suo Maestro) rispetto al potere religioso.

Questo è il nocciolo del discorso…


Insomma… se si dovesse raccogliere ciò che Gesù pensa rispetto al potere religioso, verrebbe fuori questo capitolo 23… Anzi è proprio andata così: Matteo, dovendo raccogliere ciò che Gesù aveva detto/pensato rispetto al potere religioso, ha ottenuto questo lacerante capitolo 23!

Guardiamolo perciò un po’ più da vicino… non tanto per alimentare una polemica con l’attuale potere religioso – cioè guardando il testo come se fossimo noi gli oppositori dei farisei di ieri e di oggi – quanto piuttosto per far sì che le parole di Gesù interpellino il fariseo che c’è in ciascuno di noi… l’anima farisaica delle nostre famiglie, dei nostri gruppi, delle nostre comunità, della nostra Chiesa.

Innanzitutto ciò che emerge è che ad essere messi sotto accusa da Gesù sono essenzialmente due atteggiamenti: l’incoerenza ipocrita e la ricerca di sé.

Non l’incoerenza e basta, ma l’incoerenza ipocrita: quella cioè che maschera la verità di sé. Perché leggendo il vangelo ci si accorge subito che la fragilità dell’uomo (tra cui anche la sua incoerenza!) non sono mai impedimenti veri all’incontro col Signore, anzi… tanti episodi paiono sottolineare come soprattutto chi è immerso nella sua fragilità, chi è trasparenza della miseria umana è come “favorito” nell’accesso al Regno («In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio», Mt 21,31).

Il problema non sta quindi nella nostra impossibilità a costruirci una vita “santa” («“Chi può essere salvato?”. Gesù disse: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”, Mt 19,25-26), ma nel fingere che questa impossibilità per qualcuno sia meno impossibile che per qualcun altro…

Questo fanno gli scribi e i farisei cui Gesù rivolge questo suo discorso duro; questo è il pericolo sempre insito nel potere religioso: fingere di non essere uomo tra gli uomini, fratello di fratelli, peccatore seduto con tutti gli altri alla tavola dei peccatori… ma di avere i “titoli” morali, sacrali, intellettuali per essere chiamato “maestro”, “padre”, “guida”… È questa falsificazione di fronte agli altri e a se stessi della nostra identità fatta della stessa pasta umana degli altri, che spaventa Gesù…

E lo spaventa perché sa che questo meccanismo di falsificazione di sé (non si pensa più a se stessi come a poveri, figli, bisognosi di misericordia, di cura, di fraternità…), porta inevitabilmente alla discriminazione omicida: se io non sono come gli altri (sottinteso “sono meglio”), il mio sguardo verso di loro non potrà essere che di indifferenza o commiserazione o disprezzo o condanna…

Se tutto questo è vero a livello delle singole persone – e credo che tutti quanti personalmente l’abbiamo un po’ sperimentato sulla nostra pelle, sia come vittime (di qualche sedicente “diverso/migliore di noi”), sia come carnefici – a maggior ragione lo è al livello macroscopico delle istituzioni, dove – appunto – l’apparato istituzionale censura ciò che invece a livello personale ancora ogni tanto ci salva, e cioè lo scrupolo di coscienza nell’“ammazzare” l’altro…

Ma c’è ancora un livello peggiore di incistamento di questo meccanismo… quando esso non solo è istituzionalizzato, ma lo è a livello religioso/sacrale: lì infatti l’alibi del far le cose “perché dio le vuole” chiude ogni possibilità d’appello.

È questa pericolosità che Gesù vede e denuncia… e tenta continuamente di scardinare, ribadendo come Maestro, Padre e Guida debba essere Uno solo, Dio, di cui noi siamo tutti discepoli, figli, in-seguitori. Ribadendo dunque come tra noi il rapporto debba essere unicamente fraterno.

Guardandosi intorno (ma anche dentro) non sembra che questo elemento strutturale del vangelo di Gesù sia stato molto colto… tanto meno assunto…

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