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martedì 7 ottobre 2014

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario


Dal libro del profeta Isaìa (Is 25,6-10)

Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 4,12-14.19-20)

Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù. Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 22,1-14)

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

Il brano che abbiamo letto settimana scorsa, quello della parabola dei vignaioli omicidi, terminava – nella liturgia – con il versetto 43 del cap. 21 di Matteo: «Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Il testo di oggi è la continuazione del discorso di Gesù con i capi dei sacerdoti e gli anziani, che ci accompagna ormai da qualche settimana. Ma tra il brano di domenica scorsa e quello odierno ci sono 3 versetti che la liturgia omette (Mt 21,44-46). Il primo, il v. 44, è la conclusione di discorso di Gesù, ed è omesso probabilmente per la sua durezza: «Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato».

Gli altri 2, i vv. 45-46, sono un commento dell’evangelista: «Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta».

In quel “capirono che parlava di loro” è svelata la strategia di Gesù che abbiamo cercato di delineare in queste settimane: Gesù attira in un tranello i suoi interlocutori, costringendoli ad esprimere un giudizio che poi ribalta contro di loro.

So di averlo già più volte scritto, ma lo ripeto per 2 motivi:

1-      Perché c’è ancora molta reticenza nell’identificare i destinatari delle controversie più dure di Gesù nei capi religiosi: noi siamo stati infatti abituati a pensare che i “personaggi negativi” siano tutt’altre categorie di persone. E per averne 1 controprova basta chiedere ai bimbi – cartine di tornasole della mentalità che si respira nelle nostre case – chi sono gli avversari di Gesù… non risponderanno certo “gli uomini religiosi”, ma i ladri, i drogati, quelli che uccidono, ecc…

Risposte che hanno un loro senso, ma che in ultima analisi identificano Gesù con il super-io della società, il censore dei comportamenti antisociali.

Allora, è giusto che una società fronteggi queste situazioni, non lo è invece attribuire a queste categorie di persone l’etichetta “cattivi” e farla risalire a Gesù.

Perché Gesù, con tutti questi ha condiviso la vita (ha fronteggiato i problemi del furto – cfr. Zaccheo – del degrado – cfr. i suoi atteggiamenti con le prostitute – con gli assassini – cfr. il suo atteggiamento sulla croce – ecc…), cercando di aprire le prospettive del Regno del Padre suo, ma non si è fatto loro antagonista.

Gli antagonisti veri di Gesù nel vangelo sono gli uomini religiosi: c’è qualcosa in quel mix di potere e religiosità che lui reputa più pericoloso di qualsiasi altra cosa. È lì che continua a battere: sull’errata immagine del volto di Dio, sulle conseguenti errate dinamiche di relazione tra gli uomini.

Ma noi – uomini religiosi, figli “spirituali” di uomini religiosi – continuiamo a non prendere sul serio che questo è il nocciolo vero della fede: se prevede la commistione col potere, si sta allontanando dal vangelo. E se il potere in questione è potere sulle coscienze (sulle “anime” come si diceva o si dice ancora) il pericolo è mortale.

2-      Ho ribadito il meccanismo, anche perché nella parabola di questa domenica non è più riportato (anche Matteo ormai dà per scontato che l’abbiamo capito) e viene narrata subito la parabola. Lo dico perché – se non si tiene presente il meccanismo del marchingegno linguistico di Gesù – si rischiano indebite identificazioni. Per intenderci: il re che fa la festa di nozze per il figlio e che poi manda ad uccidere quelli che non sono andati al banchetto e che anzi gli avevano insultato e ucciso i servi (messaggeri dell’invito), lo stesso re che getta nelle tenebre l’invitato senza abito nuziale… non è Dio!

È una storia inventata da Gesù, nella quale raccontando eventi anche un po’ paradossali, Egli vuole che i suoi interlocutori si sbilancino in un giudizio: i sommi sacerdoti e gli anziani – così come noi – di fronte a questi invitati pensano male, li trovano ingiusti, cattivi e sconsiderati e dunque si sentono solidali con le reazioni violente del re. È proprio lì che Gesù dice (e ci dice): quelli siete voi!

In analisi non vi è dunque il comportamento di Dio: come se la parabola volesse dire “Attenti! Che se non andate a messa (identificazione immediata e impropria che ci viene con il banchetto di nozze) poi Dio vi manda all’inferno”; oppure “Attenti! Perché se andate a messa ma non avete l’abito adatto (l’anima pulita, dalla confessione – altra identificazione immediata e impropria) andrete comunque all’inferno”.

Quel re – che fa così – non è Dio: è il personaggio di una storia, il cui ruolo narrativo è quello di farci guardare dal suo punto di vista gli eventi narrati. Alla fine della storia ci viene da dire: ha ragione questo re a trattare così questi uomini! Ebbene, Gesù dice: “Siete voi quegli uomini”. Così che ci troviamo spiazzati… noi ci sentivamo dalla parte del re e ci ritroviamo dalla parte degli invitati a nozze che non sono andati, anzi hanno insultato e ucciso quelli che ci invitavano, e – se per caso ci siamo andati – abbiamo pure sbagliato vestito…

È un po’ la sensazione che aveva provato Davide quando – dopo aver messo incinta la moglie di Uria e averlo fatto ammazzare – si era sentito raccontare dal profeta Natan la storia di due uomini che vivevano nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. «“Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero, mentre il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina, che egli aveva comprato. Essa era vissuta e cresciuta insieme con lui e con i figli, mangiando del suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Era per lui come una figlia. Un viandante arrivò dall’uomo ricco e questi, evitando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso quanto era da servire al viaggiatore che era venuto da lui, prese la pecorella di quell’uomo povero e la servì all’uomo che era venuto da lui”. Davide si adirò contro quell’uomo e disse a Natan: “Per la vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non averla evitata”. Allora Natan disse a Davide: “Tu sei quell’uomo!”» (2 Sam 12,1-7).

Dunque, sono gli uomini religiosi di ieri e di oggi, siamo noi, quegli invitati che non vanno al banchetto o che, se ci vanno, ci vanno senza l’abito nuziale (cioè: ci vanno senza voler partecipare; come andare a una partita di calcio femminile, col vestito da sera e i tacchi; come andare a correre senza scarpe da ginnastica, e via dicendo…). Il problema allora non è la messa o la confessione, ma il rendersi sordi o supponenti di fronte all’annuncio del Regno: Dio arriva e propone un mondo di amore, verità, giustizia, misericordia, fraternità… e noi preferiamo fare altrimenti: vivere nell’egocentrismo, nella falsità, nell’interesse, nella durezza di cuore, nel solipsismo… E se ascoltiamo l’annuncio di questo nuovo modo di stare al mondo, lo facciamo senza l’abito, l’habitus, la disposizione interiore adatta per prendervi parte: magari armati di dogmi, di precetti, di smania di potere (sulle coscienze), di tutte quelle cose religiosissime che tengono gli altri alla debita distanza (le donne, gli omosessuali dichiarati, i divorziati, gli sporchi, i puzzolenti, i sudati, i sanguinanti, ecc…).

La parabola allora è una parabola forte, che vuole dare uno scossone energico e vigoroso a chi l’ascolta, perché quando si è immersi in un certo modo di vivere non ce ne si accorge neanche più: lo scossone serve per costringerci a guardare là dove non vediamo, a cambiare punto di vista, a osservare la nostra vita da un’altra angolazione… in modo da scrutare se per caso ci stiamo sottraendo all’invito alla festa di Dio.

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