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venerdì 18 settembre 2009

Il mistero della sofferenza e ... il bimbo in braccio a Gesù

I ragionamenti dei materialisti peggiori si introducono nella mia mente: Più tardi, grazie ai nuovi progressi raggiunti incessantemente, la scienza troverà una spiegazione naturale di tutto, e avremo la ragione definitiva di tutto ciò che esiste e che è ancora problema, perché ci sono ancora tante cose da scoprire... (VIII.97) . Ecco guarda là quel buco nero (sotto i castagni
vicino al cimitero) dove non si vede più niente; io col corpo e con lo spirito sto in un buco così. Oh! Sì, che oscurità! Eppure ci sto in pace (28.8.979).
Non credo alla vita eterna, mi sembra che dopo questa vita mortale non ci sia più niente. Non posso descriverle le tenebre nelle quali sono immersa (IV/97) Mi pare che le tenebre assumendo la voce dei peccatori mi dicano, facendosi beffe di me: "Tu sogni la luce...credi di uscire un giorno dalle brume che ti circondano. Vai avanti! vai avanti! Rallegrati della morte che ti darà non già ciò che tu speri, ma una notte più profonda, la notte del niente" (C 278)
S. TERESA di Lisieux, dottore della chiesa

...La rivoluzione culturale che la modernità ha indotto nella “cristianità”, ha fatto sì, che ciò che appariva detto “sragionando”... è entrato nel cuore del cristiano e la voce degli “empi” è entrata nella dinamica della fede. Le parole della Sapienza oggi ci trovano in qualche modo conniventi: Dicono fra loro gli empi, sragionando: «La nostra vita è breve e triste; non c’è rimedio quando l’uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dal regno dei morti. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati: è un fumo il soffio delle nostre narici, il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore, spenta la quale, il corpo diventerà cenere e lo spirito svanirà come aria sottile (Sap 2,1ss)

