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venerdì 29 maggio 2009

Lo Spirito non è una secchiata che cade ogni tanto qua e là

Poveramente vado / sgomenta camminando nella sabbia / processione infinita di / solitudini in cammino. / Forse stasera / o domani sera / o alla sera dell’ultimo / giorno – alba della terra nuova – / TU ritornerai. / Non avrò fiato / per rimostranze vane. / Ma le pupille, quelle, / rese vuote dal / desolato pianto / reclameranno luce / per vedere. [Madre Elisabetta, Legnano]. Ho voluto iniziare con questa poesia perché mi pare dica bene il dramma che caratterizza la vita della Chiesa per l’assenza di Gesù tra i suoi. Ed è troppo facile dire “Sì, però poi ci ha mandato lo Spirito, che non a caso si chiama Paraclito, consolatore…”, perché anch’esso – per quanto non abbia mai smesso di affascinare generazioni di nuovi cristiani – resta così imprendibile, da sembrare evanescente, addirittura superfluo… È la grande accusa che ci muovono infatti i nostri fratelli ortodossi… di aver dimenticato lo Spirito… Ma d’altra parte… un po’ avevamo i nostri buoni motivi: non volevamo dare e darci l’impressione di vivere di una religiosità un po’ fantasmica, spiritualistica, interioristica (che non si dice, ma rende l’idea…), con punte di fanatismo e suggestione che rischiavano di far ridere i polli, o peggio, di screditare un messaggio potente come quello evangelico: le vocine, le visioni, gli stati paranormali…
E ancora una volta si ripropone l’annoso problema teologico – ma forse sarebbe meglio dire “umano” – del dire una cosa senza sbilanciarsi troppo in un senso, perché poi bisogna correggersi, spostando un po’ il pendolo dall’altra parte, ma senza andare troppo in là, se no si sbaglia ancora… Un po’ come per Gesù: era uomo o era Dio? Beh, certamente era un uomo, però non si può dire che era solo un uomo, e allora si sposta un po’ il pendolo: è anche Dio. Sì, ma non si può neanche dire che è solamente Dio, non è che ha fatto solo finta di prendere carne umana, non era un suo sostituto quello che c’era sulla croce… e allora risposta ancora un po’ il pendolo, fino ad arrivare alla definizione dogmatica: è 100% uomo e 100% Dio…
La stessa cosa per lo Spirito Santo… è interiore, ma non è interiorismo, spirituale, ma non è spiritualismo, opera nella storia, ma non si sa donde viene e dove va, ecc… E così di bilancino in bilancino si tenta di sottolineare ora un aspetto, ora un altro, stando dentro ai confini del dogma (è della stessa sostanza del Padre e del Figlio, cioè è Dio pure Lui e procede da entrambi) e andando incontro alle domande di senso della gente… Si alternano così epoche storiche molto “spirituali” a epoche un po’ più dimentiche di Lui…
Ma il problema vero è capire oggi che cosa c’entra con noi, con me questo Spirito Santo, cosa è (o meglio “Chi è?”), come mi ci posso relazionare…

Il rischio se no è infatti quello che i nostri ragazzi – che viaggiano senza i nostri filtri di adulti – esplicitano nel loro parlare: ogni volta che non sanno come spiegare alcune esperienze ecclesiali, ci mettono dentro lo Spirito Santo, di cui non si sa nulla e che perciò va sempre bene come risposta: “Perché han fatto questo papa?”, “Ha deciso lo Spirito Santo”; “Cos’hai ricevuto alla cresima?”, “La play station, l’orologio, le scarpe e poi… ah sì, lo Spirito Santo”; “Cosa succede a Messa?”, “Boh, fa tutto lo Spirito Santo”… Rispondendo quindi con risposte giuste (chi direbbe che il papa non l’ha scelto lo Spirito, che è lo stesso che si riceve alla cresima e che fa del pane e vino, il corpo e sangue di Gesù durante la messa?), ma che sono completamente vuote… Tant’è che nessuno poi sa chi in definitiva sia questo Spirito Santo… e addirittura qualcuno inizia a sospettare che sia un’invenzione per alleviare la tragicità dell’assenza di Gesù… o per giustificare infelici scelte ecclesiali…
Eppure, come ci ricorda Dossetti, per Gesù invece lo Spirito è stato quasi un chiodo fisso: «Con quanta insistenza il Signore ci parla dello Spirito consolatore, del Paraclito, di colui che verrà a noi dopo che Gesù è salito al Padre e che non ci lascerà orfani!»; infatti «quando ci domandiamo qual è in definitiva lo scopo dell’incarnazione, la risposta evangelicamente è questa: portare più profondamente quel fuoco che, nella narrazione del battesimo di Cristo e soprattutto nella profezia del Battista, viene identificato con lo Spirito: “Io vi battezzo nell’acqua […]; lui vi battezzerà nello Spirito Santo” (Lc 3,16). La missione di Cristo e tutto il senso dell’incarnazione si possono riassumere così: dare agli uomini lo Spirito Santo. […] Noi consideriamo il Cristo sotto tanti aspetti, ma ce n’è uno al quale forse pensiamo meno e che risulta dal testo di Luca ora richiamato: questa ansia di Cristo di dare lo Spirito Santo. Gesù, l’uomo di Nazaret, è divorato dalla sete di trasmettere a tutto l’uomo e a tutta la creazione lo Spirito di Dio».
