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martedì 7 febbraio 2012

VI Domenica del Tempo Ordinario




In questa Sesta Domenica del Tempo Ordinario, la Chiesa ci propone – nel vangelo – la prosecuzione del testo letto nelle settimane scorse.
Da Gesù si presenta un lebbroso.
Già la prima lettura – con i suoi pochi versetti tratti dal capitolo 13 del libro del Levitico – ci dà un’idea di cosa volesse dire essere lebbrosi nel popolo ebraico. Ma chi volesse farsene un’idea più precisa troverebbe soddisfazione al proprio interesse leggendo l’intero capitolo 13 del Levitico, che analizza in maniera puntuale (e a tratti curiosa) la problematica legata alle malattie della pelle.
Inoltre, se qualcuno davvero si prendesse la briga di leggere Lv 13, potrebbe – a quel punto – proseguire ancora per un capitolo e leggersi anche Lv 14, che parla delle modalità di purificazione e ri-accoglimento nella comunità del lebbroso guarito (modalità a cui fa riferimento lo stesso Gesù nel nostro vangelo).
Ma andiamo con ordine: da Gesù si presenta un lebbroso, senza nome né storia…
Semplicemente si tratta di un lebbroso. E questo bastava a tutti per capire la situazione in cui quest’uomo viveva: emarginato socialmente; considerato impuro e in qualche modo colpevole della sua situazione; impossibilitato a riabilitarsi, se non attraverso una improbabile guarigione.
È un disperato, un non-uomo (un uomo cioè privato, dallo sguardo con cui gli altri lo guardano e dallo sguardo con cui lui si guarda, della dignità umana), un infelice, senza speranza di lieto fine.
Ricorda qualcun altro questo lebbroso… molti altri… che sono nella sua stessa situazione esistenziale, seppure oggi – almeno da noi – non esista più la lebbra… Eppure quanti ancora, allontanati perché considerati impuri/indegni/diversi; ostracizzati e rispediti fuori dall’accampamento, spesso col supporto della legislazione; quanti infelici, disillusi da una storia che davvero sembra loro non offrire più chance per una buona riuscita della vita.
E allora… dentro a questo lebbroso mettiamoci tutti… compresi noi stessi, che almeno ogni tanto ci siamo sentiti così… Ma contemporaneamente mettiamoci dalla parte di Gesù… perché anche in questo “ruolo” siamo stati tutti almeno una volta, quando qualche disperato ci si è gettato – realmente o metaforicamente – alle ginocchia…
E leggendo come è andata quella volta tra quel lebbroso e Gesù, proviamo a confrontare la nostra esperienza, i nostri sentimenti, i nostri modi d’essere e di reagire, con i loro…
«Venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio», letteralmente «E viene da lui un lebbroso invocante lui e cadente in ginocchio»: l’immagine è molto forte e dice, senza bisogno di ulteriori decriptamenti lo status del nostro amico lebbroso. «Ha sentito parlare di Gesù, visto che in tutta la Galilea se ne parlava, come si dice poco prima … Ma è un escluso, un impuro! Deve essere allontanato dalla convivenza umana, a colpi di pietra. Chi gli si avvicina diventava impuro anche lui. Eppure… questo lebbroso trasgredisce la legge di Dio, pur di parlare a Gesù. Chissà come ha intuito che Gesù era connivente con lui! Infatti Gesù l’ha già misteriosamente guarito ‑ “dentro” ‑ dal male più subdolo e devastante che lo opprime, che è l’inconsapevole introiezione della  segregazione, come una maledizione accettata e meritata, in qualche modo, fino a convincersi che è giusta, e farsene colpa. Per questo la legge voleva che lui stesso gridasse di sé: Immondo! Immondo!... a convincere se stesso, ancor prima che per allontanare gli altri. Questo avvelenamento interiore che fa perdere a uno anche il minimo di stima di sé, provoca la disintegrazione della persona, perché ne taglia in radice la speranza, giustificando per di più, con questa auto-maledizione, la discriminazione che lo distrugge umanamente. Come lo schiavo, che si convince della “naturalità” della sua schiavitù… fino a spegnere perfino il desiderio di libertà!» [Giuliano].
«E gli diceva: “Se vuoi, puoi purificarmi”». Il lebbroso – “chissà come” – ha percepito che questo uomo che è Gesù non si sarebbe messo ad urlare, non lo avrebbe scacciato a sassate… non avrebbe avuto paura di lui; ma si sarebbe lasciato avvicinare. “Se vuoi, puoi purificarmi”. È lo schema tipico dei miracoli evangelici: essi – che sono sempre e solo segni della liberazione dell’uomo dal male (infatti, come mai Gesù maledice l’uomo, nemmeno dalla croce, nemmeno i suoi assassini, così neppure mai usa il suo potere speciale per fare male a qualcuno; in tutto il vangelo solo lui si fa male!) – presuppongono una fiducia in Gesù; è quando Gesù si sente investito di questa fiducia speranzosa da parte di qualche persona menomata nella sua umanità, che “scatta” il miracolo…
Anzi, più precisamente, scattano le viscere di Gesù, del quale infatti si dice che «mosso a compassione», «lo toccò», «avendo steso la sua mano».
A distanza di pochi versetti dal racconto del miracolo della guarigione della suocera di Pietro, Gesù di nuovo allunga la mano verso l’uomo, verso l’uomo sofferente, verso l’uomo intoccabile… e lo tocca…

