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martedì 31 luglio 2012

Oltre la solitudine

Cristo partecipa alla solitudine che l'uomo si costruisce
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo. Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,1-15)

Prima di commentare questo vangelo, vorrei invitarvi a leggere alcuni articoli sulla cerimonia di apertura dei giochi olimpici di Londra. Tutti ottusamente entusiastici!
Che c’entrano i giochi con il vangelo? c’entrano, c’entrano. Intanto al di là che la “cerimonia” possa essere piaciuta o no, va dato atto al “regista” di essere riuscito a dare una immagine efficace quanto sintetica del tipo di storia che l’Inghilterra e quindi l’Occidente nel suo insieme hanno costruito. Poi bisogna dire che la “storia” che così viene sbandierata è proprio quella mostruosità antropologica che il vangelo sottopone a un giudizio di condanna inappellabile e per questo invita a stravolgere verso un orizzonte nuovo.

Vediamo quindi a grandi linee la sintesi storica dell’Inghilterra-Occidente propinataci:
Inizia con scene bucoliche del periodo agricolo: scene semplici, di gente semplice… di un modo per certi versi definitivamente perduto, ma non per questo ricco di insegnamenti anche oggi. Nell’epoca agricola la gente lavorava e viveva del proprio lavoro… Se non ci fossero stati i regnanti avidi e dittatori che li sfruttavano si potrebbe dire che quella gente, pur non vivendo negli agi, era gente felice e per niente povera? Per rispondere a questa domanda occorrerebbe domandarsi che cosa vuol dire “felice” e “povero” per noi. Che idea abbiamo di povertà? È povero colui che per vivere deve lavorare? È povero chi non può permettersi una vacanza ai tropici, un iPod, una serata in discoteca…? E chi è il ricco? Colui che finalmente può spendere senza lavorare e comprarsi tutto ciò che desidera?... Ma questa idea di povero e ricco sono reali o indotte? E indotte da cosa, da chi? E ancora, può un povero essere felice? Le Beatitudini (beati i poveri) rimandano a un’utopia o invitano a un cambiamento del presente? Domande che esigono una nostra risposta che non può che manifestarsi all’interno di un itinerario di conversione culturale, prima ancora che morale e teologica.

Ad esempio, sempre nella cerimonia di inaugurazione, chi ha colto che se la regina d’Inghilterra, discendente di questi affamatori di popolo, partecipa a una scenetta dai più (anche dall’Osservatore Romano!) giudicata ironica, in realtà siamo davanti all’apoteosi arrogante di un potere che si fa beffe del popolo? Ogni (auto)ironia del potere, non fa che accentuare l’arroganza del potere! È per questo che quella scena non era semplicemente di cattivo gusto, ma io l’ho percepita come uno schiaffo all’intelligenza e alla dignità umana di milioni di lavoratori uomini e donne che sono schiacciati dalle esigenze produttive disumanizzanti di un sistema che la regina presiede: Cominci non tanto a prendere il salario di un operaio inglese, ma a viverne le condizioni lavorative… e poi ne riparliamo!

Il povero infatti non è un prodotto della natura, il povero è un prodotto della società (Balducci).
La rivoluzione industriale che segue (scena successiva, “delle ciminiere”) è ciò che ha reso possibile fare della povertà di molti un elemento essenziale alla produzione del benessere di pochi. Il povero è la componente chiave della macchina produttiva tecnologico-industriale: solo lui poteva accettare di far parte di una catena di montaggio ieri, e approvare i piani industriali alla Marchionne oggi! Abolendo cinquemila anni di storia biblica che aveva inventato lo “Shabbat”: il tempo in cui l’uomo nel sano riposo era obbligato (non era un optional!) a dedicarsi a coltivare le proprie radici, la propria produttività interiore… Si sa come andò a finire, abbiamo dapprima interpretato l’obbligo come un precetto per sostituirlo via, via con la movida (forma industriale del tempo fuori dalla “fabbrica”)… L’importante era non “coltivarsi” veramente! L’Impero finanziario ringrazia!

Al povero, schiavo di ieri e di oggi, lo stesso sistema produttivo propone allora due strade per fuggire dall’oppressione e soddisfare la sua sete di libertà: la favola (scena in omaggio a Mary Poppins, ma potremmo aggiungere Hollywood e il divismo in genere tra cui James Bond e la stessa famiglia reale) e l’assistenzialismo (omaggio all’efficientissimo servizio sanitario nazionale inglese, ma potremmo aggiungere le trasmissioni di raccolta di fondi tipo Telethon, la filantropia dei ricchi alla Bill Gates…).
Il primo dà l’illusione della libertà, il secondo della moralità… Entrambi però non si pongono le ragioni del fallimento della storia di miliardi di essere umani. Entrambi sono fuga consolatoria e funzionale al sistema produttivo “economico” e all’invenzione tecnica (bicicletta e web non a caso celebrati). Rivoluzioni che non mettono in discussione il meccanismo che genera poveri ma ne moltiplicano le potenzialità di riuscita (per pochissimi) e di fallimento (per la quasi totalità).
Ecco ben descritto l’orribile e falso destino dell’uomo: la fuga dalla alienazione nell’illusione fiabesca e la finale consolazione di essere accompagnati con un dolce sorriso a una morte “tecnologicamente” programmata, pianificata nel processo produttivo: anche la malattia e la morte diventano un numero da mettere in bilancio.

