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venerdì 5 settembre 2008

Il primato dell’amore!

il primato dell’amore: come in cielo così in terra!
… il legame indissolubile e salvifico tra cielo e terra, tra il luogo di Dio e il luogo degli uomini, tra la terra arida e carnale (che ha nel cuore la consunzione di morte), e l’alito divino (inspirato in lei dall’Amore vitale che continua la creazione) … è il “Vangelo”, la buona notizia unica tra tutte le religioni e le fedi, che caratterizza dall’inizio alla fine, tra tante speranze e delusioni, la parabola biblica giudeo cristiana. Per questo l’incontro di cielo e terra è l’obiettivo centrale del nostro rapporto vitale quotidiano con il “Padre nostro” che è nei cieli! Non si può continuare a professare il primato dell’amore senza fare i conti con la realtà storica nella quale stiamo vivendo, che è il luogo dove il primato, se è vero, si deve esprimere. Perché ‘primato’ vuol dire assumere come propria responsabilità fondamentale di vivere e testimoniare anzitutto l’amore nel mondo e di fronte al mondo. E poiché Dio è amore, vuol dire portare sempre Dio sulla terra, fare della terra un pezzo di Dio. Nell’umanità di carne di Cristo, infatti, “abita la pienezza della divinità in un modo fisico” (Col 2,9).
Per il cristiano, assumere le proprie responsabilità nel mondo non vuol dire applicare letteralmente il modo di vivere dei primi cristiani, riflesso in questi detti di Cristo, ma vuol dire anche per noi, in tutt’altra situazione socio economica, entrare nel vivo delle vicende personali famigliari, comunitarie, politiche… mirando all’obiettivo di riconciliare le divisioni, medicare le ferite, aprire possibilità di perdono, riconciliazione, collaborazione e comunione. Calare nella storia degli uomini il primato ‘di principio’ dell’amore, manifestato in Cristo, vuol dire impregnare le relazioni quotidiane, a tutti i livelli, con la prassi della riconciliazione.
La fatica “inutile” dell’amore cristiano
Appena, però, si tenta in concreto di vivere il Vangelo … la difficoltà della comunione fraterna con chi ci è vicino (il prossimo) appare presto insormontabile. Immediatamente, dopo ogni perdono (70 volte 7 !), rispuntano le divisioni, le incomprensioni, il rifiuto dell’altro, il giudizio sulle intenzioni… Da generazioni e generazioni i cristiani puntano tutto sul primato dell’amore… Ma fin dall’inizio della chiesa ci troviamo a perdere più tempo e risorse a combatterci e distruggerci che a confortarci, come diceva amaramente S. Paolo ai suoi amici Galati, “Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!” (5,15)
Questa impotenza ad amare gratuitamente è la ferita persistente del peccato originale… una sorta di inattitudine collettiva strutturale, ad amare, nella quale siamo nati e cresciuti. Nonostante i buoni propositi e i tanti sforzi in contrario, la competizione (per non morire!) rimane la vera matrice originaria, il motore propulsore di tutte le dinamiche di questo nostro mondo. Non la competizione grossolana delinquenziale… ma la logica di potere che ha ispirato e impregnato di sé, e permea tuttora, le leggi e le strutture, gli insegnamenti e le tradizioni, persino ecclesiastiche, e fa sì che il più forte prevalga sempre. O perché ha un diritto acquisito o ereditato, o intelligenza o cultura o mezzi superiori. Il primato non è mai dell’amore (cioè della sollecitudine di far crescere la parte più sprovveduta) ma della forza e della pre/potenza, che è efficace, immediata e sbrigativa. Ma inevitabilmente fomenta divisioni, ritorsioni, oppressioni…
La missione “messianica” del cristiano
Eppure il primato dell’amore del vangelo è una “necessità” la cui luce e il cui fermento sono di tipo profetico ed esplosivo nella gabbia logica della vita quotidiana… Il credente nel Vangelo si espone in questo mondo con la “novità” della riconciliazione, perché è la premessa che permetta di ricominciare sempre a mettere l’amore prima di ogni altro interesse: “prima dite: pace!” (Lc 10,5). Il cristiano sa che la riconciliazione è il nome storico del dono divino della pace tra gli uomini, che esige la comunione con Dio, e non può farsi se non in Cristo… Questo non toglie nulla allo sforzo e al merito di quanti da sempre cercano e vivono sinceramente l’amore tra gli uomini con tutte le proprie forze. I credenti, infatti, non hanno il monopolio dell’amore… Ma lo specifico ministero di riconciliazione che ci è stato rivelato e si è realizzato in Cristo, riguarda il senso ultimo, definitivo, universale di questo viaggio misterioso dell’umanità verso il suo compimento. Allora la chiesa è chiamata ad essere l’embrione, il germoglio, il seme, il lievito dell’umanità intera l’antipeccato originale, il luogo del primato storico dell’amore, ove si accoglie la sfida del progetto originario del Padre , il regno di Dio. La chiesa annuncia che questa prospettiva di unire cielo e terra, non sarà vanificata nella storia, che il collegamento vitale al Regno (che è la preghiera) coinvolgerà tutta la creazione rispondendo al suo gemito di attesa, attraverso il dialogo affettivo e operativo dei credenti tra loro e con il Padre di Gesù : se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà.
