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domenica 28 febbraio 2010

The Cross, or not the Cross: that is the question...



Quando ci appare qualcosa di completamente nuovo noi lo rileggiamo a partire dal “vecchio” che abbiamo vissuto: questo è normale. Però in questo modo il nostro sguardo verso il futuro rischia continuamente di essere una ripetizione degli schemi del passato. Anche Gesù era troppo “nuovo” perché noi riuscissimo a comprenderlo e chi lo incontrava non poteva che ricomprenderlo a partire dal proprio vissuto.

Chi sono io per la gente e per voi, chiede Gesù solo qualche riga prima di questo Vangelo. E la risposta è catastrofica: Un profeta come ne abbiamo già avuto, il più grande forse, ma comunque una riedizione rinnovata del vecchio sistema… È quasi un insulto: Non credere di essere chissà chi! «Chi ti credi di essere?» lo usiamo spesso anche noi per ridurre l’altro alla nostra misura…

Lo sconcerto di Gesù non è nemmeno diminuito davanti alla sorprendente dichiarazione di Pietro che evidentemente ha proprio l’abitudine di dire cose che non capisce: tu sei il figlio di Dio… Qui mi sembra di vederlo Gesù: bocca aperta, occhi sgranati di stupore e gridare di gioia: Finalmente qualcuno che mi capisce!… ma l’illusione dura poco, giusto il tempo di spiegare il senso del suo essere figlio di cotanto Padre… che il Dio di Pietro non si rivela più quello di Gesù e quindi neanche Gesù non è più il figlio di questo Padre… il Dio di Pietro non è quello di Gesù, non ancora! Il Dio di Pietro non è ancora un Padre che condivide le sorti dei suoi figli, è un Dio “nobile” il suo, dal sangue blu, signorotto del villaggio terrestre che nella sua paradisiaca residenza cerca di organizzare al meglio la stalla dei suoi mezzadri… Il suo è un Dio che non si immischia più di tanto con la feccia umana. E suo figlio – secondo i vari Pietro della storia difensori di un Dio che non esiste – non può essere da meno di un damerino, signorino figlio del padrone: ci visita, ma senza incontrarci, al massimo ci stringe la mano con le sue mani lisce e ben curate e i suo vestiti troppo puliti per essere nostri e ci dà una pacca sulla spalla a mo’ di incoraggiamento: è l’idea e il comportamento dello schiavo, non di chi si considera fratello del Figlio del Padre… E così subito l’amico discepolo pone le basi del suo futuro tradimento: non sia mai che il figlio di Dio debba morire in croce!

Che cosa gli restava da fare al povero Gesù? Andare a consultare Colui che l’aveva inviato tra persone tanto testarde quanto chiuse nei propri schemi, incapaci di immaginare una libertà diversa dalla propria schiavitù…
Non gli restava che “elevarsi” su un monte portandosi appresso “il problema”: quei discepoli che si facevano sempre più zavorra per la sua missione. E provare a pregare… a incontrare quel Dio che secondo i suoi amici non poteva permettere che lui, suo figlio, morisse di una morte tanto infamante. Al massimo morire su un bel letto attorniato da amici e dalla stima trasformata in lacrime di persone che ti amano… Ma sulla croce?! Non è degna di un uomo, figurarsi se poteva esserlo per un Dio!

Ecco il problema di fondo! Al centro delle letture di oggi: Croce o non croce? (Esodo, Gerusalemme…). Non semplicemente «morte o vita», «essere o non essere»: Shakespeare ha torto, non è questa la vera domanda!

Questo è il problema della nostra vita: non se morire o non morire, in quanto morire dobbiamo tutti morire. Ma ecco! la domanda vera che continuamente rimuoviamo diventa: «di che morte voglio morire?». Questa è la domanda che noi censuriamo che è la vera risposta possibile all’altra che usiamo come paravento alla nostra sete di potere: «che vita vogliamo vivere?». Ovviamente quella di un Dio!… peccato che Dio nel frattempo abbia cambiato casacca e casato…

Ma la risposta alla domanda oramai non più censurata - «di che morte vuoi morire?» - non è risolvibile con una risposta verbale… ma con un camminare nella storia alla ricerca di qualcuno per cui morire.

Non “morire per qualcuno per cui valga la pena morire”: non esiste!… non “morire per qualcuno che si meriti la mia morte”: non esiste!… Se aspettava di trovarlo Gesù sarebbe ancora in giro a cercarlo… e noi con lui! La morte di cui vorrei morire è la morte che ti possa “servire”…

La fede allora, è questo camminare nella storia alla ricerca di qualcuno per cui morire. E questo è anche l’amore! E questo determina il mio modo di vivere e questo dà le ragioni del mio vivere! Del mio vivere con/in te!

Il senso della vita sta nel non buttare via la propria morte, ma di renderla utile, significativa, efficace per qualcuno al quale il mio morire non sia indifferente: per diventare testimoni del morire per te! Vivere così è vivere da “trasfigurati” (qui), da “rinati dall’alto” (Gesù a Nicodemo)… Destinati alla resurrezione che si attua alla consumazione nella croce!

Fare una tenda, per godersi il bello della vita, come Pietro vorrebbe, senza sapere ancora una volta che cosa cerca, vuol dire proprio buttare via la vita stoppandone il cammino. Ma in questo modo si ha una sola certezza, quella di sprecare la propria morte e con essa la propria vita!

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