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martedì 12 marzo 2013

V Domenica di Quaresima


Dal libro del profeta Isaìa (Is 43,16-21)

Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi».

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 3,8-14)

Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 8,1-11)

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

 

P. Giuliano Bettati definiva il brano del vangelo che la Chiesa ci propone per questa quinta Domenica di Quaresima «Un racconto imbarazzante». Scriveva infatti: «Questa pagina è sempre stata, fin dagli inizi, per i tutori della legge, per i responsabili delle chiese, per i crociati della giustizia, un racconto imbarazzante… Al punto che questa pagina del vangelo… non sapevano dove metterla, così che in taluni codici antichi era inserita nel vangelo di Luca, in altri in quello di Giovanni, in altri non c’era proprio – mentre era nota e accolta dai Padri latini come Ambrogio, Girolamo, Agostino (che pensava fosse stata censurata perché ritenuta troppo indulgente con le donne). Ne hanno discusso perfino al Concilio di Trento che ne difese la canonicità – cioè il fatto che, ovunque fosse collocata, era un pezzo del vangelo!».

Anche la collocazione che – alla fine – hanno scelto di dargli, però non è priva di interesse.

Siamo al capitolo ottavo del vangelo di Giovanni. Gesù si trova a Gerusalemme dove – come ci informa Gv 7,1-10 – è salito con i suoi fratelli per la festa delle Capanne. Nonostante vi si fosse recato «non apertamente, ma quasi di nascosto» (7,10) – dato che dopo l’ultima volta che vi era stato «non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo» (7,1) – suscita subito un certo vespaio: «I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: “Dov’è quel tale?”. E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano: “È buono!”. Altri invece dicevano: “No, inganna la gente!”. Nessuno però parlava di lui in pubblico, per paura dei Giudei» (7,11-13).

In mezzo a questo rincorrersi di voci e pareri sul suo conto, Gesù pensa bene di recarsi al Tempio e mettersi ad insegnare (7,14): «I Giudei ne erano meravigliati e dicevano: “Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?”» (7,15); altri dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia» (7,25-27); fino a giungere al commento dell’evangelista stesso, che dopo i vari tentativi di risposta di Gesù, annota: «Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora» (7,30).

La situazione si ripete diverse volte, fino all’ultimo giorno della festa, quando sacerdoti e farisei sgridano le guardie per non aver condotto da loro Gesù in catene: «“Perché non lo avete condotto qui?”. Risposero le guardie: “Mai un uomo ha parlato così!”. Ma i farisei replicarono loro: “Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!”. Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: “La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?”. Gli risposero: “Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!”. E ciascuno tornò a casa sua» (7,45-53).

Proprio a questo punto inizia il nostro capitolo 8, con Gesù che si reca «verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro » (8,1-2). È a questo punto che scribi e farisei gli conducono la povera donna «sorpresa in flagrante adulterio» (8,4), che – come ormai dovrebbe essere chiaro – non è affatto il centro del brano, non è il problema dei farisei, ma mero espediente per colpire Gesù: «La posero in mezzo e gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» (8,4-6).

Gioco antico, questo del sacrificio del piccolo, del povero, del diverso, della donna, dello straniero, per logiche di potere altre… antico e però ancora molto attuale. Gioco, il cui capro espiatorio è necessariamente un signor “nessuno”, senza volto, senza nome, senza storia, senza possibilità di parola. Capro espiatorio che per forza deve essere “nessuno”, perché se fosse “qualcuno”, potrebbe esserci chi lo riconosce, chi lo reclama come suo, chi lo difende… Questa donna invece non è nessuno. Nessuno dice come si chiama, chi sono i suoi genitori, chi era suo marito e perché lo tradiva (molte donne nella Palestina del tempo erano lapidate come adultere perché, in realtà, violentate dai soldati romani – ma contro Roma i farisei non si mettevano…), se aveva figli a casa che la aspettavano… Niente: un mero espediente anonimo per arrivare a “stanare” Gesù – minaccia del potere costituito.

Concretamente, la trappola che viene ordita per metterlo in scacco è quella di infilarlo in una strada senza via d’uscita, «nella tenaglia tra la legge e la coscienza (la coscienza della mente e del cuore): o Gesù disprezza la legge e invita a non osservarla, oppure consente all’uccisione dell’adultera, rinunciando alla sua stessa umana esperienza di amico misericordioso dei peccatori, venuto per guarirli, non certo per eliminarli. I peccatori, almeno così gravi, andavano stroncati o no?

La donna è posta in mezzo – come peccatrice”: la legge e i suoi difensori pongono al centro dell’attenzione anzitutto il peccato, e così chiudono il peccatore nella sua gabbia di impotenza.

