Pagine

ATTENZIONE!


Ci è stato segnalato che alcuni link audio e/o video sono, come si dice in gergo, “morti”. Se insomma cliccate su un file e trovate che non sia più disponibile, vi preghiamo di segnalarcelo nei commenti al post interessato. Capite bene che ripassare tutto il blog per verificarlo, richiederebbe quel (troppo) tempo che non abbiamo… Se ci tenete quindi a riaverli: collaborate! Da parte nostra cercheremo di renderli di nuovo disponibili al più presto. Promesso! Grazie.

venerdì 9 novembre 2007

CHI SONO IO, PER DOVER MORIRE?

Non è facile entrare nel tema della liturgia che la Chiesa ci propone per questa XXXII domenica del tempo ordinario… Essa infatti, sotto vari profili, mette in campo la questione del morire… questione che immediatamente pare ridurre l’uomo al silenzio.
È vero che, ad una prima lettura, i testi sembrano di fatto concentrarsi più sulla risurrezione che sulla morte, ma queste due realtà mi paiono così inestricabilmente intrecciate che il parlare di una, inevitabilmente, porta anche a parlare dell’altra. Anche perché entrambe, in fin dei conti, pongono la domanda radicale sull’uomo: chi sono io alla luce della morte? alla luce non di un generico “si muore”, ma di un personalissimo “io muoio” (come ci ha ricordato Heidegger)?
In questo senso dal testo di 2Mac 7,1-2.9-14 («Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le patrie leggi») mi sembra emerga questo tipo di domande fondanti: c’è davvero qualcosa o qualcuno per cui valga la pena morire? per cui valga la pena subire strazi, torture, violenze, umiliazioni? Non è fanatismo, pazzia o stupidità il dare la vita per…? Cosa è così fondante e fondamentale da rendere disposti gli uomini a morire, piuttosto che a rinunciarvi? Cos’è che rende l’uomo più uomo della vita stessa, tanto che è meglio morire (e restare fedeli a ciò che ci fa uomini) che vivere (e perder-ci l’umanità)? Cosa può essere più umanizzante della vita? del restare in vita? E come può la morte, la dis-umanizzazione radicale, essere invece umanizzante?
«Il Signore Dio ci vede dall'alto e in tutta verità ci dá conforto, precisamente come dichiarò Mosè nel canto della protesta: Egli si muoverà a compassione dei suoi servi»: questa è la risposta dei sette fratelli… Ma cosa sono così preoccupati di far vedere a Dio? La loro fedeltà fino alla morte? Lo fanno perché considerano questa la via per il Paradiso, il lasciapassare faticoso, ma fruttuoso per la vita dopo la morte? È un calcolo che hanno in testa? quasi che così pagassero a Dio il loro accesso presso di Lui?
Non sembra proprio questa la prospettiva del testo, anzi: essi non vogliono morire e non vanno incontro alla morte per “dimostrare” qualcosa a Dio, ma sono disposti a farlo per non venir meno alla loro Verità, alla Verità della loro vita. Essa non è un insieme di vuote e nominalistiche dottrine (nessuno muore per un insieme di dottrine), ma la fede certa nella promessa («leggi patrie») di Dio, una promessa di Vita! Essi sono convinti che venir meno alla legge di Dio, sia venir meno alla Vita, sia venir meno all’essere Uomini. Di fatti il senso della legge di Dio è proprio quello di insegnare all’uomo ad essere Uomo! Per questo ad una vita mortifera, preferiscono una morte vitalizzante.
Ecco cos’è che rende possibile il morire: che esso non è fine a se stesso, ma è per la Vita.
E questa Vita è proprio quella che Gesù sostiene di fronte ai Sadducei (Lc 20,27-38): «i morti risorgono». La risurrezione cioè è la Vita per la quale vale la pena morire; la Vita che, stando al testo, non può più morire!
Ma il fatto che «Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi» non rende solo “abitabile” la morte: è anche il fondamento per cui vale la pena vivere! In effetti, anche se è una frase un po’ inflazionata, è vero che ciò per cui vale la pena morire è anche ciò per cui vale la pena vivere (e viceversa!). È quello che suggerisce Paolo: la quotidianità (il tempo che continua) è abilitata proprio per questa «consolazione eterna» e per questa «buona speranza» ( 2Ts 2,16-3,5).
In questo senso mi piace concludere con le parole di Carlo Molari, che mostrano cosa chiede a tutti la morte, per la Vita: «La morte chiederà a tutti 1) di avere consolidato la propria identità al punto da saperne abitare il nome senza ricorrere ad altri riferimenti; 2) di avere imparato il distacco da tutte le cose 3) di avere interiorizzato così gli altri da sapere partire senza tenere nessuno per mano; 4) di avere imparato ad amare in modo così oblativo, da sapere donare se stessi senza rimpianti; 5) di avere imparato a fidarsi così della vita da saperla perdere per ritrovarla».

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

I più letti in assoluto

Relax con Bubble Shooter

Altri? qui

Countries

Flag Counter