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domenica 31 marzo 2013

La Pasqua fa dell’uomo un inno vivente alla gioia!


Leggo su Twitter: Ve lo dico con tutta franchezza la #pasqua  mi deprime quasi quanto il natale che, almeno, ha la piacevole parentesi dei regali…
E l’amica ha già la soluzione: ignoriamola!
Un altro si intrufola e per consolarla dice: ...e le UOVA di #Pasqua?? ;-))
Al che lei risponde: per carità una delle delusioni della vita è la sorpresa dell’uovo di #pasqua!!!!!!
 
Al di là dell’ilarità che può suscitare in molti cristiani, e convinto come sono che anche nel più grande errore c’è un frammento di verità, mi son domandato… “e se non avessero tutti i torti”?
Ce la prendiamo con il mondo che ha perso certi valori. Ma li ha persi veramente? o semplicemente sta esprimendo in modo diverso le domande di sempre?
Dopotutto cosa c’è da festeggiare? Guardiamoci intorno… Non vi faccio l’elenco della crisi profonda a tutti i livelli che stiamo vivendo… E in famiglia? Quante incomprensioni! Ed è il minimo che si possa dire…
E allora ripeto: cosa c’è da festeggiare?. Che gioia c’è da condividere?

Per tentare di rispondere, vorrei partire da che cosa NON è una festa! Perché ci sono anche gioie amare…

Se infatti leggiamo il libro dell’Esodo che di fatto è il vero libro genesiaco della Bibbia (come dicono gli esegeti il libro della Genesi è stato scritto dopo l’Esodo e serve a dare continuità logica, in una storia che risale fino alla creazione, all’avvenimento nativo di Israele come Popolo), vi possiamo trovare due vissuti esistenziali differenti: l’uomo prima dell’esodo e l’uomo dopo l’esodo (inteso come avvenimento storico).
 
Prima dell’esodo la vita di un israelita era una vita di lavoro duro (Es 1,13), una vita “amara” con un “dura schiavitù! (v14) e siccome non bastava, gli egiziani arrivarono a regolamentarne le nascite (1,15ss) da cui Mosè fu sottratto! La storia la conosciamo…
 
Ora mi chiedo: avranno avuto feste, compleanni, riti, nascite, matrimoni, da festeggiare! Con che animo? Che gioia è, la gioia di uno schiavo? Che feste celebra un oppresso?
Immagino non sia molto diversa da quella di un ubriaco che beve “alla salute di chi gli vuol male”, per dimenticare il male che patisce! E che riemergerà intatto appena passata la sbornia! Meccanismo consolatorio di rimozione illusoria!
A pensarci bene, guardando il nostro vissuto, non sono un po’ così anche le nostre feste? Le nostre gioie non ci appaiono spesso effimere?
 
Ecco però che a un certo punto accade qualcosa di completamente nuovo: (3,7s) Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conoscole sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo (prospettiva di guerra!). Senza Dio l’uomo non è capace di propria e altrui liberazione…
 
Conosciamo la storia. A fatica ottengono dal Faraone il permesso di lasciare il Paese che poi ci ripensa, ma Dio interviene e taglia definitivamente il cordone ombelicale che li legava alla schiavitù (successivamente le cose non furono però così semplici) e il Popolo può finalmente festeggiare… e siamo al 15° capitolo!
 
Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto liberatorio e liberante al Signore e dissero:
«Voglio cantare al Signore,
perché ha mirabilmente trionfato:
cavallo e cavaliere
ha gettato nel mare.
Mia forza e mio canto è il Signore,
egli è stato la mia salvezza.
È il mio Dio: lo voglio lodare,
il Dio di mio padre: lo voglio esaltare!
Il Signore è un guerriero,
Signore è il suo nome.
I carri del faraone e il suo esercito
li ha scagliati nel mare;
i suoi combattenti scelti
furono sommersi nel Mar Rosso.
Gli abissi li ricoprirono,
sprofondarono come pietra.
La tua destra, Signore,
è gloriosa per la potenza,
la tua destra, Signore,
annienta il nemico;
con sublime maestà
abbatti i tuoi avversari,
scateni il tuo furore,
che li divora come paglia.
Al soffio della tua ira
si accumularono le acque,
si alzarono le onde come un argine,
si rappresero gli abissi nel fondo del mare.
Il nemico aveva detto:
“Inseguirò, raggiungerò,
spartirò il bottino,
se ne sazierà la mia brama;
sfodererò la spada,
li conquisterà la mia mano!”.
Soffiasti con il tuo alito:
li ricoprì il mare,
sprofondarono come piombo
in acque profonde.
Chi è come te fra gli dèi, Signore?
Chi è come te, maestoso in santità,
….
Il Signore regni
in eterno e per sempre!».

