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martedì 3 giugno 2014

Pentecoste 2014

Dagli Atti degli Apostoli (At 2,1-11)
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

 Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 12,3b-7.12-13)
Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune. Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-23)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

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In questa domenica di Pentecoste (cinquantesimo giorno) i testi che la Chiesa ci propone nella liturgia fanno riferimento all’evento celebrato in questa festa: il dono dello Spirito santo.

Questi testi non vanno pensati come scritti “in presa diretta”, come se fossero un diario di bordo in cui gli apostoli riportavano i fatti contemporaneamente al loro accadere. Essi sono piuttosto il frutto di anni di riflessione che le prime comunità cristiane hanno messo in atto riguardo al “problema” della nuova situazione, creatasi dopo l’Ascensione di Gesù.

La questione era tenere insieme i dati complessi della realtà: da un lato il fatto che Gesù non fosse più presente in carne ed ossa e nemmeno nel modo post-pasquale delle apparizioni («egli fu assunto in cielo», At 1,2); dall’altro, il fatto che avesse promesso un secondo Consolatore («Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre», Gv 14,16) e che quindi non ci sarebbe stata una situazione di orfanità per l’uomo («Non vi lascerò orfani», Gv 14,18).

Ma come pensare questa nuova vicinanza segnata dai tratti della mancanza? Questa presenza immersa nell’assenza?

La svolta, narrata poi nei termini che conosciamo di «un vento che si abbatte impetuoso» e di «lingue come di fuoco» o nella forma giovannea di Gesù che «soffiò», è stata la graduale presa di coscienza della concretizzazione delle parole promettenti di Gesù: «Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire» (At 2,33).

È stata cioè la constatazione nella vita, nell’esperienza impastata di sangue e fango, di un’energia effettiva, da «vedere e udire»; è stato il ritrovarsi addosso questo Spirito e la sua potenza: «essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi» (At 2,4), «Pietro, pieno di Spirito Santo, disse…» (At 4,8), «tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza» (At 4,31), «Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà» (At 20,22); è stato lo scoprire che esso entrava in relazione potentemente col il loro nucleo più intimo, la sede delle loro decisioni: «Lo Spirito mi disse di andare con loro senza esitare» (At 11,12), «Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo…» (At 13,4), «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…» (At 15,28), «avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia» (At 16,6); è stato infine, il percepire che questa era una forza dinamica, non statica, che circolava e si diffondeva: «non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di loro lo Spirito Santo e parlavano in lingue e profetavano» (At 19,6).

È questa constatazione della presenza reale dello Spirito che abilita la riflessione dei primi cristiani e permette un suo disvelamento, una sua graduale conoscenza, una sua intelligenza e in questo modo anche un potersi rapportare ad esso.

Nel Nuovo Testamento sono tanti i modi in cui si parla dello Spirito, in cui si tenta di dirlo, o attraverso immagini, o proponendo i suoi effetti (per stare alla lettura di questa domenica: «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue»), ma il modo che a me pare più chiaro è quello contenuto sempre nella 1 Lettera ai Corinzi, ma qualche capitolo prima, rispetto a quello della lettura proposta dal liturgista. In 1Cor 2,11 infatti Paolo dice: «Chi conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio».

Mi pare una delle formulazioni più chiare perché accostando una realtà umana, una dinamica antropologica, a Dio, rende tutto immediatamente più comprensibile: come lo spirito dell’uomo (cioè il suo nucleo vitale, il suo essere di fronte a se stesso, la sua autocoscienza…) è l’unico a conoscerne l’intimità verace, l’interiorità autentica, così è lo Spirito di Dio per Dio; è l’intimo di Dio, la “pancia” di Dio… tant’è che per la teologia cattolica esso è identificato con l’amore che il Padre e il Figlio si scambiano e che in qualche modo trabocca e si dona all’uomo: «noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio» (At 2,12).

