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martedì 10 luglio 2012

XV Domenica del Tempo ordinario


«Quando si parla di evangelizzazione, il nostro pensiero corre subito al «che cosa vado a dire?» e meno, molto meno, a «come devo essere io?», al mio stile di vita. Perché lo stile di vita non è un accessorio, magari desiderabile, ma secondario, del messaggero. Le modalità del presentarsi dei messaggeri missionari, cioè gli strumenti economici, il tessuto di relazioni nelle quali si inseriscono, le strutture istituzionali con le quali si incontrano, o si scontrano, nei paesi e nelle città dove arrivano, anche se ancora minime, come in questi inizi… sono già il messaggio!», [Giuliano].


In questa Quindicesima Domenica del Tempo Ordinario è su questo che vorrei riflettere… su quanto poco conto, nel nostro pensare la nostra vita, spesso abbia il “come devo / voglio essere io”, “come dobbiamo / vogliamo essere noi” e su quanto invece questo sia il tutto di ciò che trasmettiamo.

Noi siamo infatti figli di una mentalità, plasmata nei secoli, che ha teso sempre più a staccare i messaggi dai messaggeri, la verità dalla storia, sia che essa riguardasse l’uomo, Dio, il mondo… Siamo nati e cresciuti in un contesto pieno di verità (teologiche, antropologiche, morali, scientifiche, economiche, ecc…) che fluttuavano sulle nostre teste e che erano lì “a portata di mano” per essere usate come “frasi fatte”, “risposte pronte”, “marchingegni logici” a seconda delle varie situazioni… E – per quanto questo modo di affrontare le varie questioni della vita spesso ci sia risultato inadeguato, riduttivo, inefficace – facciamo fatica a staccarcene e a renderci conto che, forse, si potrebbe cambiare prospettiva…

La Chiesa – col Concilio – si è resa conto di questo stato di cose e ha formulato una delle più stravolgenti (rispetto alla mentalità precedente) espressioni della sua storia, quando nella Dei Verbum al n° 2 ha scritto: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi».

Al di là del linguaggio necessariamente formale del documento, mi piacerebbe che cogliessimo lo scaravoltamento in atto!

Innanzitutto, dentro ad una mentalità ecclesiale in cui la trasmissione della fede coincideva con la trasmissione delle verità (al plurale, cioè di un insieme di definizioni: pensate – soprattutto chi tra voi è più datato – a cosa voleva dire andare a dottrina – non a caso si chiamava così! – prima del Concilio: imparare a memoria il Catechismo di Pio X, cioè tutta una serie di domande e risposte che racchiudevano – appunto – le verità del Cristianesimo!), inserire “la bomba atomica” (originaria, ma dimenticata) per cui a Dio è piaciuto rivelarsi in persona, vuol dire mettere in cantina tutta quella mentalità separatista che relegava Dio lassù nei cieli (del quale infatti sapevamo solo “le verità” che ci dicevano i preti) e noi quaggiù sulla terra (a imparare a memoria il “da sapersi” su Dio – senza magari capire – e il “da farsi” morale).

Perché se a Dio è piaciuto rivelarsi in persona, allora vuol dire che c’è un po’ più sostanza che nel semplice imparare a memoria definizioni a suo riguardo! Vuol dire che il campo semantico non è semplicemente quello dell’istruzione, dell’imparare, dell’applicare, ma diventa quello del relazionarsi, conoscere, intrattenersi, voler bene…

Ha espresso bene questa svolta, in maniera profetica (perché è vissuta quasi 100 anni prima del Concilio Vaticano II), Santa Teresa di Gesù Bambino che diceva: «Sentivo che era meglio parlare a Dio che parlare di Dio» [ManoscrittoA, 125].

Se si tratta di questo, allora si capiscono bene anche le altre affermazioni di DV 2: «gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura», «infatti Dio invisibile parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé».

Capite cosa è in gioco nella relazione con Dio?

Ma è ovvio che se da trasmettere non è più una dottrina, ma una relazione, un’amicizia, una comunione, le modalità di trasmissione non possono più essere quelle anaffettive dell’indottrinamento, ma diventano quelle della dinamica storica (proprio come accade nelle nostre relazioni, amicizie, comunioni umane): «Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi», cioè Dio si fa conoscere in persona, dentro ad una storia (eventi e parole intimamente connessi vuol dire questo!).

Ecco allora che entra in gioco il nostro vangelo! Era già tutto scritto lì, ma gli incrostamenti della storia ce l’avevano fatto un po’ dimenticare!

Il problema non è il “cosa andare a dire”, ma il “come essere”, il “quale storia scrivere” quando si è tra la gente col deliberato intento di essere testimoni dell’amore del Padre (cioè del Regno che viene!).

Innanzitutto bisogna essere almeno in due («Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due»), perché «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri», Gv 13,35.

Se si tratta della trasmissione di una relazione (quella con Dio) che ci cambia, perché ci fa figli e dunque fratelli, questa “cosa” non può che essere “detta” vivendo e (proprio per questo) mostrando (mai il contrario!!!) il modo nuovo di volersi bene che la comunione col Padre inaugura.

Perché se c’è una cosa indiscutibile nel vangelo è proprio questa: che l’amore con cui il Padre ci ama implica una risposta spostata; Egli infatti non chiede mai di essere ri-amato, ma di ri-amarlo amando i fratelli («Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri», Gv 13,34).

In secondo luogo bisogna “scrivere una storia” in cui la gente sia liberata dal male (almeno un pochino), in cui le si tocca la carne (almeno un pochino) e le si tolgano le catene (almeno un pochino): «dava loro potere sugli spiriti impuri».

«E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche»: «Gesù esige uno stile ed una radicalità di disimpegno dai lacci che legano al potere, al denaro, alle convenzioni del consenso socio politico, che sembra ingenuo o poetico o utopistico. Non portate nulla, perché tutto ciò che hai in più, ti divide dall'altro. Tutto ciò che hai di troppo (su cui il potere ti gioca, perché te lo può concedere, lasciar o togliere…) è pericoloso… pane, bisaccia, soldi, vestiti. Il problema si è immensamente complicato oggi – pur rimanendo limpide, incontestabili… e drammatiche queste esigenze “evangeliche”, tuttora inseparabili dal messaggio e dal contenuto del messaggio che è il Regno. È una povertà che è fede, libertà e leggerezza. Un messaggero carico di bagagli, che s’illude possano servire per spiegare e convincere meglio… sarà invece paralizzato o impedito o invischiato dall’ambiguità dei mezzi stessi a cui si affida, incapace di cogliere la novità di Dio e abilissimo nel trovare mille ragioni di comodo per giudicarli irrinunciabili. Scordandosi della forza interna della Parola, che si diffonde solo se chi la porta è testimone appassionato e capace di rischiare la vita, le risorse e il futuro … perché il suo riferimento propulsore è il Signore, non qualche proprio progetto o vantaggio o interesse.  E lo Spirito che compie le parole dette!», [Giuliano].

Infine… «diceva loro: “Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro”»: l’incarico è l’annuncio, non il successo; «Se non ci sarà non deve importare, devono semplicemente andare e tentare altrove…» (Balthasar).

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