Cioè la festa – che è l’esplosione comunitaria di ogni gioia personale – diventa il racconto di una storia di liberazione vissuta. Non di principi teologici (questi seguiranno come tentativo di codificazione – necessariamente riduttiva – dell’esperienza)! I salmi sono pieni di questa memoria (di lode per esaltarla, di supplica per invocarla).
Prima di questa storia[1] non si può gioire, se non per dimenticare, ora con la liberazione avvenuta, si gioisce come ricordo, memoria, attualizzazione, gratitudine di un avvenimento che ha cambiato la vita, mia e dei miei cari…

Sappiamo che la Pasqua cristiana si inserisce in questa Pasqua ebraica. Non però per ripeterla (vedremo perché) né semplicemente rinnovandola ma “compiendola” cioè realizzandola veramente fino in fondo e definitivamente.

Per capire la novità della Pasqua di Cristo, dobbiamo prendere coscienza del sostanziale fallimento di quella guidata da Mosè (non realizzata da Mosè: è Dio che la realizza!). Anche qui la storia la conosciamo… La paura di una vita straordinaria, il fascino della tranquilla banalità quotidiana, mortificheranno, letteralmente, la spinta propulsiva iniziale. E Israele tornerà schiavo ancora e ancora: babilonesi prima e romani poi! E coi romani la schiavitù se la trovano in casa!

Perché? Do una risposta sintetica che andrebbe spiegata, ma che rivediamo tale e quale nel racconto genesiaco di Adamo ed Eva: l’uomo ha proiettato in Dio il volto del suo aguzzino umano, della sua conflittualità. Abbiamo così introiettato la figura del padrone, che non sappiamo più farne a meno, al punto che abbiamo bisogno di un padrone supremo, “Re dei re” che chiamiamo Dio! Un uomo così sarà forse libero da padroni umani, ma è definitivamente schiavizzato da padroni sacralizzati, dall’immagine proiettata di un dio-padrone!

Di che gioia può vivere un uomo così? Ancora non può che festeggiare le feste del Padrone!
Le feste liturgiche pian piano cessano di essere memoria di una liberazione, per diventare invito a una sudditanza, a una schiavitù suprema, sacrale (cf profeti ad es. Isaia 1,11[2])! Nobilitando questa sudditanza però l’uomo rende definitivo il proprio asservimento a un Dio che si rivelerà immaginario! E funzionale al potere: è il ritorno alla schiavitù originaria. Il disfacimento della liberazione attuata.

È necessario allora che Dio mostri il suo vero volto e impedisca questo ritorno continuo in Egitto… E non può più farlo un uomo che avendo introiettato la figura padronale non è in grado di mostrarlo (cfr Elia in 1Re 18,40!)…
L’uomo cioè non è in grado di realizzare il progetto di liberazione, e quindi di giustizia e di amore del Padre perché non sa “Chi è” in quanto continuamente vi vede proiettata la figura del padrone: non ne conosce altra! E ogni gioia non può che generare una festa effimera, provvisoria, alienante!

È necessario quindi “un nuovo Esodo”, uno vero e definitivo, “altro” rispetto al precedente, così nuovo che quello vecchio rispetto al nuovo è come l’acqua rispetto al vino (Cana in Gv 2,1ss). Così nuovo che quello vecchio è “da dimenticare”  (Isaia 43,16ss[3]). E se ce ne ricordiamo è solo per meglio riconoscere il salto di qualità di quello “attuale”. Così nuova è la Pasqua di Cristo che quella vecchia è “spazzatura” (Fil 3,8-14).
Pietro (1Pt 2,20ss[4]) ha l’immagine forse più stucchevole di tutti. L’Esodo antico rispetto al nuovo (via della giustizia dice Pietro, quindi indirettamente afferma che quella precedente era una giustizia ingiusta! vedremo) è vomito. Lo stomaco cioè il processo di assimilazione della vita, la espelle come estranea, nociva ad essa! E tornare al vecchio è come se un cane dopo aver vomitato si rimangiasse il proprio vomito: se un certo cibo è nocivo, quanto ancor più nocivo deve essere il suo vomito!

Il disgusto che proviamo davanti a queste parole è proprio ciò che provava Pietro nel vedere i cristiani rinnegare la novità nuova di Cristo per tornare alla vecchia giustizia… che avevano vomitato!

Ma qual è questa novità della Pasqua di Cristo, questo vino nuovo?
Qui adesso camminiamo su un filo di rasoio che potrebbe creare qualche difficoltà al sentire comune che ci viene trasmesso nella catechesi e nella pastorale… ma è importante che noi capiamo il rischio che corriamo se non facciamo la fatica di capire la novità evangelica.

