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lunedì 18 maggio 2009

Per poterci ridire cristiani: La Missione "economica"

Gli articoli immediatamente precedenti («Il “conflitto” missionario»; «La missione “politica”»; questo su «La missione “economica”» e quello che seguirà «La missione “religiosa”», sono tra di loro strettamente connessi in quanto trattano da punti di vista diversi, ciò che è proprio dell’annuncio missionario: realizzare nella storia concreta quell’avvenimento di liberazione che, insisto, iniziato in Mosè, si compie in Gesù di Nazareth, Figlio di Dio e figlio dell’uomo, e continua nei suoi discepoli.

Invito quindi il lettore a una loro lettura globale per una corretta comprensione sul “discorso” missionario nel quale necessariamente non potrò che essere più allusivo che esaustivo…

Abbiamo visto come le tre dimensioni del vivere umano (politico, economico, religioso) riunite nella figura storica del Faraone d’Egitto, esercitassero il loro potere di coercizione sull’uomo da cui Dio vuole liberarci. Si sarebbe dovuto parlare, se il tempo e lo spazio non fossero tiranni, anche di altri aspetti della vita sociale, come quello giuridico (cfr Salomone) e in-formativo in quanto la possibilità di “giudicare” e di “conoscere” e soprattutto di “creare” il giudizio e l’informazione, offrono l’opportunità di agire efficacemente per sé e di dominare l’azione degli altri condizionandola: lo spionaggio e la “manipolazione del sapere” (scuola, mass-media…) — per fare solo qualche esempio — trovano qui la loro funzione principale. Non è quindi la figura storica del Faraone, ciò da cui Dio vuole liberarci e tantomeno da queste dimensioni fondamentali dell’uomo storico, quanto piuttosto da una concezione e un esercizio “faraonico” della politica, dell’economia e della religione (e di ciò che ne permette il controllo).

Questi “poteri” tendono “naturalmente” a fondersi per “ricostruire” in qualche modo la tradizionale figura Faraonica, perpetuandola storicamente. Il valore della tradizione infatti non solo non è di per sé un valore cattolico, ma nasconde sempre in sé una non marginale ambiguità — se non aperto verso la speranza di un futuro di libertà donata — nel tentativo di restaurazione della schiavitù originaria.

Se non riusciamo a capire queste dinamiche, vano sarà il nostro vivere cristiano-missionario, in quanto questo sarà incapace di incidere efficacemente, in un vitale “conflitto evangelico”, per estirpare il male alle radici e il nostro annuncio si ridurrà a un “placebo” consolatorio, disincarnato e disincarnante e quindi sostanzialmente frustrante!

Devo ammettere che un autentico annuncio cristiano in ambito economico, risulta oggi alquanto difficile. Diciamo chiaramente che è ancora sostanzialmente “zona franca”, riservata agli specialisti del mestiere e gelosamente difesa dagli economisti di professione… Concretamente io ho trovato ben pochi articoli che trattino dell’argomento al di là della soglia “moralistica” e sociologica… Qualche libro emerge per la sua rarità. Soprattutto però quello che mi rattrista è che praticamente non esistono documenti del magistero della chiesa che affrontino il discorso senza richiuderlo negli angusti spazi di uno spiritualismo “caritatevole” storicamente impotente perché di fatto ininfluente sulle dinamiche strutturali del “sistema” economico… Nel frattempo noto che anche qui vale il detto che se non si vive come si crede, prima o poi si finisce col credere come si vive (cf Paul Bourget, Il demone meridiano, Salani Editori, Firenze 1956, p. 395). Pensare cioè che basti la dimensione “interiore” perché automaticamente venga coinvolta anche la dimensione storica (e viceversa!), porterà necessariamente a strutturare la propria dimensione “interiore” a partire dalle vicissitudini “esteriori”, vanificando l’annuncio evangelico… Nel migliore dei casi avremo allungato la lista dei martiri, senza però diminuire quella degli schiavi. Gli scandali economici anche all’interno dell’istituzione ecclesiale, prodotti spesso in tutta buona fede e con le migliori intenzioni, ci provocano a una risposta che vada oltre il giudizio etico e una spiritualità di fatto intimistica.

