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lunedì 20 ottobre 2014

XXX Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro dell’Èsodo (Es 22,20-26)

Così dice il Signore: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso».

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési (1Ts 1,5-10)

Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedònia e dell’Acàia. Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 22,34-40)

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

 

Il vangelo che la liturgia ci propone per questa Trentesima Domenica del Tempo Ordinario, segue, saltando pochi versetti (l’episodio dei sadducei che interrogano Gesù sulla risurrezione, Mt 22,13-33), quelli delle settimane scorse. Siamo sempre a Gerusalemme e sempre nello stesso contesto di tensione con i capi religiosi ebrei.

Il brano di Mt 22,34-40, quello odierno, propone infatti nuovamente il tentativo di uno dei gruppi religiosamente più intransigenti di Israele, di mettere alla prova Gesù: tornano infatti alla carica i farisei, già messi a tacere – come ci raccontava la liturgia di settimana scorsa – in occasione della discussione sul tributo a Cesare (Mt 22,15-22): essi ripropongono ora capziosamente una nuova domanda a Gesù: «Qual è il grande comandamento?».

La domanda non è neutrale, anzi, il Vangelo stesso sottolinea come essa sia stata fatta «per metterlo alla prova»

Eppure – come sottolinea il biblista Bruno Maggioni – essa contiene anche uno sfondo di curiosità sincero: «Nelle scuole teologiche del tempo ci si chiedeva [infatti] quale fosse il comandamento da porre in testa all’elenco.

Uno scriba pone la domanda a Gesù per metterlo alla prova; vuole cioè saggiare la capacità del nuovo maestro e conoscere la sua opinione su un dibattimento alla moda.

Gesù cita anzitutto due testi dell’Antico Testamento.

Un passo del Deuteronomio (6,4-8), lo Shemà Israel: “Ascolta Israele, Jahvè è il nostro Dio. Jahvè è uno solo. Ama Jahvè tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Le parole che oggi ti ordino siano nel tuo cuore. Le inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti trovi in casa, quando cammini per strada, quando ti corichi e quando ti alzi. Le legherai quale segno sulla tua mano, saranno come pendenti tra i tuoi occhi. Li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”.

E un testo del Levitico (19,18): “Non vendicarti e non serbare rancore verso i figli del tuo popolo, ma ama il prossimo tuo come te stesso”.

I due passi erano al centro della spiritualità di Israele, soprattutto il primo, che veniva recitato mattina e sera, ricamato sulle maniche delle vesti, scritto sugli stipiti delle porte.

Ma pur citando nella sua risposta testi noti e preesistenti, Gesù si mostra – nei confronti delle opinioni correnti – nuovo e originale. Per lui il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo non è semplicemente il comandamento da mettere in testa all’elenco, neppure soltanto il comandamento più importante: è il centro da cui tutto deriva [cui tutta la legge e i profeti sono sospesi dice il testo greco!], e che tutto informa e permea: ogni altra legge, se vuole presentarsi come volontà divina, deve essere espressione di questo duplice amore» [B. Maggioni, il racconto di Matteo, Cittadella Editrice, Assisi 20044, 282-283].

Interessante quest’ultima frase di Maggioni, che ho messo in grassetto… sarebbe bello ripercorrere tutte le leggi della Chiesa per vedere se soddisfano questa condizione… o se la soddisfano ancora…

Anche perché l’espressione con cui Gesù conclude la sua risposta ai farisei («Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti») non è una semplice aggiunta incolore o addirittura tralasciabile rispetto alle citazioni anticotestamentarie cui Gesù fa riferimento: essa piuttosto dà il tono anche a quanto precede, chiarendo soprattutto e indiscutibilmente che, pur citando testi antichi, Gesù vuol dire qualcosa di nuovo e originale.

Dire infatti «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti», vuol dire cambiare, nella risposta, il senso della domanda che gli è stata posta. Lo scriba infatti gli chiedeva quale fosse il comandamento da mettere in cima alla lista dei vari precetti ebraici, ma la prospettiva di Gesù è un’altra: egli pone l’amore (per Dio e per il prossimo) fuori dalla lista degli obblighi e dei doveri dell’uomo religioso. Per Gesù siamo su un altro piano. L’amore infatti non può essere comandato; per definizione non può essere imposto! Esso è dunque di altra natura: non fa parte della lista; piuttosto le dà senso.