Noto che di fatto – ditemi voi se non è vero – facciamo una fatica immane a liberarci dallo schema religioso dell’Antica Alleanza! Noi spesse volte, troppe, rileggiamo il Vangelo nella chiave dell’Antico Testamento. Come se l’avvenuta di Gesù, nella vita concreta, nell’etica, nel vissuto, nella lettura della storia, nell’incontro con le persone, non abbia radicalmente cambiato le cose, a cominciare dal nostro sguardo: non avesse cambiato l’acqua in vino appunto! Ma che vino è se noi continuiamo a scambiarlo per acqua? E allora che vino sia!

Facciamo alcuni esempi rapidi:
La parabola del figliol prodigo in Luca (15,11-32): troppi commenti si soffermano sul processo di conversione del figlio minore… dimenticando che non si è affatto convertito al vero volto del padre!
Troppi commenti ignorano che Barabba (Bar Abba: figlio del padre!)… non si è convertito…
Troppi commenti ignorano che la donna adultera (Gv 8,1-11) non si è minimamente convertita… e qui ancor peggio i commentatori sottolineano che però Gesù le ha detto “va’ e d’ora in poi non peccare più”. Come se Gesù fosse un novello Mosè che aggiunge un undicesimo comandamento!

Che cos’è allora questa nuova Pasqua di Gesù? Vedendo che nessuno veramente si converte, (nemmeno gli Apostoli! O non vorrete farmi credere che si convertono – scusate il linguaggio dissacrante – perché vedono un morto che cammina? Infatti i morti che camminano non convertono nessuno: Lc 16,31 ma anche Gv 12,10) mi sembra ovvia la conclusione: che l’uomo è, per pura grazia, definitivamente salvato, liberato, che gli interessi o no! (notare che Israeliti non volevano, nonostante tutto, lasciare l’Egitto e anzi volevano ritornarci: nel libro dell’Esodo è evidente che Dio li “forza” alla libertà!).
Ancora:
Ditemi voi quale conversione ha fatto il cosiddetto buon ladrone: nessuna! Ha solo applicato i principi fondamentali del diritto romano e ebraico: È evidente – dice sostanzialmente – che tu sei innocente e io “ho ben meritato” di finire in Croce! Giustificando così nei secoli ogni condanna a morte anche per lapidazione: lui, il cosiddetto buon ladrone, l’adultera su citata, con la sua logica, l’avrebbe lapidata, magari – perché “giusto” – insieme all’uomo con cui stava! Così i morti, in nome della sua e nostra giustizia legale, sarebbero stati due!
Eppure come il famoso padre della parabola dei due figli, Gesù l’accoglie nel suo paradiso… così capirà che la giustizia del Padre è altra cosa: Così altra da sembrarci ingiusta: “[religiosamente] scandalosa per i giudei e [razionalmente] stolta per i greci” dirà san Paolo in 1Cor 1,23. Accolto nella casa del Padre proprio come è accaduto ai 2 figli della parabola! Figli che non possono convertirsi prima, perché non avevano ancora ri-conosciuto (cf riconoscenza!) il vero volto del padre. Anzi ogni conversione precedente sarebbe nociva alla scoperta del vero volto del padre, perché frutto di un’idea (ideologica e idolatrica quindi) del padre e non di ciò che il padre è realmente! La conversione consiste allora in questo: riconoscere il vero volto del Padre! La sua vera sapienza e potenza! (1Cor 1,24) nella “giustizia della Croce”! Ecco perché può essere solo post-pasquale: ci vuole il dono dello Spirito di Cristo senza il quale non è possibile convertirsi. Ed è per questo che ad ogni apparizione Gesù alita sugli Apostoli come segno del dono del suo Spirito!
Prima, guardate cosa dice il figlio minore, non può che essere una conversione che insulta il padre: io lo so che mi ridurrai in schiavitù ma almeno avrò carrube da mangiare…! A pensarci bene ha ragione Pietro: schifoso! E Luca lo fa apposta a metterci tutto questo (cf all’inizio del suo vangelo le parole che mette in bocca a Zaccaria…).

Vediamo ora questa “giustizia nuova” manifestata nella Croce!
Nel suo immergersi senza perdersi nel «“no” dell’uomo a Dio», Gesù dice/fa «il “si” suo e di ogni uomo al Padre»: e lo salva: a ogni livello della sua discesa infernale. Là dove l’uomo pronuncerebbe il suo “no”, Gesù proclama e crea il “sì”! E lo fa nostro ponendo nel nostro cuore il suo “sì” definitivo (questo è il suo Spirito donato gratuitamente) al progetto d’amore del Padre su ciascuno di noi. Che all’uomo interessi oppure no: Dio non condiziona il suo voler essere “un Padre scandalosamente e follemente così” alla nostra riconoscenza!