Legare e sciogliere: l’effimero che diventa eterno!
… il pane insipido e talora amaro della banale vita quotidiana diventa eucaristico, nutrimento capace di generare qui (in terra) la vita eterna e di là (in cielo) la risurrezione della carne. Il potere messianico del cristiano è di rinnovare storicamente la riconciliazione in forza e nel nome di Gesù: una responsabilità che solo la forza dello Spirito può aiutarci ad assolvere, per non lasciare il mondo (e quindi noi stessi) legati alla logica mortifera della competizione: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. La chiesa non è dunque un’alternativa storica alle istituzioni mondane, che la renderebbe un’altra struttura mondana, più o meno benemerita ma sempre oppressiva, non meno delle altre, che si assumono la responsabilità diretta della gestione culturale, politica o economica dell’unica storia che coinvolge tutti gli uomini. Rinuncerebbe a essere il segno levato tra le nazioni che indica loro la luce e l’orientamento delle prospettive fondanti e finali dell’uomo, per voler essere l’insegna di un luogo di rifugio tra gli altri. Rinuncerebbe ad essere il lievito che la donna (ogni cultura) innesta nel suo impasto, per volere esser subito l’impasto stesso preconfezionato. Rinuncerebbe a essere la sentinella (io ti ho costituito sentinella per gli Israeliti; ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia in Ez 33,7) per voler sostituire gli operatori che, ascoltata la parola, devono tentare “in proprio” di convertire le strutture sociali. In verità, la chiesa, illusa dalla sua vicinanza e frequentazione della Parola salvifica, vive nella tentazione perenne, di poter sostituire le istanze personali e istituzionali umane, spesso vacillanti o devianti, impegnandosi direttamente in scelte ideologiche, politiche economiche o scientifiche … che saranno sempre necessariamente limitate e “di parte”, creando divisioni tra gli uomini, non motivate dal vangelo, ma da scelte opinabili, mai definitive, ma alternative o complementari…
né disinteresse né condanna, ma compagnia… con il Signore!
Se tuo fratello sbaglia, tu va' da lui, … e parlagli. Che cosa ti autorizza a intervenire nella vita dell'altro? L'amore, che non si separa mai dalla verità. La verità senza amore è tendenzialmente omicida, come prova la storia di tutte le ortodossie… che hanno portato a conflitti irrisolvibili, a guerre di religione, ai "sacri macelli". Ma per contro, l'amore senza verità è sterile, perché è sentimentale, senza progetto né futuro.
La riconciliazione fraterna proposta dal Signore (se tu fratello pecca, va e ammoniscilo…!) sembra in contrasto con il non giudicare (7,19), con la ricerca assillante della riconciliazione (5,23), con la parabola della zizzania (13,24). In realtà, la correzione fraterna, per non essere giudizio o condanna o discriminazione… suppone nella comunità fraterna una previa accettazione incondizionata del fratello. Solo questa parola, “fratello” (supremo legame di amore e responsabilità), ti autorizza a intervenire nella vita dell’altro. Solo se sei disposto a portarne il peso e la gioia, le fatiche e le delusioni, se sei deciso ad amarlo comunque e sempre… puoi ammonire il fratello… Allora il mestiere di cristiano diventa “guadagnare” giudei e non giudei, deboli e forti, chi è nella legge e chi è fuori (1Cor 9,19), perché ha una ‘banca’ alle spalle che “guadagna” raccogliendo questo tipo di debiti, ad imitazione di Cristo: il quale “annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli, lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (Col 2,14). Dunque il fratello “in debito”, ricondotto al suo bene…è un guadagno, un tesoro per te e per il mondo, il compimento dell’opera redentiva di Cristo, perché “il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli” (Mt 18,14).
Se due uniranno la voce sulla terra, per domandare qualunque cosa… il Padre la concederà
il Padre “suo”, infatti, non resiste a questo fascino… degli uomini che pregano unendo la loro voce e il loro cuore! Perché, se stanno insieme, Cristo Gesù è in mezzo a loro! Questa “unione fraterna” è infallibilmente esaudita dal Padre, perché è proprio l’obiettivo e il frutto della missione del Figlio suo nel mondo: farne il Regno del Padre! Questo amore vicendevole dei fratelli è il “debito” che il cristiano sa di dover pagare lietamente e inesauribilmente ad ogni uomo, perché anche lui sia avvolto dall’amore gratuito che ci salva…

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