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martedì 16 febbraio 2016

II Domenica di Quaresima


Dal libro della Genesi (Gn 15,5-12.17-18)
In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo». Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io dò questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate».
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (Fil 3,17-4,1)
Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
 
Dal vangelo secondo Luca (Lc 9,28-36)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
 
In questa Seconda Domenica di Quaresima, la Chiesa – come di consueto – ci invita a riflettere sul brano della Trasfigurazione.
È un evento della vita di Gesù particolarmente ostico per noi lettori, o almeno per me. È difficile, dietro al linguaggio degli evangelisti, ricomprendere cosa sia accaduto e quale sia il senso di questa esperienza che Gesù, per primo, e poi i suoi tre discepoli, vivono.
Anche perché le espressioni “il suo volto cambiò d’aspetto”, “la sua veste divenne candida e sfolgorante” possono essere interpretate sia con un senso letterale, sia con un senso figurato.
Nel primo caso la nostra mente si immagina uno (spaventevole) cambiamento dei tratti del volto di Gesù (spaventevole, non perché assuma tratti mostruosi, ma perché il solo fatto di assistere alla modificazione dei connotati del volto è un po’ spaventoso); nel secondo, ci vengono forse più in mente alcune esperienze che anche noi abbiamo fatto di incontrare persone raggianti, per qualsiasi motivo. Davvero, anche in questo caso si potrebbe dire “il suo volto cambiò d’aspetto”.
Io credo che il rischio di interpretare la trasfigurazione nel primo senso (quasi catalogandola insieme all’immaginario di tutti quei cartoni animati o film in cui ci sono questi effetti speciali di trasformazione dei volti) sia forte e apportatore di molti fraintendimenti: ci viene infatti un misto di reazioni disgustate, timorose, sarcastiche.
Lo stesso si può dire dell’incontro con Mosè ed Elia: come va interpretato quell’“apparsi nella gloria”?
Come sempre il problema è il background culturale a cui il linguaggio e le immagini attingono. Bisognerebbe chiedersi se coloro che hanno scritto hanno i nostri medesimi riferimenti, per esempio quando parlano di “gloria”.
Quello che voglio suggerire è che un’interpretazione troppo legata alla lettera, alla plasticità della scena descritta, rischia di farci perdere il senso di questo evento.
L’arte, da questo punto di vista, non ci ha aiutato nel corso dei secoli, sottolineando eccessivamente la extra-ordinarietà dell’episodio.
Forse dovremmo riuscire a non fermarci alla coreografia scenica, per andare al messaggio della rappresentazione che gli evangelisti tratteggiano.
Certo, la scenografia c’è, l’hanno allestita loro e non si può far finta che non ci sia. Ma è la scenografia tipica che nel linguaggio biblico si allestisce per suggerire che si sta per presentare qualcosa di decisivo. Ma è il contenuto ad essere decisivo non la scenografia.
Se perciò riuscissimo a non lasciarci agghiacciare dall’allestimento scenico, ma semplicemente lo “usassimo” per lo scopo per cui era stato costruito (cioè accompagnarci al contenuto), arriveremmo al cuore della scena: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Tutta la coreografia vuole incanalarci verso questa “voce”.
È la medesima voce che aveva parlato al battesimo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,22).
Il centro del brano odierno è allora l’annuncio cristiano che Gesù è Figlio di Dio. Un annuncio fondamentale, ma così grande da essere detto sotto voce: non a caso è questo salto di qualità nell’identificazione di Gesù, ciò che risulterà inconcepibile per molte persone sia allora sia oggi.
Finché si parla di Gesù come di un uomo straordinario, di un profeta, di uno che passava beneficando, ecc… son tutti d’accordo. I problemi sorgono quando Gesù alza la pretesa sulla sua identità (verrà ucciso per questo: «Risposero i Giudei: Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio», Gv 19,7). È lo stesso motivo per cui nei primi secoli i cristiani verranno perseguitati (prima dell’invertirsi delle sorti e di decidere che – dimenticando in che senso Gesù è Figlio di Dio – si poteva mettersi dalla parte dei persecutori, come ha cantato De Andrè:

Laudate dominum
Laudate dominum

Gli umili, gli straccioni:
"Il potere che cercava
il nostro umore
mentre uccideva
nel nome d'un dio,
nel nome d'un dio
uccideva un uomo:
nel nome di quel dio
si assolse.

Poi, poi chiamò dio
poi chiamo dio
poi chiamò dio quell'uomo
e nel suo nome
nuovo nome
altri uomini,
altri, altri uomini
uccise ".

Non voglio pensarti figlio di Dio
ma figlio dell'uomo, fratello anche mio.

Laudate dominum
Laudate dominum

Ancora una volta
abbracciamo
la fede
che insegna ad avere
ad avere il diritto
al perdono, perdono
sul male commesso
nel nome d'un dio
che il male non volle, il male non volle,
finché
restò uomo
uomo.

Non posso pensarti figlio di Dio
ma figlio dell'uomo, fratello anche mio).

Ecco perché era necessario (e gli evangelisti su questo sono straordinariamente intelligenti) dare l’annuncio cristiano “Gesù è Figlio di Dio”, ma sotto voce: troppo facile essere fraintesi su questo punto.
Luca in particolare colloca questo annuncio, non solo nella luce soffusa di una scenografia che quasi pare un sogno, ma dentro ad un contesto letterario in cui tutto parla della croce di Gesù, persino Mosè ed Elia, “apparsi nella gloria”, parlavano del suo esodo.
Gesù è il Figlio di Dio, ma – come si vedeva settimana scorsa nell’episodio delle tentazioni – questo non vuol dire dare per scontato chi egli sia, attribuendogli i tratti plenipotenziari dell’idea che noi abbiamo in testa di chi è un “Figlio di Dio”.
Gesù è il Figlio di Dio, il crocifisso. È quel volto lì di Dio, quello nel nome del quale non si può “uccidere” nessuno!
Infatti, ed è l’ultima annotazione, all’inizio del vangelo, quando viene narrato l’episodio del battesimo, c’è la voce di Dio; qui, durante la trasfigurazione, più o meno a metà del vangelo di Luca, c’è la voce di Dio. Ma alla fine, durante la passione, quella voce non c’è più, ce n’è un’altra: «Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò» (Lc 23,46).
Il vangelo è il testo che vuol far conoscere ai cristiani chi è Gesù. La risposta è: per i cristiani Gesù è il Figlio di Dio. Ma bisogna arrivare fino in fondo per capire che senso ha il titolo “Figlio di Dio” attribuito a Gesù: è la sua storia che riempie di senso quel titolo, non viceversa.

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