Allora l’uomo che deve fare? Semplicemente vivere di gratitudine (che è il significato anche della parola eucaristia)! Questa è la gioia della Pasqua espressa anche nelle numerose parabole del regno come banchetto! Che vanno quindi ricomprese in questa chiave e non lette all’interno di uno schema moralistico che se va bene si rifanno ancora a quello dell’AT (cf le nostre banali riflessioni sull’abito adeguato)! La salvezza che viene dalla Passione, è infatti totale, gratuita, incondizionata. L’uomo non deve fare altro che gioirne godendone. Punto e basta!

E di questa gratitudine gioisce anche Gesù! e come potrebbe diversamente?
Gv 11,38: Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro [il giorno dopo il terzo: a quello della risurrezione di Gesù segue il nostro!] giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio [è la nuova giustizia di Dio rivelata nella Croce nel linguaggio giovanneo]?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato [cf Dio che ascolta il grido del popolo in Egitto]. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare [Che è ciò che accade a Barabba!]».

Forse mai come in questa Pasqua ho capito cosa volesse dire la Beata Elisabetta della Trinità quando parlava di voler diventare “la lode della gloria di Dio” (Fil 1,11; e soprattutto il bellissimo inno di Ef 1,3-14): ecco il cristiano è colui che è oramai cosciente che il peccare o non peccare non lo riguarda, perché nella fede in Cristo tutto gli è stato dato e perdonato. E gioisce, gode di questo dono, vive di questo dono e non è più preoccupato della propria e altrui salvezza (perché già avvenuta!) ma vive testimoniando questa riconoscenza. Non quindi insegnamenti morali, ma gioia pasquale che scaturisce da una Pasqua definitiva e che provoca un vissuto esistenziale che rinnova nelle radici più profonde la sua vita: siamo davanti a una morale che scaturisce dalla riconoscenza gioiosa. E non il contrario come ci viene insegnato. La morale infatti non dà gioia anzi induce alla tristezza del peccato (Rm 5,20), ma la gioia genera una morale nuova (È questo il comandamento nuovo di Gv 13,34. Che non è la sintesi del vecchio è tutt’altro: sostituire dieci comandamenti e seicento precetti con uno solo non cambia la logica di fondo)!

Questo toglie la fatica del vissuto? Assolutamente no! Ma, senza cadere in spiritualismi (la “carne” duole sempre!), il cristiano sa ora che comunque vada, lui, diciamo così, ha già vinto (Gv 16,33)[5]! Il dramma allora, la fatica della vita è “stare” in questa riconoscenza che è puro dono anche lei dello Spirito di Cristo (Lc 1,47; Gv 3,5-6.8)! Questo è l’Esodo che siamo invitati a fare a Pasqua. Per questo lo Spirito è il dono per eccellenza della Pasqua: per donare “questa conversione qui”: la gioia vera che nasce da una liberazione vera non più da conquistare o da accogliere (nel senso morale del termine) ma di cui gioirne e goderne (questo è il vero modo di accoglierla!).

Voi mi direte: ma hai lasciato fuori i racconti di Pasqua! Un accenno l’ho fatto! Ma non ho voluto andar oltre perché se non capiamo quanto detto fin d’ora, tutta la Pasqua si ridurrebbe alla deludente sorpresa che troviamo nell’uovo di Pasqua.
In questi giorni quindi facciamo attenzione alle letture e domandiamoci: di che gioia stanno gioendo gli apostoli? Di una gioia che se ne esce con espressioni tipo: “Ma guarda! ti credevamo morto e invece sei vivo!” oppure stanno godendo, a fatica (soffermiamoci anche sulla loro fatica a credere alla nuova giustizia di Dio)… di qualcosa di nuovo che sta nascendo nei loro cuori e nei nostri: il volto “scabroso” di un Padre che veramente fa piovere il suo perdono sui buoni e sui cattivi (Mt 5,45)!

Ecco se tutto questo ci infastidisceun po’, vuol dire che siamo ancora sulla sponda dell’Egitto delle nostre false ipocrite certezze… piangendo nel sbucciar cipolle!




[1] Ammesso che si possa parlare di storia quando non c’è libertà: non è un caso se la storia dell’India l’abbiano scritta gli inglesi. In una visione ciclica della vita – analoga a quella dello schiavo che vive della vita del padrone – non c’è storia!
[2] «Perché mi offrite i vostri sacrifici senza numero? – dice il Signore. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di pingui vitelli. Il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede a voi questo: che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio, i noviluni, i sabati e le assemblee sacre: non posso sopportare delitto e solennità. Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».
[3] Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto.
[4] Se infatti, dopo essere sfuggiti alle corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso. Si è verificato per loro il proverbio: «Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango».
[5] Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me; nel mondo avrete tribolazione, ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo.

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