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mercoledì 24 febbraio 2016

III Domenica di Quaresima


 

Dal libro dell’Èsodo (Es 3,1-8.13-15)

In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele». Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1Cor 10,1-6.10-12)

Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto. Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13,1-9)

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

 

Il vangelo che la Chiesa ci propone per questa III domenica di Quaresima è una parabola tratta dal vangelo di Luca. È la prima parabola che la liturgia domenicale ci fa incontrare in questo anno liturgico.

Ad una prima lettura nascono alcune domande:

I-  Perché il vignaiolo non gli ha zappato intorno e non gli ha messo il concime prima? Cioè perché non ha fatto subito, alle prime avvisaglie di infecondità, ciò che poteva aiutare il fico a dare frutti?

II-    Dov’è che abbiamo già sentito parlare di alberi che non danno frutto e di come ci si comporta in questi casi?

Riguardo alla prima questione non dobbiamo stupirci troppo. Le parabole sono storie inventate, che vogliono condurci verso un momento di svolta. E per costruire letterariamente questo percorso sono necessari degli escamotage: il fatto che da 3 anni il fico sia sterile serve al narratore per sottolineare quanto fosse sensata la richiesta di tagliarlo.

È proprio questa costruzione narrativa infatti che ci conduce al vertice della parabola, che consiste nel fatto che – contro ogni buon senso o senso comune – il fico alla fine non venga tagliato.

La seconda questione è invece più interessante, perché se andiamo a rileggerci Lc 3,9, troviamo quanto diceva Giovanni Battista durante la sua predicazione nel deserto: «Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».

Fatte queste considerazioni preliminari dobbiamo stare attenti ancora ad un aspetto. Con troppa facilità infatti noi quando leggiamo le parabole, usciamo dal racconto e identifichiamo i personaggi della storia con persone reali. Istintivamente in questo caso ci verrebbe da dire che Dio è il padrone dell’albero e Gesù il vignaiolo.

In realtà io non credo che questa identificazione sia legittima. Piuttosto mi pare sensato identificare il proprietario con la logica umana (ben esemplificata da Giovanni Battista) e il vignaiolo con il volto di Dio che Gesù vuole far conoscere.

 

Fatte tutte queste premesse, e provando a ripercorrere il testo, possiamo chiederci cosa esso ci dice:

 

 
DI DIO
 
DELLA STORIA
 
Non è cieco sulla sterilità della storia
 
lascialo ancora quest’anno
 
È sterile
Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò
 
 
La sua logica è che ciò che è sterile ha bisogno di cure
 
finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime
 
La sua logica è che ciò che è sterile vada tagliato
Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque
 
Ciò che è sterile può tornare a dare frutto
Vedremo se porterà frutti per l’avvenire
 
Ciò che è sterile va tagliato perché non solo non dà frutto, ma sfrutta / rende inutilizzabile altro
Perché deve sfruttare il terreno?
 

 

Lo sguardo che Gesù ha sulla storia, dunque lo sguardo che Egli ci dice che Dio ha sulla storia, non coincide con quello di Giovanni Battista.

Dio non sta con la scure alla radice degli alberi, pronto a tagliare chi non porta frutto, quasi con una foga vendicativa e un compiacimento, tipico di chi pensa di liberare il mondo dal male estirpando i malvagi o i non particolarmente fervorosi per la causa…

Il volto vero di Dio, secondo Gesù, è un altro: è un volto che guarda alla storia diversamente, con un’incrollabile fiducia, che se amati, curati, aiutati, tutti possono dare frutto.

In questo percorso che la quaresima ci sta facendo fare della riscoperta del volto di Dio, credo che questo testo, forse meno noto di altri, sia un passo importante, anche perché si tratta di una narrazione semplice, lineare, chiara.

A partire da essa potremmo tornare a chiederci, nella nostra situazione o nelle tante altre situazioni umane che ci troviamo ad incontrare, qual è lo sguardo che Dio pone su di esse… e provare ad essere figli di un Dio che ha questo volto e non quello scuro di chi ha in mano la scure…

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