Ed esso è proprio quella realtà che i primi cristiani riscontravano presente!
Ecco dunque, man mano, come si è evoluta la riflessione sulla nuova situazione data dalla presenza di Dio nell’assenza di Gesù: il cielo squarciato non si è richiuso, l’uomo non è rimasto solo, il cuore di Dio non ha nuovamente nascosto i suoi segreti! Ma anzi nell’incontro tra Spirito di Dio e spirito dell’uomo è possibile proprio l’incontro tra l’intimità dell’uno e quella dell’altro, tra la loro verità, tra le loro libertà!

 Ma come sta insieme questa immersione (battesimo) del mondo nello spirito di Dio con quanto andavamo dicendo settimana scorsa sull’Ascensione: e cioè sul ritrarsi di Dio per far spazio alla creduta (da Dio) adultità della sua creatura?

Ebbene, io credo che quanto dicevamo settimana scorsa sia traducibile – in termini antico-filosofici – con le parole di san Tommaso: “Dio non agisce nelle cause seconde”. Quello è il regno dell’agire dell’uomo. Esiste davvero questo lasciar spazio, questo ritrarsi, questo non intervenire nella storia!

E contemporaneamente però Dio è accanto alla sua creatura, si confronta con lei, decide insieme a lei, collabora alla costruzione della sua identità – se la creatura può/vuole –, ma lo fa da Spirito a spirito: entrando a porte chiuse, nelle porte del cuore, ma non abbassando nessuna maniglia concreta che la sua creatura non decida di abbassare.

Questo è ciò che si intende per spiritualità del rapporto con Dio: niente di esoterico o “fantasmico”, quanto piuttosto questa fragilità della sua presenza, questa potenziale insignificanza del suo esserci, questa possibile trascurabilità del suo esistere.

Eppure, per chi decide di rivolgere il proprio spirito allo spirito di Dio, questa presenza/esserci/esistere diventano di un’incandescenza e di una vigorosità inaspettate, come quando entriamo in intimità con qualcuno che fa risuonare le corde più vere della nostra identità.

 E come si fa per “rivolgere il proprio spirito allo Spirito di Dio”?

Sentiamo di prassi di vario tipo: da rituali stanchi e ripetitivi che invocano la sua presenza (nella preghiera eucaristica avviene ben 2 volte, senza che noi ci prestiamo troppa attenzione) a rituali fantasmagorici e piuttosto pittoreschi…

La mia esperienza mi suggerisce invece che la spiritualità/fragilità della presenza di Dio nella storia, laicizzi molto le modalità di incontro con questo spirito di Dio, che passa dentro alle chiacchierate con un amico, alle lacrime di una sera in cui sei irrequieto, alla testa fra le mani chi ogni tanto ci ritroviamo, e chissà dentro a quanti altri interstizi della storia… segnata dalla sua presenza riconosciuta sempre dopo…

Tenendo ben presente quanto anticipato prima: che lo Spirito di Dio è l’amore del Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre che trabocca e si riversa su ciascuno di noi: questo amore è ciò che fa da interlocutore al nostro spirito, questa permanente memoria che la nostra unica identità di fronte a Dio è quella di figli amati.

Per questo per chi può/vuole/riesce ad accoglierlo, lo spirito diventa incandescente e vigoroso.

Per questo per chi può/vuole/riesce ad accoglierlo, lo spirito diventa interlocutore con cui confrontare la vita, con cui decidersi, con cui costruire la nostra identità.

Per capire bene cosa questa modalità di incontro con lo spirito di Dio (fragile) e il contenuto della sua essenza (l’amore traboccante di Dio) vogliano dire nel nostro costruirci come uomini, pensate – all’inverso – a cosa vuol dire invece quando il confrontare la vita, il deciderci, il costruire la nostra identità, lo facciamo non con lui, ma con quegli altri “spiriti” che ci suggeriscono che presso Dio siamo inadeguati, peccatori, castigati… o elitariamente prediletti, migliori, separati rispetto al resto dell’umanità…

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