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venerdì 4 settembre 2009

L’uomo vive se impara ad ascoltare e parlare

Il brano di Marco di domenica scorsa riportava un duro rimprovero di Gesù verso chi soffocava la parola di Dio nel cuore degli uomini, sotto il peso di tradizioni rituali fuorvianti. Poi, nel racconto evangelico, Gesù entra in terra pagana e proprio lì incontra una fede... inaspettata, “davvero grande”, come conferma anche Matteo, perché il dolore della Cananea per la figlia che le lacera il cuore, fa nascere nella donna straniera, irresistibile, una “parola”, che converte Gesù stesso, e quasi lo costringe a prestarle ascolto, a travalicare i limiti della sua missione. La bimba è salva con un “intervento a distanza”, strappato in un dialogo serrato con il Maestro. Subito dopo – ed è il brano di oggi! sempre in terra pagana, emerge ancor più esplicitamente il vero problema dell’uomo di fronte a Dio, a sé e agli altri: l’uomo è sordomuto! Dunque questo è il tema centrale cui mirava tutto il Cap. 7 del Vangelo di Marco: la parola e l’ascolto, cioè il linguaggio, come dinamica fondamentale della nascita e crescita dell’uomo – e come il luogo dove si radica la fede. Il linguaggio questa facoltà propriamente umana di produrre segni e scambiarli con gli altri, in una reciprocità dinamica che coinvolge vitalmente i due soggetti trasmittente e ricevente, è la caratteristica fondante della cultura umana, dunque il tessuto entro il quale soprattutto si fa e si manifesta la persona come relazione.Gesù si inserisce in questa dinamica, nel punto dove è lacerata tra le due polarità che la tengono in tensione: da una parte la struttura consolidata dei codici di comportamento, trasmessi dalla tradizione abitudinaria, cioè il contesto psicologico, sociologico, ideologico nel quale avviene la trasmissione del messaggio – dall’altra la creatività soggettiva della ricezione dell’interpellato che riformula inevitabilmente (se il soggetto rimane vivace!) il messaggio che è stato trasmesso, e a sua volta ritrasmette la sua ricezione scambiando i ruoli tra ricevente e trasmittente. Così, quando la dinamica funziona, si crea tra gli elementi della comunicazione un circolo ermeneutico (trasmittente - rete di trasmissione – messaggio – ricevente) che sta alla base della cultura, come luogo ove “l’uomo diventa più uomo” ma anche come alveo all’interno del quale l’uomo apprende la nozione di Dio... e lo incontra. Perché l’uomo non è, ma “diviene” – diviene la parola cui presta ascolto. Il massimo danno umano è essere “sordomuti”: non si può crescere senza ascolto e senza parola!