Il potere economico e le sue alleanze
Non credo che sia necessario essere dei geni per capire, attraverso anche i fatti di cronaca, come il potere economico oggi eserciti il proprio controllo su tutti i gangli della vita di un Paese (sia esso democratico o no): banche, imprenditoria, finanza e chi più ne ha più ne metta, è (il singolare è voluto), una vera e propria lobby di potere economico che agisce in solidum per influenzare a tutti i livelli la nostra vita quotidiana.
Non solo, anche se vincolata da norme legislative che ne obblighi rigorosamente la separazione di potere (USA), essa prende “direttamente” le redini del potere politico e cerca di sedurre quello religioso… La massoneria ancora una volta, trova proprio in questo connubio la sua ragion d’essere! Il che dovrebbe istruirci su quanto sia a dir poco ingenua l’analisi sul “conflitto di interesse” che viene fatta in Italia… Per arrivare ai vertici del potere politico, bisogna oramai essere, se non miliardari, amici di miliardari. E questo dappertutto: senza soldi, senza il sostegno di questo potere economico, non si va da nessuna parte e ancor meno si può fare politica e… costruire chiese!

La necessaria conversione culturale della politica e della teologia
E questo non è un problema di onestà morale, di morale della politica o dell’economia, ma è un problema “strutturale”, di sistema. E quindi, proprio perché strutturale e antropologico è un problema evangelico! L’errore “culturale” di base è che ci si è illusi che basti una “libertà politica” per essere automaticamente “politicamente liberi”… La verità è semmai un’altra: «Senza libertà economica, non c’è libertà politica»! Come la storia anche recente ci ha mostrato: La libertà politica della Germania orientale è stata comprata a suon di marchi al presidente russo M. Gorbaciov dall’allora cancelliere della Germania occidentale H. Kohl…

Il paradosso drammatico è sotto gli occhi di tutti. I governi davanti a una crisi economica immane, sono “obbligati” prima di tutto a salvare le istituzioni economiche (non solo bancarie) con i soldi delle tasse dei cittadini vessati dalle norme capestro delle stesse. Insomma, il prigioniero è “ricattato” a salvare il proprio aguzzino se non vuole morire di fame… e così ben satollo può servirlo meglio! E bastasse questo! L’impressione generale, al di là della dichiarazioni di circostanza, è che il potere politico di fatto non sa più che “pesce pigliare”: la crisi è inarrestabile qualunque sia il provvedimento preso… Oramai il “Moloc economico” ha sue proprie autonome dinamiche interne (anche il potere ha una sua “spiritualità”: cfr il “lievito dei farisei”) che stanno distruggendo i suoi stessi “creatori”… Non ci si illuda però, non siamo alla fine del potere faraonico dell’economia, ma semmai, come l’ormai classica Araba Fenice, stiamo assistendo a una fase di trasformazione per una crisi di crescita del “serpente” — ricordate il “serpente monetario”, antenato dell’euro? Nessuno allora pensò all’incredibile lapsus freudiano! — che lo porterà a “mutare” per esercitare meglio, così rinnovato, la propria influenza in ambito planetario… Peccato che la pelle da gettare sia quella di uomini e donne, vittime del dio Mammona.

