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venerdì 20 giugno 2008

Il coraggio della paura…

La sorte del Maestro sarà la sorte del discepolo
I discepoli, appena tuffati nella storia senza il Maestro, si devono essere ben spaventati, se l’evangelista ricorda loro e ripete come una litania l’incoraggiamento: non temete, non temete, non temete… (la versione italiana cambia parola, forse per attenuare l’impatto). La verità del vangelo non è “potente”, splendente, riconoscibile, non è demagogica. È piuttosto un seme minuscolo, un fermento impercettibile, una proposta scandalosa… La verità che illumina il discepolo è verità crocifissa, la sua luce levata tra le nazioni è velata. Gli “altri” non la vedono e non la sentono… quindi pensano che sragioniamo. Ma il loro giudizio è troppo importante per noi e manda in crisi la poca fede cha abbiamo. Secondo Gesù il pericolo del discepolo è la paura… Mandato come agnello in mezzo ai lupi… contrastato da conflitti e persecuzioni, incompreso o travisato nell’annuncio della sua fede… la paura gli entra dentro nel cuore e mette in discussione i fondamenti della sfida evangelica.
la paura
…paura di doversi congedare per sempre dal successo, dal consenso e dal riconoscimento degli altri… che gratificano e insieme nutrono la nostra fragile identità personale con il supporto del tessuto umano in cui viviamo. Quando la gente non ci capisce o addirittura ci contesta, andiamo in crisi di identità. Possiamo reagire con aggressività o con depressione, ma rischiamo comunque di rimanere con una fede ridotta a un lumicino, nel segreto del proprio cuore, senza più forza per diradare le tenebre… né proposte comprensibili ed efficaci per affrontare la vita. La quale ci riporta invece sempre le stesse sofferenze e impotenze personali e collettive… gli stessi fallimenti. La fede dunque non era un rimedio, una risposta, una ‘redenzione’ dai mali della vita… Ma allora, a che serve?
…paura di perdere i beni necessari alla propria sussistenza, quando la verità del vangelo riduce il consenso attorno a noi… si diventa precari: è il momento di congedarsi anche da tanti beni materiali… legati alla carriera, alla vanità, alle comodità che il consenso consolidato offrirebbe.
…ma soprattutto paura di congedarsi da Sé, dal proprio corpo di carne e dal proprio io abbarbicato alla vita biologica e psichica, per salvare “l’anima evangelica”, cioè la propria vera identità di discepolo del Signore. Questa disponibilità a congedarsi da se è la premessa drastica del cammino del discepolo, messa in chiaro dal Signore, fin dall’inizio della fede in lui: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24)… È un cammino aspro e difficile, attraverso una via stretta e in salita, ma così si costruisce l’identità vera del discepolo, che è il primato dell’amore. Imparare a credere è imparare ad amare! Non con l’entusiasmo di Pietro, focoso e sincero, ma inconsistente di fronte alla paura di “morire con lui”… La fedeltà nella paura è una conquista sofferta e difficile, come ogni amore vero – che anche lui, il Maestro, ha guadagnato, ‘con forti grida e lacrime’, e che ripropone ai suoi con estrema lucidità: «Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!» (Gv 12, 26s)». Gesù non era immune dalla paura di morire, dall’angoscia della solitudine, dall’istintiva repulsione della sofferenza… ma ha avuto il coraggio di contenere questi sentimenti, umanissimi ma paralizzanti, e sottometterli alla volontà del Padre.
una promessa, infatti, è seminata nella paura!
…promessa che ogni amore vero, per quanto timido e riservato, vincerà le tenebre e manifesterà la sua verità. Ogni luce che si riesce a fare attorno a sé, ci rinforzerà ulteriormente il coraggio di testimoniare dai balconi… che è come bruciarsi alle spalle i ponti della paura. E ci darà il coraggio di proclamazione della verità, cioè di coinvolgimento nel Regno. Non riguarda tanto il successo finale, che secondo Gesù, è il Regno del Padre, che impregna, salva e trasfigura la storia. Ma riguarda immediatamente il “successo” quaggiù: un “diverso successo” che è la misteriosa e vera ricompensa del Padre nel segreto della propria anima, che impercettibilmente si diffonde e rigenera il cuore. I piccoli miracoli dell’amore che risanano le persone e ridonano speranza nella vita, anche se nessuno o pochi se ne accorgono. I semi che crescono dal nulla e offrono un angolo di ospitalità e fraternità a chi è smarrito e senza aiuto…
…promessa di una vita più bella, compiuta e intensa di quella fisica, anche se è solo sulla piattaforma di quella fisica che può spuntare e crescere… Esperienze di amore e tenerezza, accudimento e affidamento, liberazione dalle catene che imprigionano l’anima e avviamento alla libertà e autonomia personali… Queste esperienze inducono progressivamente una passione interiore più forte che la paura di perdere il corpo e suoi beni e la consapevolezza che l’anima, pur soffrendo è preservata, e diventa territorio non calpestabile da nessuno, riservato a Chi l’ha guadagnato con il suo amore…
…la promessa della tenerezza del Padre: “voi valete ben più di molti passeri … Perfino i capelli del capo sono tutti contrassegnati dalla sua attenzione affettuosa… Non è la “Provvidenza” che guida gli eventi a mio favore, evangelicamente smentita dalla sorte del Figlio. Dio non interviene nella dinamica delle forze naturali, non ci ha riservato ricette magiche per manovrare gli eventi a nostro vantaggio… Ci ha affidato piuttosto di continuare la consegna messianica al Figlio: che è il vero senso caratteristico della sua vita messianica, cioè assorbire su di sé il male che è attorno a noi e lasciare passare in noi il “suo” amore paterno al mondo! È verso questo nostro compito “smisurato” per le nostre forze, che va tutta la sua tenerezza paterna.
anch'io lo riconoscerò…
se questi segni caratteristici di Gesù si consolidano in noi, ci cambiano l’anima e il volto. Allora non solo superiamo la paura, ma lo rendiamo riconoscibile dagli uomini a cui arriva il nostro (suo!) bene. E facciamo riconoscere il suo Vangelo... È chiaro allora che Gesù gioirà, alla fine dei tempi nel presentare e riconoscere sulla nostra faccia, questo volto “cristiano” di fronte al Padre… Ma ogni escatologia evangelica ha la sua sorgente nella storia di questo nostro mondo. Allora, questo “riconoscimento” non é una promessa per “dopo”: il riconoscimento di Gesù sta preparandosi adesso, nel tempo della paura… man mano che facciamo i nostri piccoli passi di distacco da noi stessi per dare spazio all’amore disinteressato, e questo implica la nostra morte. È il segreto forte e ostico dell’avventura di Gesù sulla terra e non convinceremo mai del tutto il nostro io a non averne paura… Per questo la tenerezza paterna del Dio di Gesù che ci carezza perfino i capelli, ci è necessaria per rassicurarci.

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