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lunedì 30 marzo 2015

Pasqua


Dal Vangelo secondo Marco (Mc 16,1-7)

Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"».

 

Quest’anno ho scelto di commentare il vangelo che si legge il sabato sera, durante la veglia di Pasqua. È tratto dal vangelo di Marco, ma prima di iniziare a dirne qualcosa, qualche precisazione.

Originariamente il vangelo di Marco finiva al v. 8 del cap. 16.

Durante la liturgia del sabato santo invece ci vengono fatti leggere i primi 7 vv. di questo capitolo: viene cioè omesso l’ottavo, che recita così: «Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite».

Questo – come detto – era l’ultimo versetto dell’intero vangelo di Marco, che dunque si concludeva con il mancato annuncio di risurrezione!

È evidente che l’annuncio poi c’è stato, altrimenti non ci sarebbe stato neppure il vangelo, ma Marco con questa finale, voleva ribadire un’ennesima volta l’incomprensione cui la vita di Gesù è stata radicalmente sottoposta. Per la Chiesa invece questa finale era troppo tranchant e perciò successivamente è stata aggiunta quella che viene chiamata la “finale canonica”, cioè i versetti 9-20.

La cosa più dura da mandar giù, ancora oggi, di fronte a quel v. 8, è che i sentimenti esplicitati sono lo spavento, lo stupore e la paura. «Nessun segno di gioia» – commenta don Bruno Maggioni nel suo il racconto di Marco. «Di fronte all’inaudito atto di Dio, da parte dell’uomo, anche da parte delle persone piene di venerazione, che amavano Gesù, che mostrano un certo coraggio, c’è soltanto incomprensione totale» [E. Schweizer, Il vangelo secondo Marco]. Questo v. 8 – sempre secondo Maggioni – «è la conclusione di un motivo che percorre tutto l’episodio e, più ampiamente, l’intero vangelo: Marco infatti non ha perso occasione, lungo il suo racconto, per ricordare l’incomprensione dei discepoli, il segreto messianico, il timore e la paura di fronte alle manifestazioni di Gesù. È la reazione normale dell’uomo non solo di fronte al Gesù terreno, ma anche ora di fronte al Gesù risorto, di fronte alla Parola annunciata dalla comunità. Si direbbe una incomprensione invincibile. Ma non è così: se non altro, di fronte al disorientamento delle donne, c’è la fiducia di Dio che affida ad esse – proprio ad esse – la sua promessa: “andate dunque, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea; là lo vedrete, come vi disse”. L’incomprensione dell’uomo non arresta il piano di Dio. […] La conclusione del v. 8 non è l’ultima parola: è semplicemente la reazione normale di fronte alla promessa di Dio. La promessa di Dio è l’ultima vera parola».

Il vangelo di Marco si conclude perciò così: con i sentimenti umani dello spavento, dello stupore e della paura e con la promessa di Dio.

Mi pare doveroso fermarsi almeno un attimo su questo punto, prima di andare troppo facilmente a consolarci nella gioia della Pasqua. Anche perché la situazione tratteggiata da Marco, mi pare renda bene lo stato “normale” delle nostre esistenze, molto più della gioia un po’ artificiale che le feste comandate ci inducono ad avere. Noi infatti – abitualmente – e soprattutto di fronte alla consapevolezza o all’esperienza della morte, siamo spaventati, stupiti (ma nel senso di “sconcertati”) e impauriti. Uno spavento, uno sconcerto e una paura che restano in sottofondo anche quando non pensiamo alla morte o quand’essa non ci tocca da vicino: sempre – seppur magari in maniera soffusa e addirittura inconsapevole – siamo un po’ spaventati, sconcertati e impauriti… dalla vita.

Non a caso molte delle nostre scelte (che a volte prendono le fattezze di un dibattersi come dei pesci fuor d’acqua, mentre a volte sono ingessate dentro ad una presunta od ostentata pacatezza e solidità) potrebbero essere lette come i continui tentativi di mettere a tacere quello spavento, quello sconcerto e quella paura, come continui tentativi di silenziarli, di sopirli o di far finta che non esistano, almeno per un po’. Tutto ciò che viviamo è segnato da questo buco nero che ci mangia la vita e cui noi, per placarne un po’ la voracità, siamo pronti a sacrificare qualsiasi cosa: quanto tempo usiamo per fare delle cose che ci facciano sentire vivi, cioè che ci allontanino la paura della morte; quanto relazioni consumiamo per lo stesso motivo?

L’annuncio di risurrezione risuonato duemila anni fa e poi continuamente proclamato per mare e per terra non ha interrotto questa condizione umana. Marco ne era ben consapevole, per questo non dice che le donne erano spaventate, sconcertate e impaurite sotto la croce, ma lo dice immediatamente dopo che hanno ricevuto l’annuncio di risurrezione. È un annuncio che non è magico: non cambia la storia nella modalità di un pulsante che, una volta schiacciato, innesta una situazione nuova. Niente di ciò che riguarda Dio è magico. Tutto è storico: anche l’annuncio di risurrezione, che non cambia la nostra interiorità come un pulsante, ma può iniziare ad interloquire con la nostra condizione di spaventati, sconcertati, impauriti per natura. Per arrivare, forse, a farci muovere qualche passetto verso la fiducia in quella promessa di Dio, che ha l’ultima parola.

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