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giovedì 22 novembre 2007

QUALE DIO?

Raniero La Valle nel suo libro Prima che l’amore finisca. Testimoni per un’altra Storia possibile parlando di Carlo Carretto scrive:
«A mio parere egli ha posto con radicalità, nel cuore della società contemporanea e secolare, la questione di Dio, e più precisamente la questione: quale Dio. […] È su questo problema che si è costituita storicamente la società moderna, laica e secolare. La laicità non si è costituita sulla tesi Non est Deus, Dio non c’è, ma sull’ipotesi Etsi Deus non daretur, anche se Dio non ci fosse. […] E se la società moderna ha deciso di costruirsi come se Dio non ci fosse, l’ha fatto perché quello che le veniva offerto all’atto del suo sorgere era un Dio che non poteva più servire a fondare la sua unità e ad accogliere e accompagnare la sua crescita umana, la scoperta della sua ragione e le attuazioni della sua intraprendenza, ma anzi le era di ostacolo e di divisione. […] Un Dio – e da lui una Chiesa – non più capace di universalità, non capace di aprirsi all’accoglienza magnanima del nuovo che germinava nella storia».

Ma chi era questo Dio espulso? Prosegue La Valle:
«Era il Dio della guerra, il Dio che rendeva l’uno all’altro nemico, il Dio che veniva dall’alto, il Dio della trascendenza del potere, il Dio che fonda il trono dei potenti e sequestra i tesori dei deboli; era il Dio di cui la cultura moderna dirà che è la proiezione dei sogni di onnipotenza dell’uomo, e della cui trascendenza non un ateo, ma Dietrich Bonhoeffer dirà che non è vera, autentica esperienza di Dio, ma un “pezzo di mondo prolungato”».

È questo il Dio che arriva anche a Carlo Carretto e a tutti i cristiani prima del Concilio Vaticano II:
«è ancora il Dio della guerra, il Dio delle leggi assolute, il Dio che allarga le braccia ma non fino ad abbracciare il nemico, non fino ad essere annunziato e riconosciuto come il Dio della misericordia e del perdono. Un Dio nel quale non c’è speranza. E qual era quel Dio, tale era la Chiesa».

In proposito in una sua lettera a Wojtyla, Carretto scriverà, ricordando il preconcilio:
«Io 40 anni fa, figlio del mio tempo e degli errori del preconcilio, mi sentivo nella Chiesa come arroccato in una fortezza da difendere contro i nemici che mi circondavano da ogni parte; io vedevo la Chiesa come separata dal mondo, come un esercito perennemente lanciato in crociate, come un partito che doveva diventare più forte e schiacciare il nemico. Nemici, nemici, sempre nemici. Ecco il mio apostolato di quel tempo».

Questi testi, che forse lasciano un po’ sbigottiti per la trasparenza e la inusuale poca ossequiosità con cui tratteggiano, comunque realisticamente, un periodo storico ed ecclesiale, oltre a delineare quale Dio “viveva” nel preconcilio, mostrano come ci sia uno strettissimo legame tra immagine di Dio e immagine di Chiesa: «Qual era quel Dio, tale era la Chiesa».
Se si fallisce la prima, si fallisce anche la seconda!
Ma più radicalmente mi pare di poter dire, con Bruno Maggioni, che se si fallisce l’idea di Dio, si sbaglia tutto. È a partire da essa infatti (foss’anche l’idea del non esistere di Dio) che in qualche modo si determina il mio modo di concepire la vita, l’amore, l’altro, il lavoro, la comunità, il comportamento… tutto… È chi scelgo di porre come signore della mia vita che mi guida.
Ma allora, com’è possibile rintracciare il vero volto di Dio? E tracciarlo in modo che esso non cada sotto l’ombra del soggettivismo?

La Valle scrive:
«Carretto, attraverso la sua esperienza, arriva a porre la stessa domanda. Chiedersi “quale Dio” non significa cadere nel soggettivismo, negare l’oggettività di Dio. Dio non si esaurisce in una sola immagine, egli non è dato, totalmente dato, deve essere cercato. La stessa Bibbia è percorsa da diverse percezioni di Dio, e non tutte valgono allo stesso modo; ma l’una va presa e l’altra lasciata, man mano che Dio si fa più manifesto e man mano che cresce l’esperienza spirituale dei credenti. È per questo del resto che si parla di un “Dio di Gesù Cristo”».

Il Dio di Gesù Cristo… vediamo come ce lo presenta il testo di Lc 23,35-43, il Vangelo che la liturgia ci propone per questa domenica intitolata a Cristo Re. L’evangelista tratteggia molto bene qual è il Dio di Gesù Cristo, qual è questo Re. Lo ritroviamo infatti appeso a una croce, in mezzo a due malfattori, con «il popolo [che] stava a vedere» e «i capi [che lo] schernivano»; «anche i soldati lo schernivano» e «c’era anche una scritta sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei»; perfino «uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!».
Eccolo il Dio di Gesù Cristo… eccolo il nostro Re: non dice né fa niente, non scende dalla croce, non risponde a chi lo uccide, non tenta di spiegarsi…

Eppure, a un certo punto, quella bocca la apre!
E lo fa in risposta alle uniche parole umanizzanti che vengono pronunciate da chi lo circonda: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
Sono parole che hanno un’intonazione di riconoscimento (il “buon ladrone” è l’unico che chiama Gesù per nome) e di affidamento («ricordati di me»). E solo queste sono le parole che fanno reagire Gesù, finora inerme e silenzioso sulla croce. Allo scherno, alla derisione, all’incredulità non c’è risposta (mentre noi un qualche fulmine ce lo saremmo aspettato… sempre a proposito dell’immagine di Dio che abbiamo in testa…). La risposta arriva solo per le parole di riconoscimento, di affidamento… e per le parole dell’uomo sofferente (ricordiamoci che il “buon ladrone” è un uomo che muore e, come ci ha ricordato De Andrè, «un ladro non muore di meno»).
E anche la risposta di Gesù è una risposta umanizzante, una risposta di salvezza: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso». È come se questi due uomini, mentre muoiono si ricordassero a vicenda la propria identità: il “buon ladrone” ricorda a Gesù quale Dio è… e Gesù, che gli risponde introducendo le sue parole con una formula di identificazione forte ( “In verità ti dico” è appunto un’espressione del gergo personale di Gesù), gli ridona la sua umanità: «sarai con me».
Alla domanda “Quale Dio?” allora è necessario che rispondiamo: questo Dio. È a lui che dobbiamo dire, come fecero le tribù di Israele a Davide: «Noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne».
È lui infatti, come ci racconta Paolo nella sua lettera ai Colossesi, che «ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce», è lui che «ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati», è per mezzo di lui che «tutte le cose sono state create», è a lui che piacque di «riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua crocee, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli».

Ma se tutto questo è vero e pure fonda la nostra vita, allora perché, a volte, alzando la testa a quella croce, mi viene da dire che io un Dio così non lo voglio? Perché un Dio così, conduce anche me su sulla croce…
E tutto di me si ribella a questo destino… tranne forse… due dita di bene che voglio ai miei fratelli.

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