un linguaggio esplosivo: un fermento inarrestabile nelle strutture culturali...
Perchè il messaggio di Gesù è esplosivo dentro i codici culturali del suo tempo (e addirittura dentro lui stesso, come nell’episodio della Cananea)? Perché il suo nucleo è l’amore, che incrina le distanze e le barriere che dividono gli uomini – e li rendono “sordomuti”, smascherandone le motivazioni fallaci, che li fanno incapaci di relazione vitale con Dio e tra di loro, maldestri nell’ascoltarsi e in più, per paura, aggressivi verso ogni diversità che li metta in crisi. Gesù rompe i codici di separazione che mantengono gli uomini divisi a causa di criteri, che se erano serviti per una tappa del camino di umanizzazione dei rapporti, sono poi diventati oppressivi nei vari settori della vita. Nel campo della purità rituale, per esempio, “i farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?” La tradizione degli antichi era omai lontana dalla vita e tanto “pervertita” che arrivava alla prassi di cinismo sacro di cui dice Gesù: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. La vita religiosa era diventata un ginepraio di prescrizioni inattuabili da chi viveva una vita normale, a causa di infinite prescrizioni di comportamento nel lavoro, nella malattia, nel mangiare, nel pregare, nelle relazioni sociali e religiose... per essere graditi a Dio! Gesù ribadisce che l’uomo è unico responsabile della propria relazione con Dio: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo». Quindi soggiunse: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo”. Allo stesso modo proprio mentre dal popolo ebraico, con l’arrivo del Messia, ci sta venendo la salvezza, ci viene ribadito che questa è offerta a chiunque, anche pagano, senza che debba passare attraverso il groviglio di normative e sedimentazioni culturali discriminanti: la salvezza non è infatti questione di razza o di genere o di purità rituale o di privilegi economici o giuridici o religiosi... ma di ascolto della Parola per convertirci al suo Regno e imparare a “parlare” con lui e tra di noi!
l’umanità sordomuta
L’umanità è in questo uomo farfugliante, che emette mugugni, perché ha una voglia irreprimibile di parlare e prova anche lui, ma non ha mai sentito parlare come si deve, e quindi non può imitare i suoni convenzionali (le parole!) che gli uomini si scambiano. Non può entrare in dialogo. La gente sente che bisogna far qualcosa per introdurlo nella normale vita di relazione. Allora lo conducono a Gesù, perché il sordomuto non lo conosce. Non può averne sentito parlare, essendo sordo. E lo pregano perché gli imponga la mano, credendo che si tratti di uno dei vari impedimenti fisici o morali, che Gesù guariva spesso con l’imposizione delle mani. Ma Gesù se lo porta via, lo separa dalla folla. Non si può essere guariti da questo male radicale mentre si è ancora immersi nei codici pervasivi che ci hanno manipolato, ammutoliti o soggiogati con linguaggi disumanizzanti. Ci vuole una presa di distanza “dalla gente” e dal suo mondo, un distacco che permetta di concentrarsi per l’iniziazione ad ... un linguaggio nuovo. Occorre risanare orecchie e lingua! Gesù inizia a “parlargli”con il tatto! È il linguaggio materno, il più immediato, anzi l’unico contatto possibile con chi non parla ancora, il più coinvolgente fisicamente. Un’iniziazione articolata con gesti e parole simbolicamente potenti: “gli mise le proprie dite nei suoi orecchi! Infonde e plasma nel meccanismo delle orecchie una capacità di ascolto della parola “rimodulata” dalle dita di Dio… “ E con la saliva gli toccò la lingua” - come un’estrema concrezione corporea del suo soffio, dell’alito condensato del suo spirito. É l’immagine della parola non ancora parlata, fisicamente la più vicina, più percepibile al sordo. E questa primitiva elementare alfabetizzazione della carne innesca il sussulto, che dà la capacità al muto di “sentire” e poi di parlare, cioè di ripercorrere anche lui, accompagnato dalla lingua stessa di Dio che l’ha lambito, il cammino della parola parlante, che ha imparato ad ascoltare! Allora Gesù, come nei grandi momenti, alza gli occhi al cielo, geme, poi aggiunge ai gesti la parola che spiega, come nei sacramenti, ciò che sta avvenendo ad un livello profondo, ma parallelo a quanto i segni fisici umanizzati esprimono: effatà! La parola apre il cuore alla luce dell’amore… e infatti è l’intenso accudimento percepito in ogni fibra che apre alla capacità di relazione. Adesso che il sordomuto, risanato, sente – cioè sono risanate le orecchie si scioglie anche il nodo della lingua e parla “correttamente”, con le parole e il tono di voce appropriati, non con mugugni.
pieni di stupore... proclamavano...
Che cosa ha subito voglia di dire, l’ex sordomuto? proclamare, nonostante i dinieghi del Signore, ciò che gli era successo! Perchè tutti lo ascoltavano (adesso!) e gli rispondevano e parlavano con lui. Il Signore non riesce più a fermare il “dialogo” di gioia che aveva innescato lui stesso: e quanto più lo ordinava loro (di non dirlo a nessuno) tanto più abbondantemente essi lo proclamavano. Dunque il comando di tacere, per il timore di esporre alla magia il miracolo, non riesce a contenere la gioia espansiva di chi ha provato l’integrazione nella capacità di relazione, che fa umano l’uomo. L’espressione greca parla di una meraviglia tanto intensa che non troviamo in nessuna altra parte del Vangelo (B. Maggioni). Perché è il compimento del Vangelo stesso, cioè la gioiosa consapevolezza che la buona notizia si è avverata! L’uomo l’ha ascoltata ed è salvo. Per cui proprio questa è la lode, ripresa dal profeta: si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi, lo zoppo salterà come un cervo e la lingua di muto griderà di gioia. Il colmo di tutti i beni dell’uomo (ha fatto bene ogni cosa!) sta proprio nella possibilità offerta all’uomo di reimparare ad ascoltare e rispondere. Perché questo è il dono più grande ed esaltante che gli è dato: di potere accogliere in sé il mistero trinitario della Parola del Padre che si rivela in noi nella “forza” risanante dello Spirito di Gesù! forse per questo Gesù ricorre anche qui al gemito: alla implorazione al Padre, perché la salvezza è un puro dono della benevolenza di Dio. Un dono da chiedere, non da pretendere, come già nella moltiplicazione dei pani. Forse perché si tratta in questi casi della vita intima del Padre che Gesù ha appreso da lui per trasmetterla a noi, suoi fratelli
Le circostanze storiche hanno fornito la nostra condizione di credenti di nuove capacità di ascolto della Parola, impensate alle generazioni precedenti. Ma la nostra guarigione si è inceppata nella fase successiva all’ascolto. Forse non abbiamo osato rischiare di lasciarci toccare dalla lingua di Dio, perciò facciamo fatica ad imparare a parlare parole e linguaggi “divini” comprensibili agli uomini – a comunicare esperienze vitali che suscitino voglia di gustare nuovi moduli di vita... Forse siamo divenuti anche noi un po’ sordi alle sofferenze dei più lontani o affaticati, e pur di difendere la nostra malata identità, ci siamo lasciati contagiare il cuore dal criterio letale del respingimento e della discriminazione dei diversi, dei più poveri, dei più lontani che ci costringerebbero a riaprire orecchie e lingua: abbiamo introiettato dunque il contrario esatto del criterio propriamente “cristiano” che anche Giacomo ci ricorda Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?

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