A problemi nuovi, soluzione nuove!
Il potere economico, come ogni altro potere storico, ce lo troveremo fino alla fine della storia, sta a noi, sotto la guida dello Spirito del Vangelo di Cristo, farne uno strumento di vero sviluppo umano… I “resti umani” che continuano a trovarsi ai margini della vita — che dimostrano che le guerre “dichiarate” per la difesa dei diritti umani in realtà sono “combattute” per la difesa degli interessi economici — esigono un intervento che vada al di là di dichiarazioni di principio o delle esortazioni spirituali che fanno appello alla giustizia e alla norma morale di un’economia oramai sorda perché automa impazzito

Biblicamente stolta appare allora la proposta di tornare ad un passato, generatore degli incubi del presente, illudendosi che basti tornare ai vecchi sistemi (come ad esempio alla vecchia lira, o istituendo politiche protezionistiche) per risolvere le difficoltà generate dai nuovi (come la globalizzazione): sarebbe come voler tornare ai problemi di ieri per risolvere quelli di oggi! A strappi nuovi, ci vogliono pezze nuove… e bastassero solo le pezze! È l’otre che va cambiato ex nihilo se vogliamo che contenga il vino nuovo della Buona Novella che porti a una vera pace economica! E occorre fare presto prima che il Minotauro economico non si mangi, come già sta accadendo, le poche garanzie democratiche così duramente conquistate riportandoci a una forma ben più subdola di totalitarismo consenziente.
La crisi che stiamo vivendo dovrebbe aiutarci ad aprire gli occhi per stanare la struttura schiavizzante che oggi si perpetua nel mondo attraverso il “potere economico”. A tutt’oggi manca, passatemi il termine, una “presa della Bastiglia economica”… E speriamo che questo possa accadere senza mietere vittime…

Altro errore culturale è quello di pensare che basti essere “santi” per cambiare le cose: la cultura bi-millenaria europea che ha sfornato fior di santi, sta lì a mostrare che essi non hanno minimamente inciso sulle dinamiche strutturali di un’economia che si costruiva autonomamente contro l’uomo e quindi contro il Vangelo, anzi di fatto, inconsapevolmente ne hanno accentuato le potenzialità distruttive, quando non si sono alleati con esse… Perché?
Perché, per quanto assolutamente necessario e per certi aspetti primario, non è sufficiente parlare di giustizia economica e di difesa del povero o di conversione dei cuori perché di fatto “le strutture di peccato” cessino di esercitare il loro potere nefasto riducendo — come eleganti e moderni “forni crematori” — l’umanità in cenere… L’economia (e il denaro), nella chiesa (non solo cattolica), è trattata al più come strumento caritativo (elemosina, opere di carità, e ultimamente, fondi di garanzia presso le banche — queste banche! — per i poveri, ecc.), mai come possibilità di stravolgerne le stesse leggi che la regolano. In questo modo però essa diventa inconsapevole complice dell’istinto di autoconservazione del “sistema” economico-politico oppressivo, in quanto, perpetuandolo senza stravolgerlo, diventa di fatto un gigantesco “impianto di depurazione” dei “rifiuti umani” di un’economia disumanizzante, ne occulta il conflitto (cf l’articolo «Il “conflitto” missionario») e si evira della radicale novità evangelica di cui è portatrice. Le radici storiche possono trovarsi in una errata interpretazione della povertà evangelica di cui la massima espressione storica è una “fuga dal mondo” (fuga mundi) che si è tradotta oggettivamente in una “fuga dall’economia” che ha portato concretamente a “lasciare ad altri” la elaborazione e gestione delle dinamiche economiche mondane. È arrivato il momento di correggere questa visione strabica e dualista della vita cristiana anche in campo economico.

Anche oggi capita ogni tanto che qualche laureato in “economia e commercio” entri in convento o in seminario… Ebbene che fanno i superiori? Subito li mettono a capo dell’economato del convento o della diocesi, che non possono che gestire con i criteri economici stabiliti “da altri”… Nessuno si sogna ancora di costituire un gruppo di studio per cercare di mettere in discussione e rifondare le stesse leggi economiche su cui si struttura l’economia mondiale: forse perché poco “religioso”? Ma cosa c’è di più evangelico di liberare l’umanità dalle proprie schiavitù anche economiche?…

