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venerdì 11 marzo 2011

I domenica di Quaresima (A)

Eccoci entrati nel tempo della Quaresima! E per la prima domenica di questo tempo speciale, la Chiesa ci invita a tornare a riflettere sul tema del male! In particolare in questo anno A, insieme al “classico” vangelo delle tentazioni di Gesù nel deserto, questa proposta di riflessione la si incontra già nella prima lettura, col racconto del cosiddetto “peccato originale”, dove “originale” – come spiego ai miei ragazzi a scuola – qui non indica qualcosa di “stravagante”… ma nemmeno qualcosa di “originario”, come se si stesse narrando del primo reale peccato commesso dall’umanità (dal primo uomo) con delle conseguenze a cascata su tutte le generazioni che sono seguite (come farebbe pensare e – per secoli – ha fatto pensare una certa interpretazione letterale dei testi). Siamo piuttosto davanti al racconto del peccato “originale” perché, dentro al mito di Genesi, si tenta di raccontare il “funzionamento” del peccato di sempre, la matrice di ogni male che l’uomo fa e si fa…

Proviamo dunque ad analizzarlo un po’ più da vicino… Innanzitutto: il serpente. Esso è indubbiamente figura letteraria (con buona pace di tutti gli amanti di questi curiosi esseri che la natura ci ha fatto conoscere)… una figura letteraria che nella finzione del mito ha la funzione di rappresentare la cattiva coscienza umana o ciò che la instilla nelle profondità del nostro cuore (perché è lì che si dà la lotta tra Bene e Male). Dunque il serpente… che esordisce con una domanda curiosa: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Una domanda curiosa perché ha in sé una chiara esagerazione: non è infatti assolutamente vero che Dio ha detto di non mangiare di alcun albero del giardino! Perché allora fa questa domanda, così palesemente erronea? Perché esagera così tanto nel travisamento delle parole (della Parola – della Legge – del comandamento) di Dio? Perché ha in mente una strategia bene precisa: quella di insinuare nella donna il dubbio che l’intenzione di Dio (in ciò che dice) non sia per il bene dell’uomo, ma per una sua soggiogazione, mortificazione, limitazione… Instilla cioè nella donna il dubbio che il comandamento di Dio sia troppo esagerato per avere uno scopo benefico: è infatti così difficilmente osservabile, che la sua trasgressione diventa giustificabile.

Ecco il primo dato: il male si origina sempre per una messa in discussione della paternità/benevolenza di Dio… per una sospensione della fiducia riposta in questo volto… una sospensione che apre la strada per addentrarsi in altre vie, in altre ricerche di felicità e bontà…

E la donna ci casca… Se prestiamo infatti attenzione alla sua risposta («Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”»), ci accorgiamo immediatamente che essa si è fatta “tirar dentro” alla rete del serpente: riporta infatti a sua volta il presunto comandamento di Dio, ma anch’ella lo sbaglia/esagera in due punti non marginali.

Se infatti andiamo a prendere ciò che aveva detto Dio («Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire»), vediamo come gli errori della donna siano:

- Nella proibizione: Dio aveva detto solo di non mangiare, mentre lei aggiunge (esagera) “non mangiare e non toccare”;

- Nella dislocazione: Dio aveva detto di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male e non dell’albero al centro del giardino, che era l’albero della vita («Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male»)… come a dire che quando ci si insinua la tentazione del male, quest’ultimo diventa il centro del nostro mondo, dei nostri pensieri, dei nostri desideri…

Non a caso, la donna guardando al “frutto proibito” «vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza»… cioè era una via alternativa a quella di Dio che conteneva in sé tutto ciò che può soddisfare la ricerca della felicità: era buono (da mangiare, dunque appagava il desiderio corporeo), gradevole (agli occhi, dunque appagava il desiderio estetico), desiderabile (per acquistare saggezza, dunque appagava il desiderio di sensatezza)… appagava l’essere umano nella sua interezza… e di fatti «prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò»… Non prima però di aver sentito per l’ennesima volta il serpente parlare e mettere in discussione l’identità di Dio: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Ecco consumato il peccato originale! Ecco raccontato cioè, non un peccato, ma lo “schema di funzionamento” di ogni peccato… Il problema biblico infatti non sono mai i peccati (al plurale), ma la loro radice più intima, chiamata – appunto – biblicamente, il peccato (al singolare), che è il dubbio su Dio. Questo infatti riesce a fare il serpente: instillare nella donna il dubbio che quel Dio che aveva sempre conosciuto come paterno, come benevolente (cioè come volente il suo bene), forse non lo è per davvero… forse nasconde una doppia faccia… un volto oscuro tenuto finora nascosto, per rivelarlo al momento opportuno, colpendoci alla sprovvista… con le sue punizioni, con le sue limitazioni, con le sue mortificazioni…