Detto altrimenti: con queste parole Gesù prende le distanze dal legalismo, da quella forma deviata della pratica religiosa che vincola la bontà o meno di una persona all’adempimento di precetti e all’assolvimento di regole. Infatti il pericolo più grande di qualsiasi forma religiosa (anche del cristianesimo) è il tentativo di regolare il rapporto uomo-Dio secondo parametri universalizzanti. Gesù infatti è stato chiarissimo nel mostrare come il pericolo più grande per allontanare gli uomini da Dio sia fargli credere che il loro rapporto con Lui si possa liofilizzare in forme stereotipate, in itinerari spirituali, in precetti morali... Gesù invece ribadisce sempre come questo annichilimento della singolarità di ciascuno sia l’ostacolo più grande per un rapporto autentico col Signore. È ciascuno che il Signore vuole incontrare, per quello che è e là dove è: non quando tutti avranno finito il catechismo, si saranno confessati e saranno in stato di grazia! Tant’è che sono sue le parole «I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Mt 21,31), quasi che questi ultimi, privi di qualsiasi impalcatura legalistica (anzi, reietti dai ben pensanti) gli appaiano meno difesi di fronte al venire di Dio, meno “impalcaturati” e dunque più aperti.

Ancora una volta, dunque, Gesù, sottoposto ad una domanda-tranello dai suoi oppositori – domanda dalla quale avrebbe dovuto uscire screditato – assume l’interrogativo tendenzioso che gli viene proposto, ribaltandolo come un calzino… e smarcandosi dalla malizia di chi glielo propone!

Per loro infatti si tratta solo di un “assalto alla sua credibilità”: è un tentativo di “metterlo alla prova su un argomento alla moda”, sperando che risponda qualcosa che lo faccia entrare nella polemica con gli altri maestri… quindi che lo “tiri dentro” al mucchio e lo disperda tra i tanti! Dunque che annulli la sua pretesa di avere una parola inaudita…

Per lui invece la questione è serissima; le loro “chiacchiere leggere” sono occasione per porre una parola pesante: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Quindi: tutta la Legge e i profeti (cioè tutta la Parola di Dio nella/sulla storia) va “fatta dipendere da”, “è sospesa a”, “è appesa a”, “va intesa a partire da” la relazione d’amore con Dio e con il prossimo.

Questa è la “parola pesante” che Gesù pone e che fa ammutolire (come sempre più spesso accade) i suoi oppositori. Un silenzio sul quale poi Gesù porrà una contro domanda sul Cristo (vv. 41-45, che la liturgia non propone) che chiuderà la polemica verbale (per aprire poi quella omicida dell’arresto e della croce) perché: «Nessuno era in grado di rispondergli e, da quel giorno, nessuno osò più interrogarlo» (Mt 22,46).

A noi oggi, lontani da quel contesto di discussione mortale in cui Matteo inserisce le parole di Gesù, resta in mano soprattutto la domanda sul loro significato: Cosa intende dire/fare Gesù, appendendo la Legge e i profeti al duplice comandamento dell’amore a Dio e al prossimo?

Io credo istituire il criterio orientativo della vita: a noi continuamente incerti sui passi da porre, ad ogni livello, continuamente arrabattati nella ricerca di risposte, di certezze, di “manuali delle istruzioni” per questa vita che ci si propone sempre più come complessa… a noi continuamente preoccupati di far bene o almeno di cercare il modo per far bene e così frastornati dalle migliaia di chiacchiere su cosa sia questo “far bene”… a noi, il Signore sopraggiunge con una parola pesante: il criterio è l’amore.

Già…

Ma questa è forse una delle parole più abusate, tanto che ormai è abusato perfino dire che “amore” è una parola abusata… eppure il problema rimane. Vorrei però affrontarlo non in termini filosofici o da rivista del parrucchiere, ma ponendo al centro la parola di Gesù su questo tema.

1- Cosa vuol dire amare Dio e il prossimo? E 2- Cosa vuol dire tenere insieme amore per Dio e per il prossimo?

1- Sull’amore dell’uomo a Dio il vangelo non ha riferimenti diretti.

Mentre sull’amore del prossimo, dice: «Dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13) CIOÈ non solo morire in un atto eroico per salvare qualcuno, ma quotidianamente dare vita alle persone che la storia ci fa incontrare. “Dare vita”, “dare la vita”, “dare la nostra vita”, “dargli da mangiare la nostra vita” perché Vivano, cioè accedano a quella pienezza che è il Regno.

2- «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34) NON “Come io ho amato voi, così voi amate me”.

Cioè non esiste circuito a 2: Dio mi ama e io amo Dio. Ma sempre a 3: Dio mi ama e io – per amarlo – non posso che passare da un altro: il prossimo. Non esiste perciò concorrenza tra amore a Dio e al prossimo. L’unico modo che abbiamo per rispondere all’amore di Dio è amare qualcun altro!

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