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mercoledì 1 ottobre 2014

XXVII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaia ( Is 5,1-7)
Canterò per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva vangata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato scelte viti; ci aveva costruito in mezzo una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica. Or dunque, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa devo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (Fil 4,6-9)
Fratelli, non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!
 
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 21,33-43)
In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò suo figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». Gli risposero: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri”? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare».
 
Il vangelo che la Chiesa ci propone per questa ventisettesima domenica del tempo ordinario è la diretta continuazione del brano di settimana scorsa: durante il duro scontro con i principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, Gesù aveva proposto la parabola dei due figli e ora racconta quella dei vignaioli omicidi (domenica prossima racconterà la terza e ultima della serie: quella del banchetto di nozze – Mt 22,1-14).
Non si tratta più delle miniparabole sul Regno («Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo», Mt 13,44), ma di elaborazioni più complesse, che non a caso hanno uditori diversi (gli anziani, i sacerdoti…), anch’essi più “complessi” rispetto alle folle di semplici che circondavano Gesù all’inizio del suo ministero…
E, esattamente come settimana scorsa, la parabola è costruita con un marchingegno tale da rigirarsi contro gli interlocutori, chiamati a prendere posizione: «“Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?” – chiede Gesù. Gli risposero: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: ‘La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri’? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”».
Gesù, cioè, ribalta addosso ad essi, il giudizio che loro stessi avevano espresso… sono loro i vignaioli malvagi a cui sarà tolto il regno di Dio!
Interessante, allora, diventa andare a cercare che cosa ha reso questi “vignaioli”, cioè questi sacerdoti e anziani di Israele, talmente deprecabili da ricevere un giudizio così duro!

