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venerdì 8 gennaio 2010

Il Figlio di Dio decide di essere uomo

In questa terza domenica dopo Natale, la Chiesa ci invita a celebrare la festa del Battesimo di Gesù.
Apparentemente questa sembra la cosa più ovvia del mondo: Gesù si è fatto battezzare da Giovanni e così ha inaugurato il suo ministero pubblico… Le nostre orecchie ormai avvezze a sentire raccontare questa vicenda infatti, non riescono a cogliere immediatamente la paradossalità che si cela dentro a questo evento… eppure… che Gesù si faccia battezzare, è stato fin da subito un “signor problema” per la Chiesa nascente. Non tanto perché se ne metteva in discussione l’autenticità… anzi, proprio per il motivo opposto. Scrive infatti don Bruno Maggioni: «La maggioranza degli studiosi considera il battesimo di Gesù un fatto storico fra i più sicuri. Depone a favore della sua storicità la testimonianza letteraria molteplice, ma soprattutto il fatto che il suo ricordo procurò alla tradizione successiva un innegabile “disagio teologico”, che si è cercato di attenuare: il battesimo poteva, infatti, far pensare che Gesù fosse inferiore a Giovanni, o che fosse bisognoso di conversione come gli altri uomini.
D’altra parte sappiamo che le comunità primitive non si sentivano costrette a tramandare tutti i fatti di Gesù: se hanno tramandato il battesimo – nonostante le difficoltà che poteva suscitare – è certamente perché lo hanno considerato particolarmente importante. E di fatti è un tornante che segna la transizione dal Battista a Gesù, dal vecchio al nuovo, dall’attesa alla venuta, e gran parte di questa “novità” è proprio racchiusa nel suo aspetto “scandaloso”» [Il racconto di Luca, 79-80].
Perché – dunque – Gesù si fa battezzare? Perché se Gesù è Figlio di Dio, Dio lui stesso, si fa rimettere i peccati da Giovanni? Gesù è senza peccato si legge nelle Scritture («Cristo non commise alcun peccato e non fu trovato alcun inganno nella sua bocca», 1 Pt 2,22)... Forse che san Pietro si è sbagliato? Forse che Gesù si mette in fila con i peccatori semplicemente perché non era Dio, ma solo un uomo, bisognoso come tutti del perdono di Dio, appunto? O forse era sì Dio, ma non lo sapeva? Aveva bisogno cioè, come tutti, di prendere coscienza della sua identità, della sua missione, della sua figliolanza...? Ma anche in questo caso: com’è possibile che il Figlio di Dio non sapesse di essere il Figlio di Dio? Che Dio è allora?
Ovviamente entrambe le soluzioni non sono accettabili per il credente che vuole tentare di rendere ragione di questo fatto: non si può ammettere che Gesù non sapesse di essere il Figlio di Dio (lui stesso infatti nel Vangelo rivendicherà con autorità questa sua identità: tanto che per questo verrà messo a morte, «egli deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio» – Gv 19,7), né tanto meno che non lo fosse e dunque avesse bisogno del perdono dei peccati (di se stesso infatti dirà: «il Figlio dell' uomo ha autorità in terra di perdonare i peccati», Mt 9,6)!
Ma allora come porsi – da credenti – di fronte a questa situazione? Perché Gesù, pur essendo Figlio di Dio e senza peccato, si fa battezzare da Giovanni?
Qualcuno (già all’epoca neotestamentaria) cerca di risolvere la cosa, chiamando in causa una non meglio definita giustizia, quasi un piano preordinato indisponibile a Gesù stesso, che determina questa situazione. Matteo infatti – a differenza di Marco e Luca – orchestra la vicenda in modo tale che Giovanni inizialmente si rifiuti di battezzare Gesù, dicendo «Io ho bisogno di esser battezzato da te e tu vieni da me?» e accetti solo quando Gesù gli ribatte «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia».
Ma questa soluzione, ben al di là dall’essere tale, è in realtà solo uno spostamento del dilemma: in queste parole che Matteo mette in bocca a Gesù infatti, emerge solo il fatto che anche l’evangelista aveva lo stesso nostro problema: rendere ragione di questo fatto... La sua risposta infatti risulta una non-risposta, un semplice spostamento del problema, che – pur suonando diversamente (Perché Dio nel suo piano anteriore e indisponibile al Figlio, ritiene giusto farlo battezzare tra i peccatori?) – rimane.
Altri tentativi di soluzione sono stati posti invece nella linea della pedagogia divina: Gesù cioè qui agirebbe col solo intento di insegnare qualcosa (l’umiltà, per esempio), o di aspettare tempi più maturi per rivelarsi (farebbe dunque finta – per il momento – di essere un uomo qualsiasi, uno tra i tanti)...
