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martedì 26 marzo 2013

Domenica di Pasqua


Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24,1-12)   ---   vangelo della veglia

Il primo giorno della settimana, al mattino presto [le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: "Bisogna che il Figlio dell'uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno"». Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l'accaduto.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)   ---   vangelo del giorno

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

 

In questa Domenica di Pasqua sentiremo due brani di vangelo: durante la veglia Lc 24,1-12 e nella messa del giorno Gv 20,1-9.

Appartengono a due tradizioni diverse, quella lucana e quella giovannea, e infatti narrano in maniera diversamente specifica quel «primo giorno della settimana». Eppure entrambi hanno un elemento comune che salta subito agli occhi: nel giorno più importante dell’anno liturgico, durante la festa principale dei cristiani, nel momento in cui si celebra il mistero fondamentale della vita di Gesù, cioè la sua risurrezione da morte, Gesù non è sulla scena.

Si parla di lui, lo si nomina, si ricordano le sue parole, ma lui non c’è.

Altri dominano la scena.

Questo è molto interessante perché, oltre a ricordarci che la risurrezione di Gesù non ha avuto testimoni e dunque non è mai stata raccontata “in presa diretta” (come invece è successo per la sua vita pubblica e in particolare per la sua passione e morte), ci dice anche che il vangelo più che una cronistoria della vita di Gesù, è la messa per iscritto del nascere della fede dei suoi discepoli e delle sue discepole. Si racconta cioè, non il fatto della risurrezione, ma il come lo sono venuti a sapere i suoi, le reazioni di fronte a questa notizia e il farsi strada della loro fede in essa.

Annuncio di resurrezione e costruirsi della fede in essa sono dunque narrate insieme, attorcigliate indivisibilmente.

Sottolineo questo perché a volte noi corriamo il rischio di pensare che la rivelazione del volto del Padre che Gesù ha attuato con la sua vita, sia una cosa; mentre il nostro coinvolgimento in questa vicenda, sia un’altra, quasi una reazione che arriva in seconda battuta, a posteriori: prima c’è la storia di Gesù (quasi un pacchetto di notizie e verità preconfezionate) e poi ci siamo noi (che dobbiamo deciderci rispetto a queste notizie e a queste verità).

In realtà la rivelazione attestata (cioè fatta testo, fatta libro) dell’evento Gesù, ha già dentro di sé il momento umano del coinvolgimento nella vicenda del Signore. Il come si sono “mossi sulla scena” i suoi durante la passione, morte e risurrezione di Gesù, fa anch’esso parte della rivelazione! I tradimenti, i rinnegamenti, gli abbandoni, le menzogne, gli insulti, gli sputi, gli sbeffeggi… come anche la premura nel tirar giù dalla croce il suo corpo, l’avvolgerlo nel sudario, il deporlo in un sepolcro, il prepararsi per pulirne e ungerne il corpo… sono tutti elementi di rivelazione: quando Dio arriva, succede questo. Succede sempre questo.

Sottolineare il “sempre” è proprio per dire che non sono elementi “accessori”, casuali, contingenti: ma strutturanti la rivelazione di Dio. Sono questi i sentimenti umani di sempre legati al sopraggiungere del Dio di Gesù: l’incomprensione, la sensazione di incontenibilità (“è troppo” per star dentro alla nostra misura), la paura di perderlo, la paura di perdersi a causa sua, l’affetto viscerale che fa muovere le donne «il primo giorno della settimana»… l’incredulità…

Ecco perché credo sia fondamentale fermarsi sul come i vari personaggi in scena si sono determinati in quei giorni di risurrezione, sul chi hanno deciso di essere, ponendo quei gesti, avendo quei sentimenti, pronunciando quelle parole.

È indubbio che un posto speciale in questo andare a vedere come si muovono i personaggi ce l’abbiano le donne. Quasi non si sapeva – leggendo fino a qui i testi evangelici – che c’erano anche loro tra i più “vicini” a Gesù (solo qualche accenno qua e là, mai approfondito, mai sviscerato) e invece qui – alla fine – prendono un posto preponderante: che fa dedurre, che quel posto ce l’abbiano sempre avuto, perché uno non si inventa immischiato nella pelle dell’altro in pochi giorni.

In più, se non fosse stato così, non lo avrebbero certo scritto nei loro vangeli queste prime comunità di credenti… Perché la figura della donna, soprattutto come testimone, non aveva alcun valore a quei tempi (come lo stesso Luca lascia intendere: «Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse») e perciò se non fosse proprio stato così – se cioè Gesù risorto per primo non fosse proprio andato dalle sue amiche femmine – non lo avrebbero mai detto. Era infatti controproducente dirlo (controproducente per l’annuncio cristiano) e quindi – se fosse stato falso – di certo a nessuno sarebbe venuto in mente di inventarselo. Perciò, se è scritto, è perché non hanno proprio potuto fare a meno di dirlo… e anzi, dobbiamo ringraziare questi uomini, sconvolti loro stessi probabilmente da questo annuncio previo alle femmine, per aver avuto il coraggio di non censurarlo, di non far prevalere il “buon senso” del “tenercelo per noi, senza però dirlo in giro”, ma di aver fatto risuonare fino ai confini del mondo che il risorto per prime l’hanno visto le donne.

Dunque, innanzitutto le donne.

Esse già durante la passione e morte di Gesù hanno iniziato a far capolino in una maniera finora mai emersa. Ce lo mostra anche la liturgia di questa settimana santa. Infatti il Lunedì Santo il vangelo che viene proposto è Gv 12,1-11, nel quale è narrata l’unzione di Betania, quando cioè Maria, sorella di Lazzaro, «prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo».