È quanto succede anche a Gesù nel deserto, che infatti viene tentato esattamente su questo punto: l’identità di Dio. Come se nelle tre domande che il diavolo (il dia-ballo, il divisore) gli pone, sostanzialmente venisse invitato per tre volte a non affidarsi al Dio Padre, tra le cui braccia ha riposto la sua vita… «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane»… Cioè se sei Figlio di quel Dio che agisce con potenza e può tutto per sé e per i suoi… usa questo potere! Ecco la prima tentazione sul volto di Dio: «Un’esperienza di guerra totale contro il male, pagata sulla sua pelle, per imparare ad amare sempre, senza cedere mai alla paura e all’egoismo, senza tentennamenti né pentimenti» [Giuliano], perché Dio è Amore, non Potere! E infatti ecco la risposta… «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”»… Ma il diavolo torna al contrattacco… citando – a sua volta – la Bibbia (elemento che convince definitivamente che il problema delle tentazioni non è morale – a Gesù non presentano una bella donnina poco vestita – ma teologico: in gioco c’è l’identità di Dio e per metterla in discussione il diavolo stesso si fa teologo ed esegeta… prova a mettere in crisi Gesù, citandogli le Scritture Sacre): «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”»… Come a dire… “Se sei così sicuro del tuo Dio, prova a vedere se davvero ti raccoglie”… (eco dell’altra tentazione, quella sulla croce: «se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!»)… che è come se dicesse “tu dici che del tuo Dio ci si può fidare… per me no, vediamo?”… «Gesù gli rispose: “Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”», perché Dio è Amico di cui fidarsi, non Nemico di cui diffidare. Ma il diavolo non è ancora domo (in realtà non lo sarà mai fino alla fine della vita di Gesù e ad ogni passo lo accompagnerà con la sua tentazione sul vero volto di Dio): «il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”»… L’ultima tentazione, la più grande: l’esplicitazione di una via alternativa a quella di Dio… Se ti prostri a me (cioè se abbandoni Lui) avrai potere, ricchezza e gloria, cioè felicità… «Allora Gesù gli rispose: “Vàttene, satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”»… Perché in Dio è la Vita e non nelle altre strade che il nostro cuore dis-perso (diviso) ci propone.

Ecco allora cos’è «l’obbedienza di uno solo» per cui «tutti saranno costituiti giusti» di cui parla Paolo: è la fedeltà al volto paterno di Dio… è la fiducia nella sua univoca benevolenza anche quand’essa non è immediatamente riconoscibile, è il continuare a riconoscerlo come un Tu, anche quando gli si grida contro per la disperazione: «"Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”»…

Anche per Gesù infatti… «Non si trattava soltanto di sopravvivere, lui e i suoi... il mangiare, bere, vestirsi… la casa e gli affetti, e le varie necessità essenziali pur semplicissime, che dopo l’infanzia imparò a soddisfare con il lavoro duro delle sue mani, come la tradizione e le Scritture insegnavano. Ma soprattutto era in gioco la compassione per i bisogni ... disattesi o disprezzati, dei poveri, malati, oppressi …che costituiranno apertamente i suoi interlocutori preferiti degli anni della vita pubblica … L‘impazienza di intervenire e lo struggimento dell’impotenza di fronte al male, avranno fatto venire anche a Gesù un’umanissima voglia di miracolo, pur di soccorrere il disperato che non ha più dove sbattere la testa, il piccolo violentato nella sua crescita umana, l’affamato che si è smangiato ogni sentimento umano perché non ha cibo per il suo stomaco né tenerezza per il cuore. Ecco il desiderio che il Padre trasformi non solo le pietre in pane, ma le rocce in case e il deserto in scuole e ospedali e rifugi d’accoglienza per chi ha perso ogni riparo… E invece gli tocca imparare ad amare a mani vuote E anche lui ! dopo quel poco che può fare, dichiararsi servo inutile, per questo tipo di bisogni. Ed abitare nella nostra stessa impotenza, accanto alla sofferenza senza rimedio. Ed imparare quanto è amaro e duro, rinunciare ad usare Dio per tappare i vuoti della nostra storia, cercando invece di accompagnare umilmente la gente nel deserto inospitale della vita. E ascoltare quale Parola esce dalla bocca di Dio, dentro le situazioni senza uscita nelle quali lascia vivere i suoi figli. E, dunque, imparare ad amare, senza pretendere inutili miracoli!» [Giuliano].

1 commento:

greg50 ha detto...

Ciao Chiara, impegnativo, difficile ma stupendo! Non avevo mai letto una simile interpretazione del 'peccato'. Mi porti sempre 'fuori rotta', ma vuol dire che quelle attuali non mi portano da nessuna parte: continua così, da qualche parte arriverò. Greg50

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