Scribi e farisei sono spinti non semplicemente da una legge, ma da un meccanismo che ha tenuto insieme la società per millenni, scaricando l’aggressività dei singoli e dei gruppi nell’espulsione dei diversi, nei processi e conseguenti roghi di streghe o eretici o zingari od omosessuali… o peccatori, comunque. Si ricompatta così la coesione, scaricando le forze centrifughe e disgreganti che covano in ogni aggregazione sociale sul presunto aggressore… La loro domanda a Gesù è chiaramente coinvolgente: vogliono il consenso di Gesù per una coesione omicida in questa esecuzione collettiva! Il peccato infatti è flagrante. La peccatrice è già condannata : Ma tu, sei d’accordo o no? Gesù si china, in qualche modo si sottrae alla tenaglia della domanda. Apre un altro orizzonte. Un sentiero sull’acqua? Qualcosa del genere, perché scrive sulla pietra (erano nel tempio lastricato!)… Cosa sta scrivendo? Forse vuol dire soltanto che quello che è scritto nella legge è scritto ancora sui cuori di pietra… insensibili all’amore e al perdono, impietriti nel passato. Ma quelli insistono ad esigere una risposta. Allora Gesù li spinge a scavare dentro di sé anzitutto la falsità della loro coesione contro il peccato di lei… poiché tutti, anche loro, siamo sepolcri imbiancati. Come possiamo partecipare alla condanna capitale di chi è come noi? Non sono loro, giusti, di fronte ad una peccatrice: ma tutti sono peccatori, di fronte a peccatori… Lei è solo l’anello debole della catena del peccato. Chi peccava con lei è tra loro, impunito! E le pietre cadono loro dalle mani! La donna rimane al centro, ma non è più “la peccatrice”, ma soltanto una donna ferita e spaurita, e forse anche sbalordita, dall’accaduto».

Non solo tutti se ne sono andati, ma lei, da quel giovane uomo saggio che scriveva per terra, non era stata considerata nessuno, ma qualcuno. Quello sconosciuto l’aveva guardata con uno sguardo diverso da quello con cui tutti gli altri uomini la guardavano. Davvero aveva aperto una strada nel mare, come diceva Isaia.

Gesù con una semplice frase, infatti, ha costretto gli astanti a prendere coscienza che quella che loro consideravano una donna-fantoccio, senza alcuna consistenza umana (senza storia, senza nome, senza relazioni…), utile per il loro fine di mettere in scacco Gesù, in realtà è qualcuno. “Lei” è un volto, un corpo, una storia, contro cui (se ancora lo si vuol fare) lanciare, a titolo personale, però, e non nascosti nella mischia, una sassata, che deturperebbe quel volto, macchierebbe di sangue quel corpo, porrebbe fine a quella storia… Da caso legale anonimo a persona a cui è ridonata la pienezza della sua umanità riconosciuta.

Alla fine «non è rimasto nessuno… dunque non c’era un giusto in quella folla di paladini della giustizia, che potesse lanciare per primo la pietra»… Proprio come noi… che così spesso ci dimentichiamo che custodiamo, proprio come il peggiore dei peccatori che biasimiamo, il pungiglione del male conficcato nella carne.

Infatti tra quelli, un giusto, «veramente c’era… l’unico rimasto con lei! Ma era colui che aveva detto che il compimento vero della legge era di non giudicare né condannare mai nessuno, ma essere misericordiosi come il Padre. Gesù ci ha insegnato, infatti, che ognuno di noi peccatori, smette di giudicare gli altri quando comincia a giudicare se stesso, ed ogni condanna sugli altri è il tentativo drammatico di nascondere la trave nel nostro occhio, che ci autocondanna».

Quegli uomini, a partire dai più anziani, in quel momento l’hanno capito… le parole di Gesù hanno come bruciato questo meccanismo del giudizio sull’altro che lo sottrae, nel nostro orizzonte, al considerarlo carne della mia carne.

Ma Gesù vuole che nemmeno lei si condanni, ma si apra alla fede nel perdono, che «è sapere che c’è un momento, uno sguardo, un brivido di attesa e di angoscia … nel quale sei solo di fronte a te stesso… e lui non ti rimprovera (come tutti fanno, anche fossero così gentili da stare zitti... e andarsene, senza condannarti!). Perché in quel momento sono io che condanno me stesso, senza rimedio – ed è il giudizio più “desolante” – che lascia più soli! Ma lui è lì, e non ti condanna: “Donna, nessuno ti ha condannato? Neanch’io ti condanno!”».

La riapre così alla vita: la donna, secondo la legge, era adultera e andava punita. «Secondo Gesù è anzitutto “donna” … e bisogna aiutarla a riprendersi in mano il suo futuro. E questo la legge non può capirlo. Ma il “Giusto” la difende (“Per il giusto non c’è legge!”, dirà Giovanni della croce). È venuto infatti… “a proclamare ai prigionieri la liberazione, e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi…”(Lc 4,18). Noi usiamo dire che la fede è l’adesione ai dogmi che ci vengono insegnati. Ma la fede è soprattutto questa apertura verso il futuro, a cui Gesù la invita».

Perché: «Perdonare è dare (e ricevere!) la possibilità di ricominciare la vita» (don Michele Do).

 

Un’ultima cosa… il capitolo ottavo di Giovanni – dopo che sulla scena ricompaiono dei “loro” a cui Gesù rivolge nuovamente la parola e fa un lungo discorso (8,12-58), che si conclude con la pretenziosa frase «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono» – finisce così: «Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui» (8,59)…

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