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venerdì 19 settembre 2008

Quando Dio diventa un calcolatore...

Il Vangelo che la liturgia ci propone per questa XXV domenica del tempo ordinario, è costituito interamente da una parabola. Essa è collocata immediatamente dopo l’episodio del giovane ricco (Mt 19,16-22) e le considerazioni che Gesù fa a proposito della ricchezza («Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli», Mt 19,23ss) e della rinuncia («Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna», Mt 19,27ss). Queste considerazioni terminano con il versetto 30 («Molti dei primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi»), che, non a caso, è del tutto identico a quello con cui finisce anche il brano successivo, cioè il nostro. In questo modo infatti si crea una certa continuità, tanto che qualche studioso afferma che, a differenza della classica divisione dei brani, questo versetto 30 sarebbe quello iniziale della parabola degli operai della vigna e non tanto quello finale di ciò che precede.
In ogni caso ciò che interessa è come questa cornice in cui la parabola è incastonata (19,30 e 20,16: «gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi»), ne suggerisca immediatamente la tematica: essa è infatti quella del giudizio, della giustizia di Dio: «Molti dei primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi»... anche se poi, seguendo la narrazione, sarà curioso notare che non è vero che nella parabola i primi sono abbassati; piuttosto saranno innalzati gli ultimi...
Ma procediamo con calma... soffermandoci per un attimo sulle caratteristiche che delineano questa parabola e le sue simili in una vera e propria “categoria”.
Le parabole evangeliche infatti potrebbero essere classificate in due gruppi:
- vi sono “le miniparabole del Regno”, che, forse anche per la loro breve estensione, tutti ricordano;
- e vi sono “le macroparabole” in cui prevale invece la forma della narrazione («Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti...», Mt 10,30ss; «Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano...», Lc 19,12ss) e che per questo hanno anche dimensioni più rilevanti.
Le parabole di quest’ultimo tipo oltre ad avere un’estensione narrativa più elaborata (è raccontata una vicenda), si presentano spesso anche come enigmatiche e difficili da capire. Si deve supporre perciò, che quando Gesù le pronuncia, lo fa rivolgendosi ad un contesto di interlocutori religiosamente colti, in grado di percepirne la complessità e la paradossalità; a gente quindi allenata a questo tipo di racconto e alla discussione che poi ne nasce: non a caso infatti nascono solitamente in un contesto a lui ostile.
Anche le tematiche che affrontano, confermano questa sensazione di complessità: non si tratta più semplicemente dell’annuncio diretto dell’arrivo del Regno di Dio, ma si intavolano argomenti quali la ricchezza, la giustizia di Dio, il giudizio, il perdono... mettendo in scena tra l’altro non più semplicemente il contadino, ma un amministratore, un fattore, ecc...
Tutto questo per dire che la nostra parabola rientra proprio nel gruppo di quelle “difficili”; di quelle cioè che richiedono un percorso più impegnativo per essere capite fino in fondo e che è quindi giustificata la sensazione di incomprensione che abbiamo avuto ad una prima lettura.
È del tutto normale se ci son venute in mente obiezioni tipo: “Come mai ha dato a tutti la stessa paga? Vanno bene le sue spiegazioni, ma resta che non è giusto... Sarà anche libero di fare ciò che vuole coi suoi averi, ma avevano ragione quelli chiamati per primi a fare le loro rimostranze...”.
Queste contestazioni che ci verrebbe da fare, non vanno messe a tacere per il reverenziale timore di mettere in discussione quello che ha detto il Signore, perché è la parabola stessa che vuole che arriviamo a porle! È una strategia narrativa: chi pronuncia (e poi scrive) queste parabole vuole infatti condurre il suo ascoltatore (lettore) a uno sbalordimento che lo porti a desiderare di voler capire perché Gesù ha detto così, cosa intendeva dire, e soprattutto che idea di Dio sta cercando di far passare...
Lo sconvolgimento che dunque sentiamo (perché paiono essere messi in discussione tutti i nostri tentativi di ordinazione, catalogazione, prescrizione, razionalizzazione della Parola di Dio) non deve dunque paralizzarci; piuttosto spronarci a capire dove il Signore, con la sua parabola, ci vuol portare... La sospensione della comprensione («Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono», Mt 13,13) è infatti voluta: essa ha lo scopo di evitare che una spiegazione più diretta produca l’automatismo di una comprensione che coincide con il fraintendimento, con il prevalere del luogo comune.