Ma anche in questi casi le risposte non reggono: la finta assunzione dell’umanità da parte del Figlio di Dio infatti è addirittura scartata come eresia dalla Chiesa cattolica (docetismo); ma anche la prospettiva pedagogistica di Gesù è sempre più vista come una riduzione della sua identità: sarebbe cioè sbagliato porsi di fronte alla storia di Gesù, cercando di estrarne insegnamenti, codici morali, itinerari spirituali, prescindendo dal suo porsi nel mondo. Non bisogna infatti pensare che ci sia da una parte la vita umana di Gesù e dall’altra i vari insegnamenti per il buon vivere oggi che da essa si possono trarre! È piuttosto il decidersi storico dell’uomo Gesù la rivelazione di Dio: è la storia concreta di Gesù – che di volta in volta ha deciso di sé, ha deciso chi essere – il volto di Dio e il volto dell’uomo rivelati definitivamente nel tempo!
Allora forse anche di fronte al fatto del battesimo di Gesù – al suo decidersi cioè di mettersi in fila per la remissione dei peccati – è necessario porsi con questo atteggiamento. Non tanto domandarsi quindi “Cosa ci vuole insegnare Gesù, facendo così?”, quanto piuttosto “Chi sta decidendo di essere, in quella scelta?”.
Stando ai testi neotestamentari e alla riflessione della Chiesa in proposito, le risposte potrebbero essere diverse (sta decidendosi per una solidarietà con l’uomo peccatore; per un’adesione alla domanda di salvezza del suo popolo; per un andare a vedere le risposte che il momento storico offriva), ma tutte riconducibili a una: Gesù sta decidendo di essere uomo; azzardando un po’ i termini: sta imparando ad essere l’uomo che – da sempre – ha deciso di essere.
Per questo va da Giovanni; perché essere uomo nella Palestina di quel tempo, voleva dire mettersi in fila col suo popolo. Per questo prega: perché dentro a quel dialogo col Padre, il suo pregare è il suo decidere chi essere, è il suo decidere di essere uomo! Pregare infatti è sempre decidere di sé – accedere insieme a Dio e a sé stessi. «Non a caso Gesù ha pregato in tutti i momenti decisivi della sua vita e della sua missione (Cfr. 5,16; 6,12; 9,18.28-29; 11,1; 22,41; 23,46)».
E proprio nel momento in cui Gesù decide di essere uomo al 100%, l’uomo che – da sempre – ha deciso di essere, arriva la voce dal cielo, voce quasi di conferma, di approvazione, di compiacimento: Gesù è Dio così e Dio conferma “un” Gesù così: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Questa frase, tra l’altro, non è una semplice esclamazione di consenso, ma – per le esperte orecchie ebree – rimanda inequivocabilmente a Isaia 42: dove dell’eletto di cui Dio si compiace si dice che «porterà la giustizia alle nazioni. Non griderà, non alzerà il tono, non farà udire la sua voce per le strade. Non spezzerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo dalla fiamma smorta; presenterà la giustizia secondo verità. Non verrà meno e non si scoraggerà, finché non avrà stabilito la giustizia sulla terra» (Is 42,1 ss); e anche che sarà preso per mano e custodito «per aprire gli occhi dei ciechi, per fare uscire dal carcere i prigionieri e dalla prigione quelli che giacciono nelle tenebre» (Is 42,7).
Gesù dunque, nella sua intima relazione col Padre, sta decidendo di essere l’uomo – rivelazione di Dio – capace di giustizia senza violenza; di verità senza sopraffazione; di fiducia e stabilità; di liberazione per gli oppressi della terra... Con tutto quello che questa sua scelta comporterà: perché Egli sa benissimo, che l’amore è ciò che di più feribile esiste, tra le cose che esistono, e che dunque la sua scelta di umanità sarà una scelta per la morte. Sempre Isaia, descrivendo il Servo d’Israele, dice infatti: «Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia, era disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna. Eppure egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori; noi però lo ritenemmo colpito, percosso da Dio ed umiliato. Maltrattato e umiliato, non aprì bocca. Come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori» (Is 53,3-7).
E in questo scegliere di Gesù di essere uomo – e dunque Dio – così, non c’è niente di pedagogico, nessun insegnamento da trarre! Non sta invitando anche noi a essere capaci di giustizia senza violenza; di verità senza sopraffazione; di fiducia e stabilità; di liberazione per gli oppressi della terra. Molto di più, sta abilitando la carne umana a percorrere quella strada impossibile (non a caso il cielo si apre – si squarcia cioè la presunta barriera tra il mondo di Dio e il mondo dell’uomo – e lo Spirito di Dio può scendere): perché nello sconforto di una vita che – a differenza dell’annuncio di Natale – sembra essere fatta di tenebre senza nessuna luce che ci brilli dentro (di violenza senza giustizia, di sopraffazione senza verità, di canne spezzate e braci incenerite, di scoraggiamenti, e di impossibilità di salvezza), sia detto a tutti, che se è stato possibile una volta in un uomo, essere Uomo così, allora è possibile per tutti sempre, e dunque per noi, oggi!

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