Prospettive nuove.
Se le dinamiche economiche si fondano sulla regole ferree di un bilancio finalizzato al profitto aziendale (sia essa banca, industria o… ASL!), sulla crescita costante del PIL di una nazione, sugli interessi bancari finalizzati all’esclusivo interesse delle banche (mascherato e giustificato dalle opere culturali e sociali delle stesse), ecc., a nulla servirà cambiare sistema economico e le norme legislative che lo regolano e ancor meno serviranno gli appelli del magistero “a non considerare solo il profitto”: È la stessa “matematica” contabile, economica, finanziaria, che va “ricreata”. Esistono oggi più sistemi matematici, si parla oramai di matematiche, di geometrie, perché non si parla mai delle contabilità? Sarà un caso che non esiste nemmeno linguisticamente il plurale? Si parla certo di economie: ma tutte hanno alla base gli stessi principi, quello che cambia sono semplicemente i “piani di attuazione”. Il problema umano, il suo grado di libertà (che non sia quello imprenditoriale), il suo grado di umanizzazione (che non sia quello consumistico), non entrano mai nel calcolo di bilancio di una azienda e tanto meno nella programmazione dei suoi investimenti!… Mammona non è il denaro, Mammona non è tanto l’uso che se ne fa, Mammona è il modo di crearlo, di capitalizzarlo e di contabilizzarlo!

In questa prospettiva, non basta la redistribuzione dei beni, non basta l’eliminazione del debito ai paesi poveri, non bastano tutte quelle azioni che per quanto necessarie e meritevoli nell’immediato, non mettono mai in discussione il principio base di questa forma di potere economico: l’uomo ridotto a merce in funzione del “pareggio di bilancio” il cui calcolo è funzionale al potere stesso! Ogni azione caritatevole non finalizzata a cambiare il sistema, serve soltanto a rianimare l’uomo — prolungandone l’agonia — in funzione del dinamismo della macchina economica mondiale e locale. In questo senso non basterebbe nemmeno un governo mondiale democratico che gestisca l’economia mondiale: è la stessa gestione della “casa comune” che va evangelicamente rifondata.

Una matematica cristiana?
Si parla giustamente, anche se non senza fondate obiezioni, di filosofia cristiana, di politica cristiana… ma, tanto per capirci, come mai non si parla di contabilità cristiana? Chi l’ha detto che due più due deve sempre fare quattro? Sempre? anche quando di mezzo c’è la vita dell’uomo? Anche quando questo sta portando allo sfascio le famiglie sempre più “frullate” da un ritmo lavorativo infernale? Nel bilancio di un’azienda perché non può essere contabilizzato il grado di “libertà” dei suoi operai? Perché non posso capitalizzare gli investimenti fatti per rendere più umano il posto di lavoro, la società stessa? La contabilità è un “artificio contabile”: basta vedere come i vari paesi calcolano il loro bilancio e come questo non corrisponda mai alle “verifiche” fatte da altri istituti finanziari (FMI, UE, WTO, Banca Mondiale, società di rating ) che a loro volta non concordano mai tra di loro… Infatti è per “convenzione” che si stabilisce ciò che è positivo e negativo in un bilancio! Le polemiche italiane sul “buco” in bilancio che cambia col cambiare di chi lo calcola, non sono solo un problema di colore politico del partito in carica: è un problema di “convenzione di matematica finanziaria”… Cos’è un punto, cos’è una retta, cos’è un numero? Sono pura convenzione! Quello che segue deve essere “coerente” alle premesse “indimostrabili” (altrimenti il sistema crolla perché “incoerente”) e crea e sviluppa “il sistema” sia esso geometrico, matematico, politico-giuridico (cfr la Costituzione), teologico, economico… Convenzionale è quindi il calcolo dell’inflazione (cfr il “paniere”) e del numero di disoccupati (quando si è considerati “disoccupati” è stabilito per legge e varia da paese a paese!)… Ma l’uomo non è una convenzione, non si può cambiare l’umanità per adattarla ai propri schemi mentali economici, occorre cambiare le convenzioni anche della matematica economica per adattarla all’uomo reale!