... non abbiamo più bisogno di mettere una distanza di sicurezza (e di condanna!) tra noi e i lamenti di chi “sragiona” sulle questioni ultime di senso o non senso della vita, ma li assumiamo senza repulsione, perché sono “umani”. La loro cura radicale, come di una malattia genetica inguaribile, non sta nel censurarli. Sta nella possibilità di trasformare questa debolezza strutturale in risorsa, affrontandola, appunto alle radici... In epoche culturali nelle quali la fede personale in Dio e i contenuti della fede (cioè l’adesione esistenziale ad un Dio che ci viene incontro – e le parole e gli eventi entro i quali pensiamo di comprenderlo e recepirlo) formavano una sintesi omogenea, pressoché inscindibile, si è pensato che il disagio o le difficoltà del credere (sempre in aumento!) derivassero dal mettere in dubbio le categorie e i simboli che la contenevano e i valori morali che la custodivano e quindi su questi si concentrava l’attenzione apologetica in difesa delle verità della fede. Atteggiamento predominante anche oggi. Ma nel vangelo appare chiaro che la proposta di Gesù non trova ostacolo tanto nella pochezza umana, intellettuale e morale, ma piuttosto nella durezza di cuore del credente stesso, che ragiona ancora ‘secondo gli uomini’, come dice Gesù a Pietro... Non è la consapevolezza tragica della precarietà della vita umana, la ricerca spesso delusa di un senso della vita, la difficoltà a gestire le grandi scelte etiche, che sono di ostacolo al Signore, ma la repulsione verso il nucleo stesso di tutta l’avventura umana di Cristo: l’inscindibile legame tra la sofferenza e la salvezza, la morte e la risurrezione, la debolezza e la potenza, in lui come Messia – e quindi nell’uomo e nella sua storia.
Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini... La prima volta che ha parlato della sua passione (nel brano di domenica scorsa) Gesù ha manifestato “apertamente” la sua vera identità ( …e con franchezza diceva la Parola 8,31), e “Satana” stesso, secondo Gesù, esce allo scoperto nell’opposizione totale di Pietro, che manifesta appassionatamente la logica del mondo. Tu ragioni secondo gli uomini e non secondo Dio, gli ribadisce il Maestro, appena riconosciuto come il Cristo. Pur essendo intervenuta simbolicamente la trasfigurazione (“ascoltatelo!” 9,7), anche ora, come ad ogni annuncio della sofferenza del figlio dell’uomo, i discepoli sono spaventati e sopraffatti dalla paura. Non capiscono nulla sulla croce, perché non sono capaci di uscire dai propri schemi per accettare un Messia che invece di imporsi (avevano visto che ne aveva le forze) diventa servo dei fratelli, fino a perdere la vita per loro. Continuano a sognare un messia glorioso. L’ effetto, quindi, di questo secondo tentativo di rivelare la propria identità e destinazione è ancor più amaro: “…Essi non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.” (ridiventano sordomuti!)… e Gesù si ritrova solo nel cammino verso... casa, a precederli, perché i discepoli, rimasti indietro, “lungo la via”, stavano discutendo chi fosse il più grande! La reazione di Gesù dinanzi alla meschinità evidente dei discepoli, che si lasciano andare ad alterchi di competizione e gelosia, proprio dopo aver sentito della sua fine dolorosa, mette a nudo di fronte alla sua pedagogia fraterna la caparbia recidività del cuore umano, e la necessità di estirparne la radice profonda che lui chiama il "lievito dei Farisei e di Erode" (Mc 8,15), che rinasce ogni volta di nuovo! Ma Gesù non desiste, continuando, invece, a ripetere, nelle sue predizioni della passione, morte e resurrezione (tutte insieme inscindibili!) che questa è la sua messianicità. “Deve essere così”: il “Messia vero” è solo capace di questa salvezza – troppo incompiuta e troppo dolorosa, per la nostra fame di bene “facile e immediato”! Questa autoriduzione del Messia in tono minore, questa salvezza debole, ‘questa potenza che si manifesta nella debolezza’, contrasta troppo con la nostra brama insaziata di primato e di gloria, ed è causa continua di scandalo tra i cristiani e non cristiani, fuori e dentro ciascuno di noi… Questa messianicità storicamente inconcludente è la causa della nostra inconfessata delusione “evangelica” di cristiani, presi tanto spesso dalla malcelata voglia di menar le mani (pardon: adesso... menar la testa e le leve del potere!), tentati di rispondere con forza “efficace”… per ripagare con le stesse armi (con la stessa violenza) chi oscura la visibilità della nostra fede... e le sue traduzioni culturali, economiche, politiche. É questa nostra fede che di fatto ... non si fida di Gesù e del suo vangelo! Il nostro concetto di Dio, della sua onnipotenza e maestà, che dovrebbe appunto, come tale, imporre il suo primato assoluto su ogni altro potere... è incompatibile con la messianicità sofferente e oppressa di Gesù. Ma lui ribadisce che proprio perché uno è il più grande deve essere l’ultimo di tutti, il servo di tutti! Il suo vero potere – come dirà a Pilato è di un altro mondo – il mondo dell’amore.
Per la strada avevano discusso tra loro chi fosse più grande...
Il primato infatti, palese o inconfessato, è il vero obiettivo della vita umana, nelle forme più diverse e talora felpate! Gesù propone il rovesciamento di questa logica mondana nella quale i discepoli di Gesù (noi) siamo ancora immersi, come scrive Giacomo nella sua analisi drammatica della sua comunità cristiana: c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni.... Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Si sta parlando proprio della nostra storia di chiesa (in casa!), appena ci siamo installati nella nostro contesto di fede e, superata la novità dell’incontro avvincente col Signore, emerge la nostra vera identità, rimasta intatta nel profondo, perché è la molla che spinge (e inquina) in realtà le nostre facoltà, desideri, sentimenti – guida ed orienta gli atti e le decisioni della vita e rimane sostanzialmente impermeabile e sorda di fronte alla Parola. E guai, quanto è anche muta, non fa più domande (non cerca e non prega più!). Proprio perché si è rassegnata alla propria pur meschina e bramosa im/potenza. È così ammutolisce la speranza di uscire dal proprio circuito sterile...Essere protagonisti (voler “imporre” l’io a un tu e al coro, per essere considerati e amati!) è un percorso inevitabile di autorivelazione e insieme di autocostruzione di sé, come bisogno di relazione. È il grande compito della nostra vita. Gesù sa bene che ognuno deve percorrere questo difficile cammino dell’autorealizzazione… Ma ad un certo punto il discepolo è messo di fronte alla sorte del Maestro. Se davvero vuol crescere, deve seguirlo: Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti. Se le ripetute esperienze negative l’hanno omai disilluso sulle proprie forze di invertire la rotta del cuore, Gesù, con palese tenerezza, suggerisce un rimedio.
e preso un bambino
Gesù prende, lì attorno, un bambino nulla, davvero, nella società di allora, l’ultimo della scala sociale e lo pone nel bel mezzo del cerchio dei suoi discepoli sgomenti. Ecco il centro di gravità, l’assegnazione del primato di importanza nel suo gruppo. Ecco la nuova logica su cui è fondato il Regno. E, abbracciando il bambino: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato! Al centro di tutta la Rivelazione c’è... una, anzi, tre identità concentriche, e sono il perno fuso attorno al quale ruota la storia della salvezza: il piccolo, il cristo, il padre – in coincidenza d’amore! Sono identificati in un paradosso di affermazione e di smentita, l’affermazione della fede e la sconvolta smentita dei sensi e della ragione. Come a dire: dunque, voi vedete qui solo un piccolo inabile a tutto: ma nel mio nome (nella mia logica) state accogliendo non lui solo, ma me stesso, il messia della salvezza immedesimato in ogni piccolo – e, in più, solo se mi accogliete io divento il Messia per voi, perchè guardate che non accogliete solo me , ma accogliete, unificato in me il Padre, che mi ha mandato, il quale solo in questo figlio immedesimato nel piccolo vede realizzato il suo amore per il mondo. È un osso duro per la teoria e per prassi ecclesiale, quest’annuncio. Non può essere ridotto ad una commovente esortazione morale al servizio dei poveri. Ma è teologale, cioè ... è Dio che è fatto così! Le tenebre dell’incredulità che ci prendono, noi discepoli, ieri e oggi, vengono dall’immensa fatica o repulsione ad accogliere non tanto la tenerezza di Gesù verso il piccolo, ma l’identificazione (di metodo!) del Messia con lui. Ma proprio per questo, quando Gesù sarà debole e sopraffatto dal potere, Pietro (con tutti noi) sarà cieco e sordo, lo tradirà e tradirà in Gesù ogni povero – e si denuda così la nostra fede monca, senza capacità di opere! L’amore vero, invece, direbbe Teresa (C 288) fa le opere anche in mancanza… di fede, proprio perché il cuore della fede è perdere la propria vita in quella dell’altro, affidati totalmente alle braccia di Dio.

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