È quasi diventato più famoso il gesto di san Francesco che abbraccia il lebbroso, di questo tocco di Gesù… Ma Francesco l’aveva fatto proprio perché voleva imitare il suo Maestro. È lui che ha aperto questa via impervia, ma vera (l’unica vera), del prendere contatto con chi è fuori dall’accampamento! Per tirarlo dentro, perché non si senta più fuori, a costo di essere messo fuori lui: fuori dove infatti finirà crocifisso.
E mi vengono in mente tanti uomini e tante donne, la cui vita potrebbe essere rappresentata con un cerchio (che indica l’accampamento) e loro con un piede dentro e un piede fuori, una mano ben salda a quelli di dentro e una ben salda a quelli di fuori… incompresi – magari – soprattutto da quelli dentro… che magari non si accorgono che Gesù è già andato fuori e quindi sono loro “i tenuti, nonostante tutto”…
Mosse le viscere di Gesù, sciolto dentro dalla disperazione fiduciosa di questo lebbroso, il miracolo “viene come da sé”: «“Lo voglio, sii purificato!”. E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato».
Ma da questo incontro intensissimo, con uno scambio di aspettative, promesse implicite, gesti forti e – a loro modo – eversivi (da entrambe le parti), il testo sembra farci uscire bruscamente: «E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: “Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro”».
Come “subito” la lebbra “partì da lui”, così “subito” Gesù “rimandò” il lebbroso. Perché questa brusca reazione? «Perché Gesù sapeva che manifestare il Regno di Dio con potenza ha in sé una grossa ambiguità: la gente infatti rischia di cogliere la potenza e non il messaggio che c’è dentro. […] Per noi infatti il metro di giudizio con cui misuriamo tutte le cose è il potere […] e Gesù si scontra contro questo pregiudizio dell’uomo: sa che questo fa deviare ogni tentativo, ogni parola che lui dice; perché noi la interpretiamo a nostro modo. Il vero problema è che però la fede proposta da Gesù è il superamento del Dio del potere, del Dio onnipotente. È come se Gesù, proprio dentro il miracolo, domandasse alla gente: “Credi che è onnipotente l’amore e non il potere?”» [p.Giuliano Bettati, in Con Marco in cammino verso il Regno].
Gesù quasi si spaventa di se stesso… Non ha resistito a farsi commuovere da questo poveretto, ma ora sa che il rischio di essere frainteso diventa più realistico (e diverrà – difatti – reale, come prontamente annota Marco: «quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte»).
Eppure sul calcolo delle opportunità, ha vinto la smisurata empatia per quell’uomo…
Sarebbe bello ora, ripercorrere questo episodio immaginandoselo nella testa… Immaginando gli sguardi, le espressioni del volto, il tono delle voci… le trepidazioni, il vortice dei pensieri nella testa di ciascuno, le paure, i desideri, le pressioni interiori, i sentimenti…
E poi provare a immaginarci noi nei panni del lebbroso… prima dell’incontro con Gesù e dentro a questo incontro…
Oppure, immaginarci nei panni di Gesù, avvicinati dai lebbrosi dei giorni nostri, che teniamo lontano dai nostri accampamenti: extracomunitari, omosessuali, coppie irregolari, malati, morenti, handicappati, ecc… ecc… ecc… e immaginarci che gli tendiamo la mano e li teniamo saldi, come terremmo qualcuno che amiamo!
Così – forse – a provare anche solo a immaginarlo, questo gesto, questo modo di stare al mondo, ci diventa più familiare… naturale… spontaneo…


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