Per esempio nella parabola degli operai nella vigna Gesù sconvolge uno dei capisaldi fondamentali della cultura ebraica, anzi addirittura uno dei luoghi comuni della religiosità dell’uomo di sempre, e cioè l’idea della giustizia di Dio, del fatto che prima o poi ci sarà una retribuzione in base a come ci si è comportati, il (famoso) premio per i giusti (noi, ovviamente). Per i suoi interlocutori (e purtroppo ancora anche per noi cristiani) infatti la giustizia di Dio consiste nel leale riconoscimento della pratica della legge: se mi comporto bene vado in paradiso, altrimenti all’inferno... Tutti disposti certo a riconoscere che Dio è un grande mistero, per cui «i suoi pensieri non sono i nostri pensieri, le nostre vie non sono le sue vie», ma ad un certo punto i conti bisognerà pur farli... Ed è proprio qui che entra lo sconvolgimento, la sospensione della comprensione, il desiderio di Gesù di far percepire altro rispetto a quello che essi già pensano.
Il problema è infatti che la matematica divina a differenza di quella umana... è un’opinione e i conti li fa in modo diverso: 1 giornata di lavoro = 1 denaro; ¾ di lavoro = 1 denaro; ½ lavoro = 1 denaro; ¼ di giornata = 1 denaro; 1 ora = 1 denaro...
Ma come? «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo», dicono i primi che sono andati a lavorare nella vigna... “Non è giusto”, diciamo anche noi, che capiamo immediatamente, che fuor di metafora, il lavoro nella vigna è la vita dell’uomo... la nostra... Com’è possibile che sia tutto uguale? Che vada comunque sempre bene? Che senso ha allora lavorare tutta una giornata?
Ecco... questo è il discorso umano istintivo: se non c’è differenziazione tra chi lavora una giornata intera e chi lavora un’ora soltanto, che senso ha allora il bene?
È lo stesso ragionamento che un sociologo statunitense riassumeva molto bene, affermando che se “togliessimo” l’inferno, non vedremmo in giro più nessun credente...
Il punto a cui vuole portarci Gesù è proprio questo: qual è la radice profonda della nostra reazione a quella che a noi pare l’ingiustizia della parabola? Perché una reazione così stizzita degli operai della prima ora, a cui ci siamo uniti anche noi?
La questione, mi pare, si possa guardare da tre punti di vista: quasi tre scenari che possano tentare di rendere l’idea della diversità di prospettiva di Gesù, rispetto a noi:
1- Ci sarebbero delle situazioni in cui il fatto che tutti ricevano un denaro non ci farebbe stizzire, ma anzi rallegrare... Per esempio se gli operai che hanno lavorato un’ora fossero i nostri figli... oppure se il guadagno di tutti fosse da mettere in comune per realizzare qualche progetto... In questi casi anche se gli altri dal nostro punto di vista meritassero meno... saremmo ben contenti di un padrone tanto generoso...
Allora, forse, una prima diversità tra la prospettiva di Gesù e la nostra è quella dello sguardo che poniamo sull’altro... L’istinto di sopravvivenza dell’uomo lo porta sempre a guardare al bene che capita ad un altro come un torto fatto a me, perché l’altro è sempre e comunque concorrente nella lotta per la sopravvivenza, rivale nell’affermazione del più forte, nemico o perlomeno estraneo...
Lo sguardo del Signore invece è un altro... è quello che Paolo richiama ai Filippesi nella II lettura: «Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo: [...] non fate niente per rivalità o vanagloria, ma con umiltà ciascuno ritenga gli altri più importanti di se stesso; non mirando ciascuno ai propri interessi, ma anche a quelli degli altri. Abbiate fra di voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù»!
2- Oltre allo sguardo diverso posto sul volto dell’altro, c’è un’altra prospettiva in cui Gesù vuol far saltare i nostri luoghi comuni: il Signore non è circoscrivibile nei nostri calcoli... Ogni nostro tentativo di liofilizzare l’accadimento del suo rivelarsi è infatti destinato a esplodere. Relazionarsi a Dio “facendo i conti” vuol dire non aver compreso chi Lui sia, non aver compreso che il rapporto uomo-Dio o è un incontro di liberà o non sussiste! Tutti i programmi che sono stati elaborati lungo i secoli e ancora oggi (penso ai vari itinerari spirituali, alle tappe delle regole di vita, ai precetti da rispettare, alle norme da applicare...), se pensati come “strumenti per andare in paradiso” falliscono il loro obiettivo! Il paradiso infatti non è un posto di cui dobbiamo guadagnarci l’accesso per non vedere finire la nostra vita nella tomba, ma è la condizione dello stare con Dio... è un lasciarsi incontrare, un lasciarsi salvare, un lasciarsi eternizzare dall’Amore, l’amore che è circolato nelle nostre vite! Ecco perché non gli si addice la logica matematica!
3- Ogni volta che ragioniamo nei termini di un dio calcolatore (per esempio in pensieri tipo “faccio digiuno per far contento dio, così quando muoio ho una cosa in più da mettere sulla bilancia”; “non faccio questo se no dio si arrabbia e poi mi manda all’inferno”...) è normale che ci venga la domanda: se paga tutti un denaro (se non c’è l’inferno, potremmo azzardatamene tentare di tradurre) che senso ha lavorare tutta la giornata (che senso ha stare dalla parte del bene)?
Perché questa è proprio la domanda di chi fa le cose sotto ricatto, senza amare quello che fa, senza esser-ci in quello che fa... È qui che Gesù vuol far saltare la nostra istintiva mentalità: lasciarsi incontrare dal Signore, vuol dire liberare i canali dell’amore... per Lui... per se stessi... per gli altri... senza calcoli... anzi fino a morirne. O è così, pare dire Gesù, o non è Dio... ma una proiezione della vostra testa!

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