Se questa è l’alternativa all’umana disperazione, una inaugurazione siffatta mi è necessariamente apparsa, orripilante, nauseante nella comunicazione descrittiva di un vuoto totale. C’è ben poco da esaltarsi e da inneggiare in questo Occidente: c’è l’entropia del nulla storico di un mondo che si illude di essere portatore di valori. È stata, senza alcun esame di coscienza – lo humor lo sostituisce – la celebrazione del vuoto che abbiamo costruito: l’uomo in sé non è in grado di far altro che costruire ciminiere assassine che sputano fumo… a Liverpool come ad Auschwitz!

Tutto questo, vi sembrerà incredibile, è magistralmente descritto nella “storia” che il vangelo ci riporta, purché non ci si fermi al mero dato storiografico, ma si cerchi di decifrarne le dinamiche.

Davanti alla fame (un tema caro al vangelo: notate che non si parla qui di sete, eppure dovevano ben averne!) abbiamo il miracolo della “fiaba” consolatoria della moltiplicazione dei pani e dei pesci: Finalmente il “principe azzurro” arriva e sfama il popolo con l’apoteosi della bacchetta magica di una Mary Poppins al maschile. Finalmente un dio, consolatore e gratificante nel suo processo assistenziale: un Gesù-Caritas che non ha bisogno di mettere in discussione le cause della “fame”. La “fuga” di Gesù è la descrizione di quello che all’uomo resta – all’occidente resta – e per chi ha assistito alla cerimonia inaugurale dei giochi, ha percepito: il vuoto del nulla di una storia fondata sul progresso del nulla. In attesa di come riuscire a sfamare le fami presenti e future!
Il vangelo non è un libro di filosofia, occorre decifrare il messaggio dalla storia. Quello che il vangelo ci sta dicendo è nella storia che sta raccontando. Non è Gesù che fugge, il Verbo di Dio che si è fatto uomo non può abbandonare l’uomo. Non si può fondare una teologia della “fuga” su un racconto del genere, sarebbe in contraddizione con tutta la logica evangelica e biblica: che senso ha un Dio che si incarna per isolarsi? Quello che si vuole dire in modo descrittivo è che quando l’uomo entra nella logica del calcolo (la stessa logica di Filippo! Che è la logica che ha generato quel tipo di rivoluzione tecnologico-industriale e finanziaria di cui ci vantiamo!) la soluzione dei suoi problemi genera il vuoto del senso di sé: è l’uomo che resta solo. La solitudine di Gesù, uomo, è partecipazione crocifissa a questa solitudine dell’uomo: Quando l’uomo si accosta alla radice del proprio esistere (Dio) con quella logica quantitativa, fallisce l’incontro con sé e con Dio, e non gli restano che i crampi allo stomaco. Il miracolo eucaristico della moltiplicazione dei pani e dei pesci è miracolo perché è eucaristico, cioè partecipa a quella dimensione della vita che si chiama gratitudine e che è estranea ad ogni logica di “calcolo”. Non c’è “grazie” in economia: se “paghi due e compri tre” è per farti pagare e comprare anche il “tre”, con l’illusione della fiaba dello sconto-regalo.

Il vangelo ci dice che se l’uomo vuole uscire dalle proprie prigioni, non ci riuscirà né con la fiaba del profeta dispensatore, né con la carità assistenziale di un dio crocerossina. Potrà farlo solo se riuscirà a costruire un barlume di società dove l’altro non è un “elemento del processo produttivo del proprio benessere” ma un “compagno di viaggio della comune avventura”.

Non ci fu “rivoluzione industriale” ma “involuzione industriale”, chi raccoglierà la sfida di una vera rivoluzione evangelica?

1 commento:

maria sole ha detto...

Ho assistito per dieci minuti alla cerimonia di inaugurazione delle olimpiadi e precisamente durante la parodia sui bambini malati e le infermiere.... mi sono domandata: ma quale è il messaggio? Ho deciso che non mi piaceva, non mi interessava. Bene, mi hai spiegato il motivo del fastidio provato e come "noi" perdiamo il nostro tempo a cercare di portare gli altri verso le nostre idee, il nostro pensare e poco, pochissimo a dire grazie e provare graditudine.
E' più facile odiare che amare, uccidere a parole che ci procura fastidio, oppure cercare di accogliere e....... magari ascoltare con un orecchio aperto, anzichè occupato...... Sai quante persone che conosco hanno problemi di udito? Tante, tantissime.... Ascoltiamo male e facilmente i nostri pensieri sono negativi.

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