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venerdì 9 novembre 2007

Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi

…Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono per lui!

Quest’ultima affermazione è la chiave per l’interpretazione degli orizzonti immensi che Gesù offre per uscire dalle insulse discussioni accademiche entro le quali i Sadducei volevano chiuderlo, deridendo la fede nella risurrezione. Dopo, nessuno osa più interrogarlo, nota l’evangelista. C’è un abisso infatti tra le due posizioni, che dentro ogni credente si combattono, con alterne vicende – che segnano i passi della maturazione o dello smarrimento della fede. C’è quella di chi, pur ufficialmente credente, lascia soffocare nelle preoccupazioni e bramosie (o forse angosce) della vita ogni ulteriore speranza, e s’immerge ormai cinicamente tutto nel suo successo (o fallimento) personale, e nella difesa aggressiva di beni conquistati (o bramati), senza più in cuore vibrazioni d’amore, che lo mandino un po’ fuori di sé, in estasi. Il suo Dio è solo ormai il freddo dio di marmo del cimitero, ove finisce tutto. E c’è la proposta di Gesù, che ribadisce la sua fede biblica nel Dio del roveto ardente, un Dio che non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui. E’ adesso, dunque – di qua, non dopo morte – proprio mentre si è sprofondati nei problemi e difficoltà della famiglia, della comunità, della vita sociale, del lavoro … mentre si cerca affannosamente un senso della vita in questo nostro mondo, che si viene “ritenuti degni” di ottenere quell’altro “eone” (un mondo “altro”!) ‑ e la resurrezione dai morti ad esso inerente.

… perché tutti vivono per lui!

C’è dunque un altro “mondo” di vita (o una vita di un altro mondo) che già inizia qua, anzi proprio a questo nostro mondo dà senso ed esito. La fede è la porta per entrare in questa diversa qualità di vita ed inoltrarsi nel cammino... Morte definitiva o risurrezione di questa nostra carne: sono il dilemma drammatico di questa fede biblica vitale. A cominciare da Abramo, “che è padre di tutti noi. Infatti sta scritto: ti ho costituito padre di molte nazioni, davanti al Dio nel quale egli credette come a colui che dà la vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono (…). Fondato sulla promessa di Dio, non esitò nell’incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto gli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia. E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato come giustizia, ma anche per noi, ai quali sarà egualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.(Rom 4,17ss.). È così che è tornata la vita “di Dio” tra noi. S. Paolo spiega come in Cristo sia arrivato al suo termine, per tutti noi, dopo infinite peripezie, il tracciato della fede … promessa ad Abramo, che non sapeva dove era mandato, ardente nel roveto di Mosè, che non si consuma, nascosta nella voce di silenzio impercettibile di Elia, rinata a speranza di alleanza nuova nel cuore di carne degli esiliati di Babilonia… fino a Gesù, nel quale il Padre ha realizzato la sua promessa.
essendo figli della risurrezione …

non c’era scritto nel DNA dell’uomo, il quale pure sembra essere il vertice dell’affermazione della vita più piena, nel cammino immenso del creato! e l’uomo continua ad impazzire lungo i millenni, per questo desiderio di non morire, che lo tormenta e lo divora. Ma non c’era scritto nel rotolo interminabile dei segreti della sua specie il gene della risurrezione: è roba da dio! O fantasma del desiderio, senza nessuna prova che l’abbia mai resa credibile al nostro buon senso: cinici, ma non stupidi, i Sadducei, e tutti i loro discepoli nella storia. Questo è del resto il dubbio cha accompagna la fede del credente, e cova nei meandri notturni della nostra angoscia o nei momenti in cui più ci appare incombente lo scadere del tempo che ci è dato. La Resurrezione, infatti, non si dimostra, se ne riceve solo la semente, che lievita la vita del discepolo, che l’accoglie. La resurrezione di Gesù il Cristo ha indotto una mutazione nel codice genetico dell’umanità, con un nuovo atto creativo del Padre, che “ lo ha risuscitato, (l’uomo Gesù!) sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere” (At 2,24). Non è un rappezzo aggiunto, è piuttosto un dono, un atto di amore permanente, seminato nel cuore degli uomini, che svelenisce e guarisce l’impotenza e la paura di amare cui l’incubo della morte ci teneva invincibilmente avvinghiati. E divenire, invece, capaci di affetto e tenerezza… fino a donare la vita per i fratelli. Come Gesù, che ha lasciato nella sua vita pieno spazio all’amore del Dio… e ne è morto!

sono figli di Dio

la risurrezione, dunque, ci mette al mondo… a “quel mondo altro”, che il vangelo spiega, dove il motore non è la logica della competizione omicida per sopravvivere ad ogni costo, ma la logica oblativa che inverte la dialettica, ove dunque non si assorbe la vita dell’altro nella propria, ma con il dono della propria vita, del proprio tempo, della propria dedizione, si aiuta l’altro a vivere. Che è il modo di amare di Dio. “Fare vivere” l’altro, infatti, è il modo tipico di Dio di essere presente in noi – afferma Gesù! ‑ “tutti vivono per lui”. Non è una verità dimostrabile con i parametri della nostra scienza o trasmissibile con gli strumenti della ragione o della teologia (basta guardare in giro i risultati delle fatiche scolastiche o catechistiche). È soltanto “professabile” come testimoni, e sperimentabile nel modo di affrontare il mondo in cui siamo, l’istante che passa. Rimanendo ben presenti ed operosi in esso, per non perderlo, perché solo questo tempo è in mano nostra. Ma capaci di perderlo per amore! l’amore, che può spingerci fino a bere il bicchiere vuoto della vita, perché abbiamo offerto il contenuto a chi lo voleva a tutti i costi!

… è una profezia inversa: non ci salva la speranza della vita futura che ci è predetta, cioè non ci salva la professione di fede recitata nel nostro credo, che dopo la nostra morte, risorgeremo. In questo caso dovremmo semplicemente comportarci bene “di qua” stimolati dalla profezia della risurrezione/premio, che ci sarà data “di là”. Ma l’uomo, da solo, non ha la forza di comportarsi bene neanche con una così grande promessa! Sarebbe solo una esortazione morale, con premio ai vincitori! Il sadduceo che è dentro di noi lo sa bene, che non c’è promessa futura che cambi efficacemente la nostra disposizione nel presente, “se c’è la morte di mezzo”! Ma non siamo noi che corriamo verso il premio, con le nostre gambe! al contrario, “la potenza della speranza che ci dà la risurrezione di Gesù” , è arrivata fino a noi … e ci trasforma la vita (di qua!) e ci fa finalmente capaci, nel suo Spirito, di gesti, sentimenti, parole… come lui ci ha insegnato. Diventiamo davvero suoi fratelli di codice genetico, quindi figli di Dio, messi al mondo (a questo “altro” mondo) dalla sua resurrezione, che ci dà la forza di ripetere in sua memoria quanto ha fatto lui! Allora la sua resurrezione, è profezia della nostra ‑ come la nostra è dimostrazione della sua (1 Cor 15,12ss). E rinnova nel nostro corpo di carne la stessa fermentazione del suo corpo mortale, “sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere”. Questa partecipazione, anticipata in noi dalla forza dello Spirito di Gesù, ci fa vivere “in Dio”, che è amore. E ci abilita a fare come Gesù: “Perché qui si tratta proprio di amore, soprattutto di amore e soltanto di amore. Una passione di cui Gesù ci ha dato il gusto e tracciato il cammino: “Non c’è amore più grande che dare la vita per quelli che si amano” (Claverie).

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