Per farlo, è importante andare a guardare anche alla I lettura, tratta da Isaia, dov’anche si racconta di una vigna… che – seppur ben curata dal suo padrone, aveva dato uva selvatica…
Fuor di metafora in Isaia il rimprovero a Israele era quello espresso dal v. 7 del capitolo 5: «La vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi».
Ciò che quindi ha suscitato la delusione del Signore rispetto alla casa di Israele è stato lo spargimento di sangue e le grida degli oppressi, dove si aspettava giustizia e rettitudine!
Io trovo che questo sia un primo elemento fondamentale delle letture di questa domenica: ciò che dal punto di vista di Dio fa da discrimine tra la bontà di una vigna e, invece, una delusione rispetto ad essa è la giustizia fra le creature! Non altro!
Mi piace – a proposito – citare qualche frase di una conferenza del professor Silvano Petrosino sul tema del Regno di Dio: «La Scrittura mette sempre in rapporto la santità che è del creatore e la giustizia, che riguarda il rapporto tra le creature. La trascendenza della santità, si manifesterà come trascendenza, nell’immanenza della giustizia. La santità che appare come qualità del creatore, è la stessa che definisce la qualità di quel certo rapporto tra le creature che la Bibbia chiama giustizia. Non c’è biblicamente alcuna possibilità di rapporto diretto con il Creatore che non passi dalle creature. Il rapporto diretto con il Creatore la Bibbia lo definisce una tentazione. Scriveva infatti Beauchamp: “Nessuna affermazione dogmatica, fosse pure la divinità di Cristo o la risurrezione della carne, regge, se rimane fuori dall’esigenza di giustizia. Essa è intrinseca alla verità, piuttosto che derivare dalla verità. Creare a partire dal nulla è dare la giustizia a un nulla di giustizia”. E Levinas: “La giustizia resa all’altro mi dona di Dio una prossimità inoltrepassabile. La preghiera e la liturgia senza la giustizia non sono niente”. Sembra quasi che la Scrittura – riprendeva Petrosino dopo le citazioni – dica a chi vuol difendere la trascendenza di Dio: non ti preoccupare di difendere la trascendenza del Creatore, preoccupati piuttosto della creazione; prenditi cura della creatura e così renderai gloria al Creatore.
Guardate a Dio in modo da non distogliere lo sguardo dall’uomo».
Questo sembra invece la grande dimenticanza – anche nel vangelo – di coloro che “hanno in mano” la vigna del Signore; ecco perché quel duro atto di accusa: «vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare».
In particolare nel vangelo, la parabola mostra come la mancanza di giustizia, sia da legare al fatto che i vignaioli si rifiutino di consegnare il raccolto al padrone, prima ammazzandone i servi, poi addirittura il figlio… Il loro scopo è quello di impossessarsi della vigna («quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità»), per diventarne, loro, i padroni, come mirabilmente descrive Dostoevskij ne “Il grande inquisitore”, riferendosi però alla chiesa: «Perché sei venuto a disturbarci? [dice il Grande Inquisitore a Gesù]. Tutto è stato da Te trasmesso al papa, tutto quindi è ora nelle mani del papa, e Tu non venirci a disturbare, quanto meno prima del tempo. [...]Tutto è stato da Te trasmesso al papa, tutto quindi è ora nelle mani del papa, e Tu non venirci a disturbare, quanto meno prima del tempo. [...] La libertà della fede già allora, millecinquecent’anni or sono, Ti era piú cara di tutto. Non dicevi Tu allora spesso: “Voglio rendervi liberi?”. Ebbene, adesso Tu li ha veduti, questi uomini “liberi”. Sí, questa faccenda ci è costata cara, ma noi l’abbiamo finalmente condotta a termine, in nome Tuo. Per quindici secoli ci siamo tormentati con questa libertà, ma adesso l’opera è compiuta e saldamente compiuta. [...] Adesso, proprio oggi, questi uomini sono piú che mai convinti di essere perfettamente liberi, e tuttavia ci hanno essi stessi recato la propria libertà, e l’hanno deposta umilmente ai nostri piedi. Questo siamo stati noi ad ottenerlo. [...] Abbiamo corretto l’opera Tua e l’abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull’autorità».
Ecco ciò di cui Gesù accusa i capi religiosi di Israele e ciò da cui anche la Chiesa deve sempre guardarsi: sostituirsi al Signore come padroni della vigna (cfr. Mt 23)!
Il meccanismo denunciato da Gesù pare essere infatti proprio questo: coloro a cui è affidata la vigna (Israele, i capi religiosi, la Chiesa) rischiano di dimenticarsi che il loro compito è quello di lodare Dio facendo la giustizia. Cioè dimenticano che al Creatore si arriva prendendosi cura della creatura! Dimenticano che il loro compito di vignaioli era prendersi cura di ogni pezzettino di carne umana su questa terra… Essi – invece – si sentono come investiti della difesa di Dio, dei diritti di Dio (credendo che questo coincida col loro compito di vignaioli!), fin anche contro Dio stesso (il padrone della vigna) e suo Figlio!
Ma perché succede questo? Perché i custodi del Regno sono così tentati dalla dimenticanza di essere loro stessi di Dio e per gli altri? Gesù è chiaro anche su questo: «quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità». È la commistione col potere che inquina il cuore dell’uomo religioso!
Ecco perché il Signore non si mischierà mai con esso, non entrerà neanche mai a compromessi: sa troppo bene che il potere dimentica l’uomo; e Lui, il Figlio del Dio dell’uomo non può accettare la soggiogazione di nessuno dei volti dei suoi figli, in nome di istanze superiori (neanche religiose).
Questo è il messaggio nuovo che il vangelo introduce (rispetto a Isaia, ma rispetto anche a qualsiasi altra saggezza umana): tutto ciò che è contro l’uomo non è da Dio, neanche se è rivestito di sacralità!
È il messaggio che chiunque si trova a custodire anche solo un pezzettino di Regno (che poi vuol dire anche solo un pezzettino del cuore di un uomo) deve sempre avere presente: è sul volto dell’uomo che si misura qualsiasi scelta pastorale, qualsiasi indicazione morale, qualsiasi proposta spirituale! Se non è per l’uomo, non è da Dio!
Non a caso, la parabola troverà tragicamente conferma nella vita di Gesù!
È infatti in nome della difesa dei diritti di Dio che Gesù verrà ucciso…
È infatti in nome della difesa dei diritti di Dio che migliaia di uomini sono stati uccisi lungo la storia… o umiliati, estromessi, scacciati, abbandonati…
Ma proprio questi “scartati” – pare dire Gesù – sono il nuovo popolo di Dio che farà fruttificare la sua vigna, inaugurando un Regno di giustizia, al cui centro ci sia – come unica difesa di Dio – la difesa di ogni uomo.
Il secondo punto di riflessione allora – per noi – è proprio questo: il riconoscimento che «Lui è l’amore innocente rifiutato, ma d’ora in poi chiunque sarà scartato e gettato via dagli uomini (anche per un amore sbagliato) diventa con lui membro di diritto del Regno del Padre. Ma ancor più paradossalmente, gli stessi assassini, una volta “giustamente” buttati fuori anche loro e spossessati della vigna, diventeranno anche loro pietre scartate, pronte per scoprire ed accogliere (finalmente!) l’umile disarmata ma invincibile “potenza” dell’amore (Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!).
[…] Dunque rimane per noi l’annuncio che il metodo di Dio, quello usato con il Figlio suo, è sempre lo stesso. Usa le pietre scartate da noi (quelle respinte violentemente o subdolamente eliminate dalla nostra convivenza) per costruire anche oggi la sua chiesa e salvare l’umanità. La parabola rinnova per noi (come per gli uditori di Gesù) una specie di ultima ancora di salvezza. Mentre il nostro mondo occidentale implode su se stesso a livello tecnologico, economico e progettuale (cioè politico) ‑ la nostra chiesa è tentata da uno sterile ritorno al passato, e noi consumiamo le energie a difenderci e accusarci secondo la logica devastante delle istituzioni che decadono, rischiamo di perdere la sintonia profetica con il futuro che il vangelo ci insegna. Il futuro si costruisce sempre con le pietre scartate da noi! E il Padre… come ha fatto con il figlio suo, ancora va a raccogliere nei campi di profughi di ogni razza, nelle periferie delle metropoli, nelle schiere di esiliati o diffidati di ogni istituzione civile o ecclesiale, nelle fosse comuni dove sono sepolti i grandi misfatti della storia… i suoi poveri. Loro sono i nuovi fittavoli fidati, magari neanche consapevoli della storia di questa parabola… Ma nella loro carne si ripete il mistero di Cristo Gesù» [Giuliano].

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