Una morale non funzionale al sistema!
Ancora… Come mai la morale cristiana che fino a ieri considerava “usura” qualunque interesse sul denaro ha cambiato parere? Posso ancora capire che uno paghi gli interessi per l’acquisto di beni non fondamentali, ma vi sembra cristiano pagare gli interessi per l’acquisto della prima casa? o per avviare una attività produttiva che dia lavoro a centinaia di persone? Perché non si ha più il coraggio di predicarlo? Le banche islamiche vietano ancora oggi gli interessi per i mussulmani… ebbene che fine ha fatto la coscienza critica della chiesa cattolica? Si dirà che con questo “sistema” non è possibile… E allora cosa aspettano i cattolici impegnati in campo economico — movimenti e singoli — a creare le basi per un cambiamento radicale? Il fatto che da tempo, da Gandhi in poi, la Buona Novella, anche in economia, si sia trasferita “altrove” non ci provoca?… eppure questa è la sfida del Vangelo, questa è l’utopia a cui soprattutto i discepoli di Cristo sono e saranno sempre chiamati! E anche questo è compito della missione per cui occorre trovare persone competenti. Se non lo facciamo, saremo corresponsabili di quello che accadrà… Peggio, se non cambiamo l’economia, sarà l’economia a cambiarci… e già lo sta facendo come ci mostrano gli scandali economici in cui anche movimenti cattolici sono stati coinvolti “in tutta buona coscienza” e lo dicono anche, aggravando su di sé il giudizio della storia!

E mi fermo qui, ma sarebbero ancora troppe le cose da dire: come non condannare un sistema che attraverso la Borsa manda in fumo i risparmi di tutta una vita solo per il gioco di un’economia affamata di liquidità? Come non mettere in discussione il totalitarismo autarchico delle Banche Centrali che agiscono al di fuori di ogni regola democratica? Come non giudicare iniqui i diritti (!) di “signoraggio”, per cui i cittadini pagano alle Banche Centrali la differenza tra la cifra scritta su una banconota e il costo effettivo per produrla, mentre dovrebbero esserne gli unici beneficiari? Come non capire che il “problema ecologico” ha alla radice un “problema economico”? e che se vogliamo disinquinare il pianeta dobbiamo prima di tutto cominciare a “disinquinare” l’economia? Contro tutto questo e ben altro ancora, non basta più modificare le norme, perché qui non si tratta più di cambiare le regole del gioco, qui oramai si tratta di cambiare il gioco!

Idee strampalate di un utopista visionario? Forse! A quanto pare però non sono il solo… Un esempio? Quello di Muhammad Yunus, insignito nel 2006 del Premio Nobel per la Pace (e non dell’Economia!). Uno tra i tanti e ancora una volta in ambito non cristiano:

«Provavo una sorta di ebbrezza quando spiegavo ai miei studenti che le teorie economiche erano in grado di fornire risposte a problemi economici di ogni tipo. Ero rapito dalla bellezza e dall'eleganza di quelle teorie [cfr sopra sulla “coerenza” del sistema].
[Poi], tutt’ad un tratto, cominciavo ad avvertire un senso di vuoto. A cosa servivano quelle belle teorie se la gente moriva di fame sotto i portici e lungo i marciapiedi?
(…)
Dov’era la teoria economica che rispecchiava la loro vita reale? Come potevo, al solo scopo di salvare il prestigio delle dottrine economiche, continuare a imbottire di chiacchiere gli studenti?»
(M. Yunus, Il banchiere dei poveri, Milano, Universale Economica Feltrinelli, 2004, pag. 14)

E allora che fece?
«Abbiamo visto come lavoravano le banche tradizionali e abbiamo fatto esattamente il contrario: loro prestavano ai ricchi, noi ai poveri; loro si rivolgevano agli uomini, noi alle donne; loro andavano in città, noi nei villaggi». (M. Yunus, a una conferenza a Milano, il 2 marzo c.a.).

Ecco, appunto, fare esattamente il contrario, come insegna anche Gesù con i suoi “ma io vi dico…”. Ma, solo per cominciare…!

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