Come noi, anche Dossetti, nota la forbice che si apre tra l’appassionato annuncio di Gesù dell’importanza dello Spirito e la nostra pressoché indifferenza (forse ignoranza) nei suoi confronti: «Se consideriamo questo commisurandolo con la nostra attenzione allo Spirito Santo, nella nostra esperienza di preghiera e di vita… quale sproporzione! Il Cristo indica non solo verbalmente, ma con tutta la sua tensione esistenziale, che in questo comunicare lo Spirito sta tutto il senso del suo essere e del suo compito e noi invece ce ne disinteressiamo e lo accogliamo con estrema freddezza» [G. DOSSETTI, Omelie del Tempo di Pasqua, Paoline, Milano 2007, 21-22.209].
Ma come correggere questa nostra impasse? Come correggerla senza che la nostra risposta risulti ancora una volta un appiccicare lo Spirito alla storia, un ricordarsi momentaneo di “un altro piano”, come se si trattasse di qualcosa di messo sopra, staccabile a piacimento e per quello non indispensabile, dunque in fin dei conti superfluo? Sembra pressoché inutile infatti intensificare il richiamo di tutti all’attenzione allo Spirito o l’auto-convincimento riguardo alla sua importanza, con il conseguente volontaristico sforzo di tenerlo presente nel nostro vivere o – almeno – nel nostro pregare... Sembra inutile, per due motivi: innanzitutto perché è un dato di fatto; questa modalità “pastorale” non funziona; in secondo luogo perché perde il punto decisivo della questione, e cioè la comprensione esistenziale dell’importanza dello Spirito. È perché non sappiamo chi è, cosa fa, come agisce e come parlargli che in fin dei conti ci risulta estraneo: se alziamo gli occhi al cielo penseremo di pregare il Padre, se ci troviamo di fronte ad una croce pregheremo il Figlio… Ma lo Spirito?
Credo dunque che unico modo per superare l’impasse spirituale dei nostri giorni, rimanga quello di tornare al vero appassionato di Spirito, a chi non solo l’ha conosciuto, ma si co-appartiene con Lui, e cioè Gesù: Lui, infatti – dicevamo con Dossetti – è Colui che più di tutti ne ha suggerito l’importanza, ne ha fatto sentire l’indispensabilità, ne ha preannunciato la decisività… Importanza, indispensabilità e decisività che noi abbiamo scordato…
E il primo dato che Gesù ci comunica sullo Spirito è che si tratta del suo Spirito e dello Spirito del Padre; e per capire cosa vuol dire dicendo “mio Spirito” è utile pensare a espressioni quali “lo spirito del discorso”, “lo spirito dell’iniziativa”… Si tratta cioè del nucleo più vero, più intimo della cosa in questione… Lo Spirito di Dio è dunque l’intimità di Dio, che scorre tra Padre e Figlio, è la sua identità più profonda, più autentica più vera… Ecco perché è vero che diventa consolante la sua presenza, nonostante la dipartita di Gesù: non perché banalmente abbiamo trovato qualcos‘altro che riempie il nostro orizzonte religioso, come un contenitore vuoto, un riferimento puramente nominalistico che placa – eludendole – le nostre domande, ma perché con esso «Siamo di fronte a quel mistero che nella nostra fede, nella nostra vita spirituale, e religiosa, segna il termine ultimo, la pienezza completa e l’apertura ormai senza più confini, senza più limiti né orizzonti,del nostro rapporto con Dio. […] Oggi si adempi la promessa del Padre e il Cristo stesso dona all’umanità quella pienezza di vita che è in lui. […] La Pentecoste è apertura. È il momento in cui l’uomo tocca l’apertura dell’orizzonte infinito di Dio. […] In ogni momento in cui ci poniamo in questa condizione di apertura, è questo Spirito che si insinua in noi e che attraversa lo spirito di ogni uomo e lo spirito collettivo dell’intera umanità e, soffiando in essa la totalità della pienezza di Dio, la trasforma» [G. DOSSETTI, Omelie del Tempo di Pasqua, Paoline, Milano 2007, 209-213].