Come diceva don Claudio Cacioli, attuale Ispettore dei Salesiani di Lombardia e Emilia, «Noi cristiani entriamo nella settimana più santa della vita di Gesù e quindi della nostra vita accompagnati da una donna, che non fa una predica, che non fa una riflessione di tipo spirituale, ma fa un gesto di grande carica sensuale, di grande affettività nei confronti di Nostro Signore Gesù Cristo. E lo fa in totale libertà. Se potessimo fermarci un po’, tutta una serie di particolari – i capelli sciolti, i piedi… – potrebbero dirci che quella sera lì, in quella stanza, avviene qualche cosa che non è un gesto simbolico. No, no! Avviene proprio un’esplosione di amore che si manifesta come di solito l’amore si deve manifestare: non con le paroline dolci, ma con un abbraccio, con una carica anche di carnalità, di affettività, perché noi siamo fatti di carne e sangue.

Noi entriamo nella Settimana Santa accompagnati da questa donna qua. Non entriamo nella Settimana Santa accompagnati dagli apostoli. E in quella pagina del vangelo Gesù insiste nel dire che quel gesto lì, è un gesto che non solo è giusto che venga fatto, ma è un gesto che illumina di significato quello che viene dopo. Cioè quello che viene dopo – la Passione, Morte e Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo – o sta sotto l’insegna di un amore non a chiacchiere, ma a gesti concreti, oppure non è comprensibile. […] Perché ci sono gesti che avvengono soltanto nell’intimità e sono capaci di comunicare una custodia che è infinita. Prima di essere dilaniato dai flagelli dei Romani, il corpo di Nostro Signore Gesù Cristo è entrato in una dinamica di intimità con questa donna che ha versato l’olio, l’ha accarezzato… E lui ha detto che in quel gesto lì c’era questo immenso amore che lo avrebbe custodito anche nella sua sepoltura. […] Il Signore aveva bisogno di una carezza anche lui. Non ha bisogno di una predica o di risolvere tutti i problemi del mondo. Ha bisogno di essere custodito nell’intimità» [don Claudio Cacioli SDB, Eucaristia e affettività, Conferenza del 15 febbraio 2011].

È la medesima custodia dell’intimità che muove anche le donne di quel «primo giorno della settimana», anche loro con oli e aromi tra le mani, per ungere quel che ormai è solo il cadavere, il corpo morto di quell’uomo cui hanno voluto così bene…

Ma per le donne – mi pare di poterlo dire da donna – la cura del corpo altrui è elemento intrinseco dell’identità… foss’anche di un corpo morto, che però si vuol riconsegnare alla terra pulito, “in ordine” (come ci hanno ripetuto chissà quante volte le nostre mamme prima di uscire per andare a scuola), rivestito con abiti lavati e “stirati”, perché sia bello.

Che poi lo sanno anche loro che tanto non lo vedrà più nessuno, perché poi lo mettono nella cassa e poi nella tomba… ma intanto a loro sembra di aver fatto tutto l’umano possibile per replicare alla tragedia della morte. Una replica totalmente inutile – lo sanno anche loro – ma giusto così, perché la morte – pur vittoriosa e irrimediabile – non abbia almeno del tutto l’ultima parola. L’ultima parola è che io mi prendo cura del tuo corpo morto, del tuo corpo che mi è così caro.

Pensiamo dunque a cosa ha voluto dire per le donne del vangelo non trovare più il suo corpo, non poterlo rivedere neanche per quell’ultima volta, per quell’ultima replica inutile ma fondamentale alla morte…

E infatti il primo pensiero è che gliel’abbiamo rubato! Che quegli uomini che l’avevano così inumanamente straziato, vogliano essere così sadici e crudeli da togliergli anche quell’ultimo gesto di cura, di pulitura, di amore.

 

Invece… qualcosa d’altro era accaduto a quel corpo… Qualcuno che amava quel corpo tanto quanto loro – il Padre di ciascuno figlio dell’uomo che nasce su questa terra – Colui che poteva dare una replica efficace alla morte, lo aveva risuscitato, rendendo quel corpo non solo pulito, ma splendente, non solo oggetto di cura, ma vivo!

E sono proprio loro le prime a vederlo così! Prima fra tutte, secondo Giovanni Maria di Magdala… la prima da cui il Signore vuole andare.

E per capire quanto questa scelta sia radicale, basta provare a chiederci da chi andremmo noi se ci capitasse di risorgere… o più umilmente, chi vorremmo accanto nella nostra morte.

È intenso così il rapporto che Gesù ha avuto con le sue amiche: non una relazione superficiale, nemmeno una relazione funzionale a qualcos’altro (a portare un messaggio, a far capire delle cose…). No! Una relazione profondamente coinvolgente, tale da costruirlo come uomo: Gesù si è davvero fatto uomo (cioè è diventato proprio quell’uomo lì e non un altro), lasciandosi plasmare dalla storia e dalle storie delle persone che ha incontrato, conosciuto, amato.

 

È in questa consistenza umana amante che Dio ha riconosciuto se stesso, in questo suo Figlio rivelatore definitivo del suo volto Egli ha detto chi è. Per questo Gesù non poteva rimanere morto: perché l’ultima parola di Dio sul mondo è che i pezzetti di bene che ci scambiamo (quelli che Gesù chiamava “Regno di Dio”) sono più forti della morte, in Lui si “eternizzano”.

 
Buona Pasqua a tutti.

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