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mercoledì 9 marzo 2011

Convertire la fede

La Conversione di San Paolo (o Conversione di Saulo), olio su tela di 230 x 175 cm, del 1601 dal Caravaggio.
È conservato nella Cappella Cerasi della Basilica di
Santa Maria del Popolo a Roma


Mercoledì delle Ceneri

“Ritornate a me” dice il Signore per bocca di Gioele, gli fa eco san Paolo: ti supplico, lasciati riconciliare (con Dio, ma non solo). E il Vangelo ci avverte: “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro”. Il resto del discorso del vangelo non è che declinazione ulteriormente illuminante di questo avvertimento.

Cosa accomuna questi tre brani? Cosa sta al cuore del discorso biblico e della chiesa che ce li propone proprio oggi, mentre iniziamo il nostro cammino quaresimale?
A che tipo di conversione siamo chiamati in questa quaresima?

Ci guida la frase di Gesù: c’è una giustizia che non ha a cuore la giustizia! A pensarci bene è un avvertimento ben curioso: c’è del male anche a fare del bene? C’è un modo di vivere la propria fede (preghiera), carità (elemosina), pietà (digiuno) che è contro la fede, la carità, la pietà?

Pare proprio di sì! Si può pregare per evitare di incontrare Dio… si può fare l’elemosina per non assumersi la responsabilità di aiutare il prossimo… si può digiunare per tacitare la coscienza e meglio gozzovigliare in pace…

C’è un modo perverso di vivere la propria religiosità che uccide in noi la fede.
Mi capita spesso di confessare… Qualcuno si confessa di non pregare abbastanza, di aver saltato la messa… ma mai nessuno si è confessato di non pregare bene!
Non ricordo se qualcuno si sia mai confessato di non fare l’elemosina (forse perché la fanno! o forse perché lo considerano un gesto discrezionale e quindi – sbagliando – non peccaminoso ometterla)… ma nessuno si è mai confessato di essersi liberato delle proprie responsabilità, facendo l’elemosina. Mi è capitato che qualcuno si sia accusato di aver mangiato carne al venerdì… ma mai nessuno si è accusato di non aver dato in elemosina ciò di cui si è privato… E finito il digiuno rituale, non si sono curati di maturare un rapporto diverso con le “cose” e con il “tempo”…

Certo, la conversione è sempre conversione dal male… ma non solo: è soprattutto conversione dal
bene che compiamo. Perché questo è il male più subdolo, così male che può essere considerato il vero male personificato: Il Male! Ecco perché Paolo – come abbiamo visto dalla seconda lettura di domenica scorsa – si guarda bene dal giudicare persino se stesso: per non cadere nell’illusione di aver concluso la corsa… Infatti basterebbe comprendere che nessun “bene” è così bene da non aver bisogno di un ulteriore conversione verso un bene più grande, per cominciare a correre.

Sì, c’è una giustizia che non ha a cuore la giustizia, perché non ha a cuore la giustizia di tutti ma solo la propria. Ma la giustizia solo per sé è il massimo dell’ingiustizia.

Se il bene che facciamo lo facciamo solo per noi stessi, prima o poi smetteremo di farlo il giorno che non ci converrà. C’è un lavorare alla propria “salvezza” che costruisce la propria (e altrui) rovina.
Siamo buoni per conquistare il paradiso, per questo ci meritiamo l’inferno che costruiamo con le nostre buone azioni.

Sì, c’è un modo di vivere la nostra religiosità che va convertita. A ben pensarci la bibbia è stata scritta proprio per avvertirci di questo pericolo: C’è un modo di pregare che non va bene! C’è un modo di fare l’elemosina, che non serve il prossimo! C’è un modo di vivere le manifestazioni concrete della propria pietà e religiosità che uccide il “senso religioso”.

Che cosa fare allora? Porsi la domanda non basta, perché anch’essa può nascere dallo stesso scrupolo con cui amiamo senza preoccuparci di coloro che amiamo. In fondo sia i divorzi che gli abbandoni nella vita religiosa e sacerdotale sono lì a ricordarci che la malattia è molto più diffusa di quanto si creda.

Tre letture, tre puntualizzazioni evangeliche che vanno tutte in unica direzione.
Preghiera, elemosina, digiuno sono i tre ambiti in cui si realizza la dinamica dell’incontro: verso Dio, verso il prossimo, verso il creato… decentrandosi da sé.

Non basta “credere”! Occorre “credere al Vangelo”! Senza sapere ancora cosa effettivamente esso significhi se non che l’unico modo di salvarsi è di fregarsene della propria salvezza presente o futura e cominciare a preoccuparsi fin d’ora di quella degli A/altri.

Perché se al centro resta l’Io… non ci resterà che un futuro fatto della cenere del nostro passato.

3 commenti:

greg50 ha detto...

Ciao Mario, bellissima e impegnativa riflessione! Dici..”se al centro resta l' Io”..lo presa come chiave per meglio capire. E poi mi è venuto in mente il discorso della 'pallina' di Teresina, nel primo incontro di preghiera. Mi sembrava semplicistico, bambinesco, non avevo capito. Ma ora credo che Teresina avesse capito molto semplicemente che se il Vangelo non diventa il 'centro' e l' Io scompare fino a farmi diventare anche una 'pallina' nelle mani del Padre, non solo siamo 'cattivi' cristiani: non lo siamo del tutto! Greg50

Mario ha detto...

Già... La stessa cosa si può comprendere nel cosiddetto "inno alla Carità" di San Paolo, nel capitolo 13° della prima lettera ai Corinzi. I primi tre versetti, se espliciti il soggetto sottinteso, hanno al centro appunto l'Io... Alla cui azione corrispondono in crescendo giudizi pesantissimi: 1 bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita; 2 non sarei nulla; 3 a nulla mi servirebbe.
Solo il decentramento su Cristo (qui la Carità) presente nella seconda parte dell'inno, non rende vano l'agire dell'Io.

Mario ha detto...

Riporto qui un commento inviatomi altrove:

"L'unico modo di salvarsi è di fregarsene della propria salvezza presente o futura e cominciare a preoccuparsi fin d’ora di quella degli Altri"... Questa frase mi ha molto colpita.... Perchè per anni io ho fatto esattamente il contrario!!
A cui risposi:
...Tutti impariamo un po' alla volta, scoprendo che la strada indicataci fino a ieri, non portava da nessuna parte. O meglio portava esattamente nella direzione opposta a quella indicata. Paradossale ma esperienzialmente constatabile da chiunque sappia ascoltare il proprio cuore.
A ben guardare l'ultima tentazione di Cristo, quella vera!, è stata proprio quella di proprorgli a credere che la sua salvezza (e nostra) consisteva nel scendere dalla croce: per fortuna che non si è salvato, così ha salvato lui e noi!...

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