Ecco il secondo dato che il Signore Gesù ci rivela riguardo allo Spirito: esso – da Spirito a spirito – comunica con l’uomo, ha incidenza sulla sua vita, addirittura è la via per rapportarsi a Dio! Ma proprio su questo punto si sono consumati i più grandi fraintendimenti. Sempre nel tentativo di bilanciamento del pendolo si è un po’ persa di vista questa modalità di azione dello Spirito nel mondo… Per evitare di riconoscere troppo elasticamente la possibilità per ciascuno di intrattenere una relazione “diretta” con Dio – da Spirito a spirito, appunto – e lasciar disoccupati tutti i preti, o – detto in altri termini – per evitare il relativismo, si è preferito sottolineare l’aspetto miracolistico dell’intervento dello Spirito, o quello istituzionalmente regolato (per es. i sacramenti); per altro verso però, per evitare un uso e consumo di questa azione più “materiale”, puntuale, “calcolabile” dello Spirito, è stato necessario introdurre la sua selettività (arbitrarietà?)… Di modo che il pensiero comune riguardo all’azione dello Spirito – in modo un po’ caricaturale, ma efficace – può essere esplicitato con questo esempio: se uno decide di diventare prete è perché – inciampando o deliberatamente scegliendo (questo è ancora un po’ equivoco nel pensiero comune… perché se inciampa è vittima del caso anche Dio, se sceglie, è discriminatorio…) – versa una secchiata – di Spirito appunto – su di lui… e tac… c’ha la vocazione… lui e un altro no…
…Evidentemente non è così… Ma com’è allora? Forse molto più semplicemente, se si tratta dello Spirito di Dio e dunque di Cristo, non si può non pensare che agisca proprio secondo le dinamiche di Cristo e dunque secondo la logica dell’incarnazione. La sua azione non è dunque metastorica, ma intrastorica, non è fuori, separata, sopra, con qualche incursione ogni tanto, ma è dentro, mescolata, insinuata negli interstizi del carne dell’uomo… Ecco perché non si può dialogare con Dio che da dentro la storia, che da dentro i drammi, che da dentro la propria carne… è nel dipanarsi della nostra libertà storica che si può costruire una vita spirituale, una vita cioè in dialogo con lo Spirito, in dialogo con Dio. Proprio come è avvenuto nella prima Chiesa dove il primo Concilio (quello di Gerusalemme), che affrontava il problema della necessità o meno della circoncisione, non si è risolto aspettando una vocina, una secchiata o una visione, ma con un’accesissima discussione tra Pietro e Paolo! Così si fa la storia con Dio! Non a caso veniamo battezzati nello Spirito, cioè immersi in Lui, impregnati in modo che non sia più distinguibile dove finiamo noi e dove inizi Lui… perché si tratta di un intreccio di libertà (come nell’amore). È nel punto più intimo di noi dunque (nel nostro spirito – che per la tradizione vuol dire l’uomo tutto intero!!!) che agisce lo Spirito, in un dialogo segreto che ci convince della vita cristica: «Il nostro peccato infatti non è altro che la conseguenza di un’intermittenza di contatto» con questo dialogo da Spirito a spirito [G. DOSSETTI, Omelie del Tempo di Pasqua, Paoline, Milano 2007, 209-213].

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